Nel paese della doppia morale serviva un mostro estivo da sbattere in prima pagina: il rave di Valentano. Quello che abbiamo visto e cosa indica questo scontro
«Abbiamo avvistato un accampamento di punkabbestia, proveremo ad avvicinarlo con prudenza», diceva con il microfono in mano e lo sguardo rivolto alla telecamera una giornalista di una televisione locale del Sud Italia in una torrida estate del 2007. Alle sue spalle c’era un gruppo di giovani radunatisi per un teknival durato poi due settimane, diventato ingovernabile e terminato con i sacchi di spazzatura appesi agli alberi di un ex centro di accoglienza. Sono passati 14 anni e i «free party», alla faccia di ogni nostalgia per una presunta «età dell’oro», sono cambiati molto. Non è cambiata invece la narrazione mediatica e poliziesca. Nel paese della doppia morale serviva un mostro estivo da sbattere in prima pagina ed eccolo caduto dal cielo: la grande festa nelle campagne della Tuscia iniziata il 14 e finita il 18 agosto.
La zona è stata occupata da dieci soundsystem e un numero incalcolabile di macchine, tende e camper. È al confine tra Lazio e Toscana, al centro di diversi (e ben distanti) paesini. Il più vicino è Valentano, provincia di Viterbo. Dagli elenchi della Regione Lazio non risulta un’area naturalistica protetta (la più vicina è la Selva del Lamone, lontana chilometri). La spianata è invece una proprietà privata, che appartiene all’imprenditore Piero Camilli, già proprietario di varie squadre di calcio tra cui Grossetto e Viterbese, sindaco di Grotte di Castro e candidato senatore alle politiche del 2013 con Fratelli d’Italia. «Le mie terre sono state invase da un’orda di facinorosi», ha sbottato nei giorni scorsi. E oggi al Corriere: «Ho 70 anni e il porto d’armi. Andrei di persona, ma se mi facessi giustizia da solo sarebbe una sconfitta per lo Stato».
A pochi chilometri di distanza dalle casse c’è il lago di Mezzano. Inviti alla cautela erano stati diffusi prima della festa nei messaggi degli organizzatori. «Sono acque maledette», si racconta nella zona ricordando alcuni incidenti. L’ultimo è avvenuto nel pomeriggio di domenica, quando intorno alle 19.30 Gianluca Santiago, di appena 24 anni, si è immerso e non è più tornato a galla. Non è ancora chiaro se il ragazzo venisse dal rave o volesse raggiungerlo soltanto successivamente. Né si conoscono i motivi del decesso. Si attendono i risultati dell’autopsia e degli esami tossicologici (questi ultimi tarderanno almeno due settimane).
Quando il pomeriggio seguente è stato ritrovato il corpo, tra gli organizzatori della festa c’è stato un dibattito sull’opportunità di proseguire o meno, con posizioni molto diverse. Al di là del merito della decisione, forse discutibile ma che si è comunque dovuta confrontare con il complesso scenario di migliaia di persone arrivate anche dall’estero, rimane la durissima campagna mediatica che è montata dopo. Nulla di paragonabile accade in altri ambiti. La stagione balneare romana, per esempio, non è stata interrotta dopo che nelle prime due settimane di agosto otto persone sono morte a causa di malori, quattro soltanto tra il 13 e il 16 del mese.
La tragica fine di Santiago è stata utilizzata da giornali locali e nazionali per scatenare una gara di notizie ambigue o totalmente false. Martedì si è diffusa la notizia di un secondo morto e mercoledì addirittura di un terzo. La fonte? Un non meglio precisato gruppo Telegram. Da ospedali e autorità della zona, però, sono arrivate solo smentite, riportate con molta meno enfasi oppure lasciate in un limbo di incertezza ancora oggi.
Di fronte a menzogne così gravi rimane estremamente difficile fidarsi delle notizie acchiapplaclick sparate a un ritmo più veloce dei 180 Bpm della festa. «Cani morti di caldo», «Un raver bastone il suo cane», «Cani trascinati sotto cassa»… e magari costretti a ballare. Informazioni che sarebbero state postate in un gruppo Facebook e che il giornalista di uno dei più importanti quotidiani italiani ha dato per vere, senza alcuna verifica non solo del fatto, ma persino della fonte.
Tra le altre notizie a tema si registrano le «pecore sbranate dai cani», che oscillano tra due e dieci. Mentre non è dato sapere quante siano state le «mucche costrette ad ascoltare la tekno» e a quale distanza dai sound si trovassero. Nessuna conferma anche per il presunto parto finito sulle pagine di molti siti e giornali.
Al contrario dei ragazzi finiti in ospedale per aver bevuto troppo alcol: sarebbero sette. Ancora incerta la vicenda dei due presunti stupri. Se fosse confermata dovrebbe essere un serio motivo di riflessione: il patriarcato morde ovunque, anche nei luoghi liberati, ed è urgente riconoscerlo e dargli la caccia in ogni posto, anche nei free party.
