Un colpo di mortaio lunedì notte vicino all’aeroporto di Mitiga, a Tripoli, è suonato come un avvertimento in vista della riapertura, ieri, dello scalo. Questo è il paese senza stato, in guerra civile, con cui l’Italia dovrebbe rinnovare il memorandum sottoscritto nel 2017. In assenza di atti ufficiali, l’accordo si intenderà sottoscritto a partire dal prossimo sabato e la collaborazione con la Guardia costiera di Tripoli per appaltare a loro i respingimenti di migranti proseguirà.
L’esecutivo continua a non fare chiarezza. Infatti del decreto emesso il 15 settembre dal Consiglio presidenziale del governo di accordo nazionale libico si è avuta notizia in Italia solo grazie all’Ufficio immigrazione dell’Arci, che l’ha tradotto e pubblicato. L’Arci l’ha definito «il codice Minniti libico» perché ricalca quello dell’ex ministro dem.
In base alle disposizione del governo che fa capo a Fayez al Serraj, le organizzazioni non governative che intendono svolgere attività di Ricerca e soccorso nelle acque libiche devono chiedere l’autorizzazione a Tripoli e rispettarne le norme: le navi che non lo fanno saranno sequestrate. Le ong sono tenute a «fornire tutte le informazioni necessarie, anche tecniche, al Centro di coordinamento libico per il salvataggio»; a non bloccare le operazioni della Guardia costiera locale e a «lasciarle la precedenza d’intervento»; a informare preventivamente il Centro di coordinamento libico di iniziative autonome, anche se urgenti. I naufraghi salvati dalle Ong «non vengono rimandati in Libia tranne in casi eccezionali». Il personale libico «è autorizzato a salire a bordo per tutto il tempo valutato necessario, per motivi legali e di sicurezza». Le ong s’impegnano a «non mandare nessuna comunicazione o segnale per facilitare l’arrivo d’imbarcazioni clandestine».
L’Arci, con Filippo Miraglia, denuncia: «Il “codice Minniti libico”, come quello dell’ex ministro italiano, punta a ostacolare e criminalizzare i salvataggi. È per di più illegittimo perché emanato non da uno stato sovrano, ma da una delle parti in causa nella guerra civile in atto. Il decreto viene utilizzato per dare credibilità alla cosiddetta Guardia costiera libica. I rapporti dell’Onu hanno dimostrato come quest’ultima sia un miscuglio di milizie e trafficanti». Stamattina a Roma il Tavolo Asilo presenta la lettera aperta che invierà al governo italiano per chiedere di non rinnovare il memorandum. «Molte inchieste hanno svelato la totale inefficienza del Centro di coordinamento libico – conclude Miraglia -. Non hanno a disposizione strumentazione e protocolli per le attività di Ricerca e soccorso, alle richieste telefoniche non rispondono mai prontamente. Nel 2019 hanno riportato più di 7mila persone nei lager libici».
Una conferma involontaria a quanto sostenuto dall’Arci è arrivata da Mohamed Sakr, funzionario della Guardia costiera di Tripoli interpellato ieri dall’Agenzia Nova: «Non abbiamo ricevuto dal ministro dell’Interno del Governo di accordo nazionale alcun mandato di cattura per Bija» cioè Abd al Rahman al Milad, l’ufficiale accusato di violenza e traffico di esseri umani, direttore della Guardia costiera a Zawiya. Sakr ha aggiunto di essere in contatto con il primo ministro al Sarraj «per rimuovere Bija dall’elenco delle sanzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu dal momento che è uno dei principali leader coinvolti nella difesa di Tripoli. Le accuse si basano su voci diffuse per danneggiare la nostra Guardia costiera». Bija è stato sanzionato dall’Onu per complicità nella tratta di migranti, la sua attività era già nota nel 2017 quando il governo italiano lo accolse per una serie di incontri ufficiali.
Anche Oxfam, con Paolo Pezzati, chiede di bloccare il memorandum: «L’accordo non è mai stato ratificato dal parlamento, contrariamente a quanto previsto in Costituzione. Nei centri di detenzione sono rinchiuse oltre 4.500 persone. In quelli non ufficiali, gestiti da criminali, ne sono stimati a decine di migliaia. I governi italiani hanno continuato a finanziare i libici per un costo di oltre 150milioni di euro dal 2017 al 2019».
Da Mediterranea l’invito a mobilitarsi: «Fino a sabato riempiamo le strade e le piazze per affermare il nostro dissenso».
Adriana Pollice
da il manifesto