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Una sentenza "politica" che calpesta la verità sui tragici giorni del G8 a Genova

La Corte di Appello di Genova ha emesso, il giorno dopo aver assolto l’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro, la sentenza d’appello del processo a 25 manifestanti accusati di devastazione e saccheggio durante il G8 del 2001. I giudici di secondo grado, pur riducendo da 24 a 10 il numero dei condannati hanno aumentato sensibilmente le pene. Una sentenza, pericolosa sotto il profilo delle garanzie democratiche, perché il reato di devastazione e saccheggio, condanna inflitta a 10 imputati, ora che è stato applicato a manifestazioni politiche, diventa uno strumento adatto a logiche autoritarie di appianamento del dissenso e del conflitto sociale. Oltretutto e’ una figura di reato sfuggente e assai opinabile. Chi può infatti fissare con certezza il confine fra il “semplice” danneggiamento, punito con pene ragionevoli, e la devastazione e saccheggio? Si tratta di una norma civetta, celata nell’ordinamento democratico, ma può essere impugnata secondo una logica che democratica non è. Che ne siano consapevoli o meno, la Corte di Appello di Genova ha avallato una concezione autoritaria della pena. I 10 imputati e condannati per il reato di devastazione e saccheggio sono stati individuati a molti mesi di distanza, tramite foto e filmati, e si è loro contestato un reato che nessuno ricordava più nelle aule di giustizia, visto che negli ultimi decenni è stato utilizzato solo in rari casi riguardanti azioni teppistiche di gruppi di tifosi e mai per manifestazioni di piazza. E’ stata una pietanza servita a freddo. Qui si arriva alla “vendetta preventiva”. In questi lunghi otto anni abbiamo detto di chiamare le cose con il loro nome e allora diciamo senz’altro che i processi genovesi sono processi politici. Lo sono perché il G8 del 2001 è stato un punto di svolta nella storia recente d’Italia e perché chiamano in causa i massimi vertici delle forze dell’ordine e il potere politico per palesi e reiterate violazioni dell’ordinamento costituzionale. Tutto quello che è avvenuto in questi anni nelle aule del tribunale di Genova e, sul piano politico, intorno ai fatti del G8, è un palese tradimento della lettera e dello spirito della Costituzione. A Genova per più giorni furono soppresse le garanzie costituzionali, fu abiurato lo stato di diritto. Se la Costituzione fosse cosa viva, animatrice giorno per giorno della nostra vita pubblica, il dopo Genova sarebbe stato un cataclisma giudiziario e politico. Avremmo visto ministri e presidenti del consiglio chiedere scusa alla cittadinanza e alle vittime di tutte le violazioni compiute dalle forze dell’ordine. Tutti gli operatori coinvolti nelle operazioni sarebbero stati sospesi, i massimi dirigenti allontanati. Qualcuno sarebbe stato anche licenziato. Il parlamento avrebbe avviato un’inchiesta e progettato leggi di riforma delle forze dell’ordine. Il tema delle libertà civili e del diritto al dissenso sarebbe stato percepito come un’autentica emergenza democratica. Come ben sappiamo, niente di tutto questo e’ avvenuto.
La verità , temo. è che la nostra Costituzione è come morta. Non anima più la vita istituzionale, non è il il faro che illumina il parlamento, i tribunali, la vita di tutti i giorni. C’è ancora tempo per rimediare? Tutti noi lo speriamo, ma dobbiamo davvero chiamare le cose con il loro nome ed essere tutti consapevoli di qual è la posta in gioco: il futuro, se non il presente, delle garanzie costituzionali.

Italo Di Sabato responsabile osservatorio sulla repressione Prc/Se

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