Lo sciopero della fame di Alfredo Cospito sta mettendo in luce il peggio della società italiana con i loro proclami giustizialisti
di Luca Cellini
Viene la nausea nel leggere i vari proclami giustizialisti associati alla detenzione di Cospito, le vomitevoli strumentalizzazioni politiche, e fanno orrore le dichiarazioni mediatiche e giudiziarie di personaggi della magistratura chiamati a dire “mostruosità” come quelle affermate da Piercamillo Davigo che pochi giorni fa in una trasmissione ha dichiarato: “Cospito non fa un vero sciopero della fame, altrimenti non sarebbe più vivo. Un uomo non può sopravvivere a 100 giorni senza nutrirsi realmente”.
Davigo forse ignora volutamente che Alfredo Cospito ha perso ormai 47 chili in 4 mesi, forse non sa minimante nemmeno ciò di cui si parla, non parlerebbe così, se sapesse ad esempio che in Turchia in questi stessi anni sotto il regime di Erdogan, più persone sono morte protestando in sciopero della fame.
Come ad esempio che nei primi mesi del 2020, 13 presidenti di Ordini forensi turchi furono arrestati e portati a processo per terrorismo dal governo di Erdogan, e che il 5 aprile Ebru Timtik e il suo collega Aytac Unsal, in risposta all’incarcerazione, decisero di entrare in sciopero della fame digiunando per 238 giorni fino alla morte, così come Davigo non parlerebbe così se sapesse che, sempre nel 2020 Helin Bölek, insieme a Mustafa Koçak, membri di una rock band turca, (ai quali dopo l’arresto e il successivo rilascio era stato proibito di suonare pubblicamente, perché la loro musica venne giudicata “sovversiva” e antigovernativa) condussero uno sciopero della fame per protesta, rispettivamente di 288 e 297 giorni che li condusse alla morte.
I giustizialisti nostrani da sempre rigorosi, implacabili e forti con i deboli, al pari di quanto sono ultragarantisti, smemorati e lascivi con i forti, non sanno, o spesso fanno finta di non sapere che al regime del 41 bis in Italia, si affiancano anche misure di “sicurezza” punitive e tendenti al sadismo, come ad esempio:
-Vietare a quei detenuti di poter fisicamente abbracciare, pur con la dovuta sorveglianza, i propri familiari;
– Non poter scegliere liberamente i libri da leggere;
-Non poter tenere dei diari personali con i propri appunti scritti, non poter cucinare in cella; per tutta la durata della detenzione una sola ora di aria al giorno;
-Non poter appendere immagini ai muri;
-Non poter svolgere nessun tipo di attività fisica;
Sarebbe ancora lunga la lista di queste misure, che non possono che essere definite sadiche, oltreché stupide, violente, e che umiliano la dignità umana, mortificando senza scopo alcuno le persone detenute, e facendo venire meno ogni credibilità democratica e costituzionale dello Stato.
Oh sì certo, alcune menti “illuminate” al sentire di questi discorsi, immagino potranno tirare in ballo personaggi come Matteo Messina Denaro, che, a detta loro meritano tale trattamento, senza però chiedersi come mai Messina sia potuto tranquillamente restare per trent’anni in latitanza scorrazzando in lungo e in largo per il paese, e soprattutto senza vedere che in realtà sono proprio il caso di Messina e la sua “latitanza” trentennale (persino i muri sapevano dove si trovasse) che mettono in evidenza che sono necessari ben altri strumenti, che non il 41 bis.
Inoltre non perché una persona venga giudicata criminale è giusto allora autorizzare uno Stato a violare i diritti umani minimi di una persona, o accanirsi in misure che niente hanno a che fare ne con la reclusione e con le indagini, tanto meno con la rieducazione, ma che incarnano invece un certo sadismo e voglia di vendetta, oltre che mettere bene in evidenza il tipo di “giustizia” che si intende nel nostro “Bel Paese”, ultragarantista verso i colletti bianchi, le alte cariche e la classe dirigente, e invece giustizialista, punitiva e vendicativa verso gli ultimi.
D’altronde le attuali condizioni del sistema carcerario italiano parlano da sole sul livello di imbarbarimento raggiunto dalla nostra “giustizia” e delle sue carceri. Nel solo 2022 si sono registrati 84 suicidi, un numero venti volte superiore a quello relativo al “mondo libero”. Un suicidio ogni 670 detenuti.
Così scrive anche il “Sole 24 ore” riprendendo un rapporto dell’associazione Antigone.
Per non parlare poi delle centinaia di tentativi di suicidio, dei numerosissimi casi di menomazione permanente che i detenuti si infliggono, come di quelle subite da terzi nel carcere stesso.
A questi numeri vanno poi aggiunti i 204 morti sotto la dicitura “altre cause” registrati l’anno passato all’interno degli istituti penitenziari italiani.
Numeri così alti non si vedevano dal 2009, quando furono conteggiati 79 decessi per suicidio e una condizione di sovraffollamento carcerario che portò l’Italia ad essere condannata dalla Corte Europea per i Diritti Umani per violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea.
Attualmente il numero di detenuti nelle carceri italiane è di quasi 57.000, con un sovraffollamento di quasi 9.000 unità rispetto al limite. Antigone e molte altre associazioni che si interessano della condizione dei detenuti lo stanno denunciando da tempo, ma i prodi paladini della “giustizia” e del “rigore” (numerosi in tutti gli schieramenti politici) sono sordi a questo genere di argomenti, giudicando queste cose come “mali necessari” oppure quisquilie, cose che accadono. Suvvia, diciamocelo chiaro, in fondo sono tutte cose meritate, perché se una persona è in carcere indipendentemente da ogni altra considerazione, significa che qualcosa di male lo avrà fatto no… e allora ha da schiattare.
