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Una legge sulla tortura con i nomi dei torturati

Lucia e Ilaria, Patrizia e Domenica scrivono ad Amnesty. Sono le sorelle di Uva e Cucchi, la madre di Aldrovandi e la figlia di Ferrulli.

«Fino a che la legge sulla Tortura non esisterà, nel nostro Stato non si potrà certo dire che essa è stata commessa». Lucia e Ilaria, Patrizia e Domenica scrivono ad Amnesty. Sono le sorelle di Uva e Cucchi, la madre di Aldrovandi e la figlia di Ferrulli. Da tempo sono il nucleo di una sorta di famiglia allargata, accomunate dall’essersi imbattute in feroci “controlli di polizia” o in impasti di malasanità-malocarcere e malapolizia. Scaraventate sulla scena pubblica per intercettare le scarse chances di ottenere verità e giustizia, sotto pressione per anni per le lentezze della giustizia italiana e le “timidezze” dello Stato quando deve processare se stesso. Sotto choc perché i loro figli, padri, fratelli «non sono morti in guerra, non sono morti per incidenti stradali o sul lavoro, no! Sono morti in modo disumano perché sottoposti alla violenza di coloro che, soltanto essi, quella violenza potevano esercitare perché in nome dello Stato».


Forti di almeno centomila firma già raccolte per reclamare l’introduzione del reato di tortura e la possibilità di un codice alfanumerico che dissuada agenti mascherati dal commettere reati su manifestanti inermi, le donne-coraggio loro malgrado, scrivono all’ong che prova a sorvegliare il rispetto dei diritti umani per continuare – mentre proseguono (o devono prendere forma) i processi per quesi tutti loro casi – una battaglia che possa restituire l’unica cosa che alle loro povere famiglie può esser restituita: la verità. E una legge sulla tortura che porti i loro nomi. Di seguito il testo della lettera.


Lettera aperta ad Amnesty International sezione italiana

Federico, Stefano, Giuseppe, Michele.
Aldrovandi, Cucchi, Uva, Ferrulli.

Quattro cittadini italiani divenuti loro malgrado simboli per la lotta per i diritti umani, provenienti da quattro famiglie italiane assolutamente normali il cui destino ha voluto s’incontrassero nelle loro morti stupide insensate, violente.

Il destino ha voluto che queste nostre famiglie si unissero per percorrere insieme il difficile cammino per avere verità e giustizia sulla uccisione dei nostri cari.

Figli, fratelli, padri, morti in nome di non si sa che cosa.

Non può esistere ragione alcuna che possa giustificare queste morti.

Ancor meno una ragione di Stato.

Uno studente di scuola media superiore, un geometra, un operaio, un artigiano.

Questi sono i nostri cari.

Non sono morti in guerra, non sono morti per incidenti stradali o sul lavoro , no! Sono morti in modo disumano perché sottoposti alla violenza di coloro che, soltanto essi, quella violenza potevano esercitare perché in nome dello Stato. Le nostre famiglie, un tempo tanto lontane, nella loro perfetta normalità, da queste realtà, sono vissute nell’intima e scontata convinzione che la vita umana fosse un dono di Dio, supremo, il più importante, quello di fronte al quale ogni cosa doveva piegarsi.

La vita di una persona è il valore supremo di ogni società civile degna di questo nome.

Nulla ne può giustificare il sacrificio perché la sua perdita ha un valore terribilmente superiore a qualsiasi altra cosa. Questo era ed è il nostro comune sentire, che crediamo appartenga o debba appartenere a tutti.

Lo davamo quasi per scontato, nella sua formidabile ovvietà. Ora sappiamo che nemmeno oggi, in questo Paese, questo valore può essere dato per scontato.

Ora sappiamo perché in Italia, unico paese europeo, non è stata ancora adottata la legge sulla Tortura, nonostante tutti gli imbarazzanti inviti rivoltiLe dalla comunità internazionale. Lo abbiamo capito da come lo Stato Italiano e le sue istituzioni ci hanno trattato.

Pensavamo “stupidamente” che li avremmo avuti al nostro fianco nell’insopprimibile esigenza di trasparenza, giustizia, verità.

Quanto sbagliavamo! Esattamente tanto quanto pensavamo che parole come arresto, carcere, tortura, diritti, processo non avrebbero mai avuto a che fare con persone perbene e normali come noi, che di esse non dovevano certo aver bisogno. Abbiamo invece capito, nostro malgrado, l’ ipocrisia dell’affermazione di questi sacrosanti principi, da parte di coloro che invece di stare al nostro fianco non si sono limitati a lasciarci al nostro destino di famiglie ferite, ma ci hanno addirittura ostacolato con ogni mezzo palese o meno che fosse, nel nostro faticosissimo percorso.

Fino a che la legge sulla Tortura non esisterà, nel nostro Stato non si potrà certo dire che essa è stata commessa. Se Federico Stefano Giuseppe Michele sono morti per cause naturali o per colpa di loro stessi o, peggio, dei loro familiari, ogni problema di credibilità e prestigio delle Istituzioni e dello Stato sarà risolto. Questi sono i “facili” ma efficaci meccanismi che ad ogni morte di carcere o di Polizia vengono immediatamente avviati contro le famiglie coinvolte. Sono paralleli e simili a quelli che fanno rispondere il sottosegretario agli Esteri Italiano all’ONU che “in Italia non c’ è bisogno di una legge sulla Tortura perché la Tortura non esiste”.

Non esistono nemmeno né mai sono esistiti Federico, Stefano, Giuseppe, Michele. Nemmeno noi siamo mai esistiti. Ma non per la stampa. Non per i giornalisti. Non per le televisioni. Non per il mondo di internet. Per loro merito noi abbiamo visto restituire identità e dignità ai nostri morti. Per loro interesse ed impegno noi abbiamo potuto avere addirittura, in qualche caso, Giustizia come più di un Giudice ha detto.

Ma questo non va bene . E non perché non dovrebbe esser necessaria l’attenzione dell’opinione pubblica per avere i processi , ma perché è addirittura meglio eliminare il problema negando la possibilità per le vittime di questi terribili fatti di rivolgersi alla stampa per chiedere aiuto pubblicando atti processuali od intercettazioni telefoniche. Tutto questo è figlio di una matrice culturale che non ha a cuore veramente la tutela dei cosiddetti diritti umani, espressione che suona quasi fastidiosa a fronte di ben più importanti interessi “superiori”. Federico Stefano Giuseppe Michele sono diventati un simbolo. Sono morti ” privilegiati”.

Il feroce meccanismo di negazione, insabbiamento, oblio, non è riuscito a cancellare la loro esistenza dopo la loro morte. Non è riuscito ad eliminare definitivamente ogni traccia di dignità in nome della ragione di interessi superiori.

I nostri morti sono “fortunati ” (se di fortuna si può parlare) rispetto a tutti coloro numerosi e dimenticati, ma non dalle loro famiglie, la cui dignità è stata viceversa sepolta.

A loro noi ci rivolgiamo affinché questa nostra battaglia possa restituire l’unica cosa che alle loro povere famiglie può esser restituita: Verità. Ed una legge sulla Tortura che porti anche i loro nomi.

Patrizia Moretti, Ilaria Cucchi, Lucia Uva, Domenica Ferrulli
Checchino Antonini  da Globalist