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Un paese a disagio con i diritti umani

Le due nuove condanne inflitte dalla Corte europea per i diritti umani fanno dell’Italia uno dei paesi più problematici – fra i 47 di cui la Corte si occupa – in materia di tortura. Esaminando le sentenze una per una e stilando una classifica, scopriremmo probabilmente che l’Italia,  in materia di tutela dei diritti fondamentali (in special modo nei luoghi di detenzione), è più vicina a paesi come la Russia, l’Ucraina e la Turchia che a Francia, Germania o Gran Bretagna.

È un problema noto da molti anni, documentato dalle maggiori organizzazioni di tutela dei diritti umani, dalle cronache dei giornali e ormai anche dai tribunali. Ma qual è stata la risposta delle istituzioni? Che cosa si è realmente fatto nella prevenzione degli abusi e nella punizione dei responsabili di casi di tortura?

I giudici europei su questi punti sono stati durissimi e chiarissimi. L’Italia è priva di strumenti di intervento adeguati e in aggiunta diversi apparati dello stato hanno compiuto scelte profondamente sbagliate: l’azione della magistratura è stata “impunemente ostacolata” (citazione testuale dalla sentenza Cestaro); i vertici dello stato non hanno preso provvedimenti contro i responsabili di tortura, né sospesi né licenziati nonostante rinvii a giudizio e condanne; niente di serio è stato fatto nell’ottica della prevenzione.

La vicenda della legge sulla tortura è emblematica. Nel luglio scorso è stata approvata una norma paradossale, che probabilmente non si applicherebbe proprio ai casi Diaz e Bolzaneto per i quali siamo stati condannati (lo avevano denunciato – inascoltati – ai presidenti delle camere undici undici giudici genovesi) e che comunque, parole del commissario del Consiglio d’Europa per i diritti umani, apre ampi varchi all’impunità.

La verità è che non esiste nel nostro paese – nella sua classe politica e intellettuale – la volontà di riconoscere che abbiamo serie difficoltà nella tutela dei diritti umani: ai casi eclatanti delle torture si sommano l’opacità degli apparati di sicurezza, la scarsa attitudine a rendere conto del proprio operato, l’inesistenza di un’autorità indipendente di vigilanza.

La verità è che il legislatore, anche di fronte casi eclatanti come le torture, le violenze e i falsi  durante il G8 genovese del 2001, non si è mai schierato dalla parte dei cittadini sottoposti ad abusi odiosi e gravissimi, e si è invece messo dalla parte di apparati autoreferenziali e riottosi rispetto alle regole di condotta tipiche delle forze di polizia nelle migliori democrazie.

Le conseguenze sono sotto i nostri occhi: l’impunità generalizzata; la legge truffa sulla tortura; l’indifferenza- va detto anche questo –  verso i campi di detenzione delocalizzati in Libia, ultima perla di un paese chiaramente a disagio con la dottrina dei diritti umani.

Lorenzo Guadagnucci – Giornalista e scrittore, fa parte del Comitato Verità e Giustizia per Genova.

da Comune-Info