Intervista agli avvocati Zsófia Moldova ed Erika Farkas dell’associazione Helsinki Hungarian Committee è tra le principali Ong che monitorano in maniera indipendente le carceri ungheresi
di Massimo Congiu da il manifesto
L’Helsinki Hungarian Committee è tra le principali Ong di Budapest che monitorano in maniera indipendente le carceri magiare. Dove si trova da 10 mesi Ilaria Salis, in attesa di giudizio, e dove rischia di finire Gabriele Marchesi, su cui pende un mandato d’arresto europeo. Entrambi sono accusati di aver aggredito dei militanti neonazisti il 10 febbraio scorso. Zsófia Moldova ed Erika Farkas sono due avvocate dell’Ong, lavorano nei programmi su giustizia e Stato di diritto.
Come si vive nelle carceri ungheresi?
Zsófia Moldova: Le condizioni di detenzione sono critiche. Ci sono grandi problemi di comunicazione con l’esterno. La proporzione fra numero dei detenuti e operatori penitenziari presenta squilibri più che evidenti.
La politica ungherese si occupa di questo problema?
ZM: Come può farlo un sistema illiberale e populista. Ma non basta: il tema riguarda 19mila detenuti. Mai così tanti dal 1990. L’Ungheria è lo stato Ue con la più alta percentuale di persone in carcere rispetto alla popolazione. La lunghezza delle pene detentive è superiore alla media europea.
Con che frequenza si ricorre al carcere?
ZM: Qui non vale il principio della detenzione come ultima ratio. Nelle carceri ci sono tantissime persone che dovrebbero stare altrove. Non è compito del sistema penale o penitenziario rimediare alle carenze di politiche sociali e assistenza psichiatrica.
Quali sono i limiti della carcerazione preventiva?
ZM: Dipende dal reato di cui si viene accusati. Secondo i dati della procura in quasi il 10% dei casi la durata dell’arresto supera i 12 mesi. Il codice di procedura penale stabilisce che può arrivare fino a cinque anni per chi rischia l’ergastolo. Per i reati punibili con oltre un decennio di carcere [come quello di Salis, ndr] la carcerazione preventiva può durare anche quattro anni.
A livello giudiziario cosa succede?
Erika Farkas: Dal 2011 il governo attenta costantemente all’indipendenza della magistratura. Perciò il tema è centrale, insieme a quello della corruzione. Secondo l’Ue esiste un problema grave, a livello di Stato di diritto. Ciò ha portato al congelamento dei fondi di coesione alla fine del 2022. Il primo passo significativo di questa serie di attacchi è stato la destituzione prematura dell’ex presidente della Corte Suprema András Baka, in relazione alla quale la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che non si trattava solo di una violazione dei diritti nei confronti dell’interessato, ma di un’iniziativa che ha provocato effetti deleteri su tutta la magistratura. Lo scopo del governo Orbán era quello di mettere a tacere i giudici critici che difendevano la loro indipendenza.
Ci sono riusciti?
EF: Si è verificato un pensionamento forzato di molti giudici e tanti dirigenti dei tribunali sono stati costretti a dimettersi. La Corte di giustizia Ue ha accertato la violazione della legge, ma il danno verificatosi è irreparabile: le figure rimosse sono state sostituite da personaggi nominati dalla maggioranza politica. Le leggi formulate dal 2010 hanno consentito un’attività amministrativa sostanzialmente incontrollata per più di dieci anni. Siamo stati testimoni di numerosi abusi ai danni dell’indipendenza della magistratura: campagne diffamatorie contro i giudici più critici, revoca dei premi, nomine irregolari di magistrati, iniziative disciplinari ingiuste e assunzioni dei più importanti dirigenti dei tribunali sulla base di criteri puramente politici.
Più recentemente, però, ci sono stati dei miglioramenti.
EF: La riforma giudiziaria del 2023 ha compiuto passi significativi per ripristinare l’indipendenza della magistratura. Il governo era obbligato dalla Ue, altrimenti non avrebbe riavuto l’accesso ai fondi. Gli effetti di questa nuova legge, però, si faranno sentire solo a lungo termine. I suoi risultati effettivi dipenderanno in gran parte dalla capacità dei giudici stessi di fare da contrappeso alle aspirazioni del potere politico.
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