Ammesso ce ne sia la volontà, per meglio capire la condizione in cui versano oggi la maggioranza delle persone detenute, basterebbe leggere il dato che, nel 40% degli istituti penitenziari il parametro dei 3 metri quadrati calpestabili minimi per ogni persona non è rispettato, che il 44% delle celle è privo di acqua calda, che il 56% è senza doccia, che il 10% è senza riscaldamento perché non funzionante da anni.
Questo più o meno il quadro generale che dà una visione assai diversa della narrazione mediatica di certe persone che prima di andare in televisione a parlare della giustizia italiana, dovrebbero quanto prima recarsi tutte le settimane a visitare un carcere differente, entrare nelle celle, accertarne le condizioni igieniche e sanitarie, constatare il pessimo livello di vita delle persone detenute, presenziare le infermerie per assistere alle decine di casi giornalieri di menomazione e danno permanente delle persone ricoverate, parlare coi detenuti così come con le guardie carcerarie.
Ma si sa, politicamente paga molto più andare in televisione a parlare di “certezza della pena”, “rigore”, “sicurezza”, “giustizia”, “stato forte” (coi deboli) ecc. Ovviamente gli spettatori di certe trasmissioni magari applaudono pure a certe dichiarazioni, ed una parte consistente dell’opinione pubblica approva anche certi trattamenti, senza però rendersi minimamente conto che tali parole che il trattamento di forza, di rigore, e che la certezza della pena vengono applicati in modo più che inflessibile, sconfinando nel sadismo, nella vedetta, ma solo con i più deboli, con gli ultimi, ma mai coi forti, con le altre cariche, con i potenti, a cui deve essere invece sempre garantito un trattamento ben più che di favore, benevolente e comprensivo, d’altronde si sa il metro del rispetto dei diritti e del garantismo mica può essere uguale per tutti.
Sul piano sanitario la situazione carceraria è forse ancora più grave.
Sempre traendo i dati dell’Osservatorio di Antigone e pubblicati dal “Sole 24 ore”, il disagio mentale, legato a importanti patologie psichiatriche o alla tossicodipendenza, è oltremodo presente fra i detenuti, a fronte invece di una scarsissima disponibilità di ore di colloquio con professionisti del settore.
Nella migliore delle ipotesi l’azione “sanitaria” con la somministrazione di vere e proprie bombe farmacologiche, cerca di sopperire ai tanti problemi esistenti, con tutto ciò che ne consegue, ovvero migliaia di detenuti in stato depressivo e confusionale pressoché permanente.
A tutto ciò si unisce poi la carenza di personale di sorveglianza e assistenziale, così come la riduzione del personale penitenziario che non fa che peggiorare ancora di più le condizioni di vita all’interno dei nostri penitenziari.
La vicenda di Alfredo Cospito va ben oltre la narrazione mediatica insulsa e distorta che si sta cercando di dare in pasto all’opinione pubblica, diviene invece indicatore dello stato disastroso dell’onestà intellettuale del nostro Paese, della sua classe politica e dirigente, con parte della popolazione che oltretutto si fa pure abbindolare dai soliti discorsi, di una giustizia e un giustizialismo dai due volti: oltremodo clemente e garantista coi forti, inflessibile, rigorosa e vendicativa coi deboli.
Surreale e al tempo stesso inquietante la bagarre di un “pollaio” mediatico degli ultimi giorni dove si strilla istericamente alla “minaccia anarchica”. Preoccupante perché ricorda il comportamento tenuto da stampa e televisione alle soglie della strategia della tensione, dopo la Strage di Piazza Fontana.
L’atmosfera che si respira oggi nel Paese è davvero brutta.
Alcuni da una parte invitano a smorzare i toni, ma al tempo stesso non si dispiacciono di questa strategia di distrazione, funzionale a far dimenticare la difficile contingenza sociale ed -economica del nostro paese.
Non stupisce che l’Italia, per la libertà di stampa, sia oggi al 58° posto nel mondo, con un sentimento giustizialista ispirato da propositi di vendetta e di sadismo, con lo sbandieramento del consueto nemico pubblico della società, da esibire e punire severamente, a cui non riservare nessun tipo di dialogo, né clemenza alcuna.
Il capro espiatorio di turno deve fungere da catalizzatore per i cattivi sentimenti accumulati e ormai stratificati di questa nostra società, possibilmente distoglierci dai molti mali di cui soffriamo, esponendo il nemico di turno, al pari dei migranti, dei poveri, dei meridionali, dei dissidenti politici, sociali e sanitari, degli oppositori alla guerra e di tutti i deboli e gli ultimi della storia.
Non esiste nessun ideale, sia esso di giustizia, istituzionale, sociale, politico, sanitario, o di altro genere ancora che possa giustificare la morte anche di un solo essere umano, o imporre l’annientamento della sua dignità.
Il carcere che uccide, la giustizia che si accanisce, le crociate persecutorie per un interesse di ordine superiore, oppure per un punto di principio, (che ipocritamente deve valere solo per certi casi ma mai per altri) mostrano il volto brutale della vendetta non dissimile da chiunque usi la violenza politica, fisica, psicologica, sociale per i propri o altrui fini.
da pressenza