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Un movimento alla sbarra

Dal G8 del 2001 a oggi sono numerosi i casi in cui la magistratura ha cercato di trasformare le lotte politiche in azioni puramente delinquenziali

Milano, Roma, Bologna, Firenze, Genova e Torino. Ma anche Nuoro, Benevento, Brescia, Caserta, Lecce, Catania, Cosenza, Rovereto, Cecina. Precariato, G8, antifascismo, anarchici, blocchi stradali. Metropoli e provincia, lotte sociali e iniziative. Dal 2001 quasi tutto è unito da un unico elemento: il tentativo e la necessità di difendersi nei molti processi che – dal G8 genovese in avanti, fino ad oggi – hanno tenuto occupato gran parte del movimento, così ampio e composito, fino al luglio 2001. Per questo forte, attraente e portatore di novità. L’esatta collocazione storica del G8 genovese – così come le sue conseguenze – deve ancora essere inquadrata in modo organico e storico. Sicuramente, nella vita quotidiana di spazi sociali, militanti, attivisti, ha segnato uno spartiacque, un decisivo momento di passaggio, sia per quanto riguarda le mobilitazioni di massa, e la loro eterogeneità, sia per la criminalizzazione, via via crescente, delle lotte sociali e dei suoi protagonisti.L’impatto emotivo e giudiziario seguito a Genova ha dato vita a numeri da capogiro, una sfilza di nuovi reati prodromici al blocco totale circa la possibilità di contestazione dello status quo, un impegno costante e stancante per gli attivisti e le organizzazioni: difendersi, mantenere intatta la memoria storica e rilanciare le grandi battaglie sociali. Un compito arduo, con numeri di partecipanti via via in diminuzione, con la fine dell’esistenza di molti spazi sociali (a Milano il dato è macroscopico) e la progressiva atomizzazione dell’attivismo (basti pensare alla crisi di Indymedia e al trionfo dei blog di movimento): impegni continui su più fronti giudiziari, a confondersi e insistere con le nuove tecnologie di controllo sociale, sempre più distribuito, unitamente alla militarizzazione del territorio e alla riduzione delle lotte sociali a mero e semplice gestione dell’ordine pubblico. La repressione è soprattutto questo: processi, accuse, reati, che mirano a criminalizzare ogni tentativo di opposizione, rilancio e memoria storica o difesa dei propri diritti, vedi Acerra, le lotte No Tav e le recenti gestioni dell’emergenza rifiuti. Non contano i colori politici, le appartenenze: a Genova, e da Genova, nasce una nuova strategia repressiva. Viene tirato fuori, dopo molto tempo, il delitto di devastazione e saccheggio. Dal 2001 è stato utilizzato oltre che a Genova, a Milano e a Torino. Un reato che prevede pene altissime e che riduce le lotte sociali ad azioni delinquenziali fuori tempo massimo e soprattutto, quasi, comuni. Un passaggio ideologico decisamente interessante, dopo anni e anni di reati associativi appioppati, e accade ancora, come niente fosse. Un reato che segna un cambiamento generale in tema di controllo sociale: chi si oppone allo status quo, è un devastatore, un saccheggiatore, un delinquente, un barbaro, un incivile, un corpo non da estirpare in quanto antitetico, ma da isolare in quanto aberrante. Un reato fortemente ideologico. Devastazione e saccheggio, ma non solo, basti pensare alla difese dai fascisti che diventano, per le procure, rapine, violenze private, resistenze. I filoni, si parla di circa novemila persone sotto processo solo nella stagione berlusconianafino al 2005, cui poi si sono aggiunti i sindaci sceriffi e legalisti di sinistra, interessano tutti i gangli attraverso i quali il movimento tentò di esprimersi nel luglio 2001: contrapposizione alle politiche liberiste, lotte sociali riguardanti il tema della precarietà (e con esso il diritto alla casa, ai servizi, al reddito), le lotte anti repressive degli anarchici, le lotte dei migranti.Per gli anarchici, sempre bastonati, non si è trattato di un’inversione di tendenza: da sempre l’intelligence italiana, prima della prima repubblica, durante e dopo, ha mirato a loro in ogni situazione di difficoltà. Per loro il trattamento è sempre lo stesso. L’operazione più vistosa è stata la cosiddetta Operazione Cervantes: il 27 luglio 2004 furono perquisite un centinaio di persone, di cui 34 indagate per «associazione sovversiva, terrorismo ed eversione dell’ordine democratico» (270/270bis), mentre 4 furono gli arresti. L’indagine era finalizzata all’individuazione degli autori degli attentati all’istituto scolastico Cervantes e a una caserma di Roma nel 2003 e al tribunale di Viterbo nel gennaio 2004. Nel filone repressivo post G8, non manca la criminalizzazione di chiunque si occupi di precarietà (lavorativa, sociale, di esistenza): ecco i processi contro gli attivisti della MayDay del 2004 a Milano, il processo per l’esproprio proletario del 6 novembre a Roma, gli innumerevoli processi per azioni contro la guerra, il reddito, i migranti e la casa (Bologna, Roma e Firenze ultimamente con le condanne a 7 anni per chi manifestò al consolato Usa del 13 maggio 1999). Anche in questo caso le mosse delle varie procure, sembrano inserirsi nel solco ideologico delle nuove tecniche repressive: disconoscere il primato politico delle varie forme di opposizione, per sancirne la resa giudiziaria delinquenziale e tramutare ogni affaire politico in ordine pubblico, il controllo in militarizzazione, la quiete sociale con la delazione, per favorire forme sperimentali – basti pensare alla prossima introduzione degli steward negli stadi – in cui ciascuno è controllore degli altri e via via di sé stesso, consentendo il trionfo dell’atomizzazione e della morte sociale.

Simone Pieranni da il manifesto