COSA ABBIAMO VISTO
Di notte sembra un enorme parco giochi: le luci puntellano il buio di una spianata trasformata in accampamento di tribù diverse, su molti camper sventolano i drappi neri con il jolly roger, i bassi rimbombano da ogni lato facendo aumentare l’adrenalina. Di giorno il sole picchia forte, c’è molto giallo e poco verde, quasi nessun albero: si cerca ombra sotto i teli tirati tra i camper e le tende, oppure si continua a ballare. Si può chiamare rave oppure festival di musica elettronica, un teknival curato nell’organizzazione e in molti dettagli.
Le droghe girano, ovviamente, soprattutto quelle sintetiche. C’è chi vende pasticche e polverine e chi alla richiesta di accendino risponde: «Non fumo». I banchetti allestiti non espongono sostanze, ma pizza alla canapa, succhi di frutta bio, bruschette al pomodoro, collanine fatte a mano, magliette serigrafate. C’è uno spazio giochi per i bambini, un castello gonfiabile che attira piccoli e adulti, una ragazza che legge le carte. Ci sono due tende con l’etilometro per fare gratuitamente il test ed evitare di mettersi alla guida in condizioni pericolose. C’è il presidio permanente delle unità di strada per la riduzione del danno, che hanno messo in piedi uno spazio strutturato di informazione, ascolto e intervento sul consumo di sostanze.
Davanti ai sound, ogni mattina, vengono cambiate le buste della spazzatura e raccolto il grosso dei rifiuti. In diversi punti ci sono i secchi per la differenziata: qualcosa che si vede di rado in contesti del genere. Gli impianti sono disposti lungo una linea lunga e inframezzata da roulotte e punti ristoro. I muri di casse corrono orizzontali davanti a grandi spazi dove si può ballare senza alcun assembramento.
Il giochetto delle riprese da lontano che schiacciano i corpi si è già visto durante tutto questo lungo anno e mezzo di pandemia, quasi sempre per criminalizzare i luoghi di socialità dei giovani, ma basta avvicinarsi per vedere lo spazio e attraversarlo. A volte bisogna fare un passo indietro o di lato se si sta creando un po’ di calca: avviene lo stesso in qualsiasi strada o piazza di una città. Qui però siamo in una distesa di campagna grande 30 ettari. Quante persone ci vogliono per assembrarsi in 300mila metri quadrati all’aperto?
DARE I NUMERI
I numeri dei partecipanti alla festa sono stati dati in crescendo, senza alcuna possibilità di verifica: 6, 7, 8mila. Fino ai 10mila riportati dall’Ansa come «la stima che risulta, secondo quanto si apprende, ai comuni toscani vicini di Pitigliano, Manciano e Sorano» per il «picco di Ferragosto». Da dove «si apprende» questa stima o quale sia stato lo strumento di calcolo rimane un mistero. Sui quotidiani di oggi si è letto perfino di 15 o 20mila presenze. Divise per 10 sound dovrebbero essere duemila persone contemporaneamente di fronte a ogni impianto musicale, o magari la metà considerando l’accampamento. Non si è visto nulla del genere.
Altra cosa sarebbe stato spiegare che le migliaia di persone non erano alla festa in simultanea, ma l’hanno attraversata in spazi-tempi diversi, in modo inevitabilmente fluido. Per alimentare la paura del mostro cattivo, però, è più utile giocare alle moltiplicazioni, senza specificare troppo. Così il tradizionale braccino corto della questura nel calcolare chi partecipa a cortei o manifestazioni, nei rave lascia il posto a una grande generosità.
Nella festa di Valentano ci sono stati solo assembramenti occasionali di gruppetti di persone, come su una qualunque spiaggia mediamente affollata o nella maggior parte dei campeggi dello Stivale, molti meno di una qualsiasi via dello shopping di una grande città. È vero che tra ragazze e ragazzi che ballavano quasi nessuno indossava la mascherina e chi lo faceva la utilizzava più per proteggersi della polvere che dal Covid-19. Ma in quale spazio aperto, in quale campagna, in quale bosco, in quale litorale le persone indossano la mascherina in una fase della pandemia in cui è perfino caduto l’obbligo di legge?
Alla fine del rave di Tavolaia (Pisa), andato in scena nella prima settimana di luglio scorso, esponenti politici e istituzionali hanno chiesto di aprire un’indagine per epidemia colposa. Una settimana dopo, il 13 luglio, i calciatori della nazionale hanno prima incontrato il premier Mario Draghi e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e subito dopo sono andati in giro su un pullman scoperto alla guida di una mega sfilata nel centro di Roma. Non in una campagna aperta, ma tra strade e stradine di una città. Nelle settimane successive i picchi di contagi sono stati registrati nella capitale, non a Pisa. Le accuse di «epidemia colposa», però, non sono state mosse contro nessuno.
