Il giallo sulla morte di un giovane detenuto di 30 anni a pochi giorni dalla sua scarcerazione
Linea d’ombra sul decesso di un detenuto straniero nel carcere calabrese di Paola. Il ristretto si chiamava Youssef Mouchine, aveva 30 anni e gli restavano pochissimi giorni per essere scarcerato e tornare in libertà. Si sarebbe suicidato nella notte tra il 23 ed 24 ottobre.
La famiglia che vive in Marocco è stata avvisata della sua morte dopo diversi giorni. Youssef era stato già sepolto presso il cimitero del comune di Paola, col nulla osta del pm Anna Chiara Fasano. Il pm, oltre ad aver disposto l’autopsia e l’acquisizione di atti e filmati delle telecamere di sorveglianza, ha chiesto alla direzione del carcere disapere se il detenuto aveva familiari e parenti o altre persone con le quali era in contatto, eventualmente anche per informarli della possibilità di nominare un proprio consulente di parte per partecipare alle operazioni autoptiche e per la restituzione della salma. Invece, e non si capisce il perché, pare che il carcere abbia risposto negativamente chiedendo contestualmente all’autorità giudiziaria il nulla osta per il seppellimento a spese dell’amministrazione.
L’esponente dei Radicali Italiani Emilio Quintieri che ha denunciato questa oscura vicenda spiega che «la salma, come prevede l’Ordinamento penitenziario, avrebbe dovuto essere messa immediatamente a disposizione dei congiunti e solo qualora alla sepoltura non volessero provvedere i predetti, l’amministrazione doveva farsene integralmente carico”. Per tale motivo, Larbi Mouchine, padre di Youssef, sempre su consiglio del radicale Quintieri, ha nominato l’avvocato Manuela Gasparri del Foro di Paola, conferendole espressamente mandato di rivolgersi alla procura della Repubblica di Paola, perché sia fatta piena luce sulla morte del figlio, non riuscendo a credere che si tratti di suicidio atteso che il fine pena era imminente e lui voleva tornare in Marocco per sposarsi ed anche perché durante le pochissime telefonate intercorse questi aveva lamentato di essere ripetutamente maltrattato, di essere messo in isolamento in cella liscia e costretto a dormire sul pavimento a causa delle sue rimostranze poiché non gli veniva consentito di corrispondere telefonicamente con la famiglia.
Nella mattinata di giovedì scorso, la cugina di Youssef, Zaineb Belaaouej, accompagnata dagli avvocati Manuela Gasparri e Carmine Curatolo, si è recata presso la procura della Repubblica di Paola per parlare con il pm Fasano, raccontandole i fatti di sua conoscenza. Nei prossimi giorni, invieranno una dettagliata memoria scritta alla Procura, con la quale sporgeranno denuncia contro l’Amministrazione penitenziaria e la citeranno in giudizio per non aver tutelato la incolumità del loro congiunto, avendone l’obbligo. Tra l’altro – denuncia il radicale Emilio Quintieri – la direzione della Casa circondariale di Paola, non ha risposto al Consolato generale del Regno del Marocco di Palermo, competente anche per la Regione Calabria, il quale il 31 ottobre ha chiesto notizie sulla morte del proprio connazionale. I familiari chiederanno aiuto al Re Mohammed VI, al ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione del Regno del Marocco.
Ahmed Berraou, il responsabile del Dipartimento Politiche dell’Immigrazione della Cgil di Cosenza e capo della locale comunità marocchina, dopo aver appreso della misteriosa morte del suo conterraneo, commenta: «Esprimo a nome mio personale tutto il mio sdegno per la morte del giovane Youssef Mouchine avvenuta, nelle scorse settimane, nella casa circondariale di Paola. È assolutamente necessario che si faccia chiarezza anche perché non è la prima volta che accadono fatti del genere». Berraou prosegue con una denuncia: «La direzione del carcere, nei mesi scorsi, ha proceduto a revocare l’autorizzazione accordata alla mediatrice culturale Shyama Bokkory asserendo, falsamente, che non vi erano più detenuti extracomunitari nell’Istituto». Il capo locale della comunità marocchina infine conclude con una serie di domande: «Per quale motivo non è stata avvisata tempestivamente la famiglia di Mouchine del suo decesso? Per quale motivo, nonostante la richiesta della famiglia di voler restituito il cadavere per il funerale secondo il tradizionale rito islamico, hanno proceduto alla sepoltura in un cimitero cristiano? Per quale motivo non hanno riscontrato la richiesta pervenuta dal Consolato generale del Marocco di Palermo che chiedeva informazioni sulla morte di Mouchine? Non è possibile che in uno Stato civile come l’Italia possano esserci delle Carceri gestite in questo modo».
Non è nuovo un caso del genere nel carcere di Paola. Sempre quest’anno, un detenuto che si chiamava Maurilio Pio Morabito, in carcere per spaccio di stupefacenti, si sarebbe suicidato nell’aprile scorso nella sua cella, dopo aver trascorso un periodo di isolamento in una cella liscia. Il suo fine pena era imminente. Maurilio sarebbe uscito dal carcere il 30 giugno. Aveva anche scritto una lettera indirizzata ai familiari e al suo avvocato con queste inquietanti e profetiche parole: «Se dovesse accadere un mio eventuale decesso, facendo il tentativo di farlo passare per un suicidio, non è così in quanto amo troppo la vita e il mio fine pena è imminente, 30 giugno. Ovvio che l’agente che fa la notte sa». Anche in questo caso ci sono delle nubi a cui l’autorità giudiziaria dovrà dare una risposta chiara.
Damiano Aliprandi da il dubbio