«Perdeva molto sangue dal naso» racconta un giovane migrante afghano testimone di quanto accaduto ad un suo compagno di viaggio al confine ungherese, nel settembre 2019, mentre provava ad attraversarlo con un gruppo di altri 8 giovani afghani, di età compresa tra i 16 e i 19 anni. Un ufficiale tedesco, in divisa con la bandiera dell’Unione europea, li aveva presi a pugni sul petto, sulle spalle e in faccia, rompendo il naso a uno di loro. Erano presenti anche dodici ufficiali della polizia ungherese. I ragazzi afghani sono stati costretti a marciare, con le mani dietro la testa, fino alla vicina stazione di polizia e a immergersi nell’acqua gelida di una piscina: «ridevano mentre registravano le operazioni con videocamere digitali e smartphone», prosegue il racconto.
Si intitola «Black Book of Pushbacks» il report di 1500 pagine realizzato dall’Ong Border violence monitoring network (Bvmn) che ha raccolto prove e testimonianze relative alle violazioni di diritti umani in atto lungo i confini europei. «In ogni nostra visita – spiegano i redattori – abbiamo sempre trovato bambini, donne e uomini che stavano soffrendo. Le persone che incontravamo erano terrorizzate da ciò che si lasciavano alle spalle e impaurite da ciò che avevano davanti».
Negli ultimi anni, le testimonianze di violenza «crudele, sadica e degradante» sono cresciute di pari passo al numero dei respingimenti forzati (pushback). Questa pratica si concretizza quando i migranti, collettivamente, vengono forzati a uscire fuori dai confini europei senza la possibilità di fare richiesta di asilo politico. In questo modo non esiste alcun strumento giuridico per contrastare l’espulsione. A partire da marzo 2016, quando è stata formalmente chiusa la rotta balcanica, le forze di polizia e gli ufficiali di frontiera hanno avviato prassi vessatorie nella gestione delle pressioni migratorie.
Seppur la pratica dei respingimenti forzati è proibita dalle leggi internazionali, tali abusi e altre forme di violazione di diritti fondamentali hanno continuato a essere perpetrati ai confini dell’Ue dalle forze di polizia italiane, slovene, ungheresi, greche e croate, con metodi spesso violenti. Furti, calci, manganellate, insulti, uso di armi, attacchi da parte di cani. E ancora costringere le persone a spogliarsi o premere i loro corpi verso il suolo, immergerle in acqua ed esporle a temperature estreme sono state le più comuni tipologie di violenza usate durante i respingimenti: metodi che violano il divieto di tortura e di trattamenti disumani e degradanti sancito dall’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Ciò avviene di routine e gli ufficiali di frontiera coinvolti restano impuniti, protetti da poco convincenti smentite governative.
Le testimonianze raccolte da Bvmn nel periodo tra il 2017 e il 2020 sono state 892 e riguardano 12.654 casi di respingimenti sia verso altri Paesi Ue (cosiddetti respingimenti a catena), sia verso Paesi extra-Ue. In media, il 42,5% delle testimonianze ha coinvolto dei minori. In 12 casi, verificatisi ai confini di Grecia, Albania e Ungheria, è stata riportata dai testimoni la presenza e il coinvolgimento nelle operazioni e nelle violenze di ufficiali in divisa riportante la bandiera dell’Ue, presumibilmente identificabili come appartenenti all’agenzia europea Frontex. «A loro non importa dove ti picchiano. Ti colpiscono negli occhi, dovunque» sono le parole di un anonimo testimone, che insieme ad altre 3 persone provenienti dalla Siria e dal Marocco ha provato ad attraversare il confine nord della Grecia verso la Macedonia del Nord, lo scorso 17 agosto 2020. «Ci trattavano come animali» afferma e descrive la presenza di ufficiali di polizia della Repubblica Ceca, della Germania e un potenziale ufficiale di Frontex (divisa scura con una visibile bandiera dell’Unione europea sulle spalle). La cruda testimonianza riporta che prima di essere espulsi sono stati picchiati con manganelli, costretti al suolo e presi a calci da ufficiali di polizia macedone e da quattro persone a volto coperto: alcuni di loro facevano foto e video della violenza.
«Bisogna sottolineare – spiegano gli editori del «Black Book», Hope Barker e Milena Zajovic – che questo report presenta soltanto i casi direttamente osservati dai volontari del Network: ciò significa che il numero reale delle vittime potrebbe essere più alto. Per esempio, i nostri volontari hanno potuto registrare i respingimenti di 3272 persone dalla Croazia verso la Bosnia o la Serbia nel 2019, incluse 612 persone che erano già state respinte a catena dall’Italia o dalla Slovenia».
Si stima che siano stati oltre 25.000 i casi di respingimenti dalla Croazia soltanto nel 2019. A partire dal 2016 sono state avanzate continue denunce da parte di diverse Ong dirette alle istituzioni degli Stati membri deputate al controllo e alla salvaguardia dei diritti fondamentali: spesso sono state rigettate o considerate infondate.
Simone Lo Presti
da il manifesto