Fa sorridere poi che a motivare con ragioni sanitarie la caccia al rave siano in primis forze politiche, come Lega e Fratelli d’Italia, che per tutta la durata della pandemia hanno avuto posizioni riduzioniste, quando non negazioniste, e che perfino adesso che c’è l’arma del vaccino continuino a strizzare l’occhio ai No Vax.
PRIORITÀ VARIABILI
Nonostante i grandi sforzi degli organizzatori per ridurre l’impatto ambientale, il teknival avrà avuto degli effetti sull’ecosistema circostante, visto che tante persone si sono radunate insieme. Lo stesso accade di continuo e su una scala estremamente più grande: nelle località turistiche assediate da orde di turisti, nelle spiagge frequentate tra luglio e agosto da centinaia di migliaia di persone, nei sentieri di montagna e sulle piste da sci percorse con sempre maggiore frequenza.
Invece di intervenire sui fenomeni strutturali, però, è più comodo dare la caccia all’untore. Persino in un’estate segnata dall’ennesimo fallimento del G20 sulle questioni ambientali e da incendi che in Italia e nel resto del mondo hanno divorato milioni di ettari di boschi. Persino in un paese che a reti unificate sostiene un governo neoliberista che ha nominato un ministro della Transizione ecologica ribattezzato da tutte le organizzazioni ambientaliste «della finzione ecologica».
Ma il turismo di massa non si può fermare, l’ex Ilva non si può chiudere, la speculazione edilizia si deve condonare. The show must go on tutte le volte che dietro allo show c’è il business. Bisogna invece fermare il rave, perché dietro quella festa non ci sono grandi interessi economici da difendere, non esistono bacini di voti da intercettare. Nella ripartenza non c’è spazio per il divertimento e la socialità, a meno che non producano denaro e consenso politico. In quel caso salute e ambiente possono anche passare alla cassa.
LO SGOMBERO
Tra lunedì e mercoledì si sono moltiplicate le richieste di un intervento di forza per mettere fine alla festa. «Arrestateli tutti», «Mandate l’esercito», «Riempiteli di napalm», «Fate sbarcare i marines», «Che Stato è quello che non riesce a interrompere un rave?». Intanto un po’ di chiarezza: chi ha a cuore l’efficienza degli apparati repressivi dell’Italia può stare tranquillo, i rave si fanno in ogni paese europeo e non è riuscito a interromperli nessun governo, nessun inquilino del Viminale. La destra ha utilizzato quest’occasione per continuare la sua campagna contro Lamorgese, ma vi sveliamo un segreto: anche quando era Salvini il ministro dell’Interno si è continuato a ballare nei free party. A volte con più gusto.
Alle richieste di intervento militare, hanno dovuto rispondere i vertici e i sindacati della polizia. Per raffreddare gli animi e spiegare che, a meno di una carneficina o un vero disastro ambientale, lo sgombero era impensabile. Del resto questo tipo di eventi sono organizzati apposta: quando ci si muove fuori dalla legge, in politica o nelle feste, bisogna agire i rapporti di forza secondo canali asimmetrici, non tradizionali. La massa è potenza.
Alla fine giovedì mattina i ragazzi hanno smontato e sono andati via. Non c’è stata dunque un’azione repressiva violenta, ma un’operazione più sottile di identificazioni, restrizioni, pressioni, accessi negati. Il tutto parallelamente alla campagna mediatica per sbattere il mostro in prima pagina, in cui si sono combinati impulsi voyeuristici e sensazionalismo di un giornalismo d’accatto. La grande eco che ha avuto, però, segnala anche una paura latente: che occasioni di socialità fuori mercato si possano moltiplicare eludendo ogni forma di controllo. È questo l’elefante nella stanza, il grande non detto intorno al dibattito scatenato dal rave: non ci deve essere spazio per forme di socialità non commerciali. Soprattutto in tempo di pandemia. Limitazioni e restrizioni devono colpire in primo luogo tutto ciò che non produce profitto.
Il free party resta il luogo fisico e di immaginario scandaloso, fuorilegge, osceno, irriducibile alla valorizzazione economica e all’industria seriale del divertimentificio. Nel corso della sua lunga storia ha reinventato e trasformato la vocazione dissacratoria e antiautoritaria del carnevale, disegnando fin dagli albori (consapevolmente o no) nuove mappe nelle città post industriali, reinventando se stesso per sfuggire sia ai pruriti repressivi che alle inerzie interne autodistruttive. Dopo 40 anni, non smette di suonare l’inno dei Beastie Boys: «You gotta fight for your right to party».
da DINAMOpress