Menu

Uruguay: Luca Ventre ucciso da un poliziotto. Verità sulla sua morte

Trentasette minuti di agonia, quasi metà dei quali trascorsi steso a terra con il gomito di un poliziotto che gli faceva pressione sul collo rendendogli difficile, se non impossibile, respirare. Una vicenda simile a quella di George Floyd, l’afroamericano ucciso da un poliziotto a Minneapolis, ma se possibile ancora più atroce visto il tempo, lunghissimo, durante il quale quello che avrebbe dovuto essere un fermo di polizia si è trasformato in una vicenda mortale.

La vittima si chiamava Luca Ventre, 35 anni, originario della provincia di Potenza. È morto il primo gennaio scorso nel perimetro dell’ambasciata italiana di Montevideo dopo essere stato fermato da un poliziotto uruguaiano chiamato dalla personale di sicurezza mentre scavalcava il muro di cinta della sede diplomatica. Quella di Ventre è una famiglia di imprenditori – la madre di Luca è stata presidente della camera di commercio Italia-Uruguay – e l’uomo si trovava nel Paese per motivi di lavoro. Quel giorno di gennaio si era recato all’ambasciata per chiedere la copia di alcuni documenti. «Sul nostro connazionale è stato applicato quello che possiamo definire “codice George Floyd”», ha detto ieri l’ex senatore Luigi Manconi, presidente dell’associazione A buon diritto che ha denunciato la vicenda in una conferenza stampa alla quale ha partecipato anche Fabrizio Ventre, fratello di Luca. «Un nostro connazionale è stato ucciso presumibilmente da un poliziotto di uno Stato straniero: la nostra dignità nazionale chiede che si faccia giustizia su questa vicenda».

Molte le ombre che fin dall’inizio hanno circondato la morte di Luca e reso più difficile l’accertamento della verità. Una perizia eseguita in Uruguay ha infatti assolto il poliziotto da ogni responsabilità attribuendo il decesso a una «sindrome da delirio eccitato, avvenuta per un’aritmia prodotta da uno stato adrenergico scatenato dall’eccitazione e per alterazione dei livelli di potassio». Una situazione che sarebbe stata aggravata «dall’assunzione di droghe stimolanti come la cocaina».

Solo le indagini condotte dalla famiglia Ventre hanno permesso di stabilire come sono andate veramente le cose. Il padre e il fratello di Luca sono riusciti a recuperare i filmati delle telecamere di sicurezza dell’ambasciata e degli hotel della zona che hanno fornito una dinamica diversa dei fatti. Fotogrammi nei quali si vede Luca bloccato a terra dagli agenti uno dei quali preme con il gomito sul suo collo. «No me muevo, no me muevo» sono le uniche parole che l’italiano riesce a pronunciare.

L’inchiesta condotta dal sostituto procuratore Sergio Colaiocco della procura di Roma ha permesso poi di fare ulteriori e importanti passi in avanti. Una seconda autopsia eseguita in Italia contesta i risultati raggiunti in Uruguay individuando elementi «compatibili con un’azione costrittiva del collo esercitata con notevole forza che deve aver impedito per un certo tempo la normale penetrazione dell’aria».

Il risultato di simili manovre è stata un’asfissia «riconducibile – afferma ancora la perizia – alle prolungate manovre costrittive esercitate con notevole forza sul collo del soggetto». Sulla base di questa perizia che procuratore Colaiocco ha iscritto il poliziotto uruguaiano nel registro degli indagati per il reato di omicidio preterintenzionale mentre la ministra della Giustizia Marta Cartabia ha chiesto alla procura di perseguire penalmente il poliziotto.
Purtroppo va registrato anche il silenzio che fin dall’inizio la Farnesina ha mantenuto sulla vicenda. «Ci saremmo aspettati un ferma condanna che non è arrivata – ha detto ieri Fabrizio Ventre – mentre il ministero degli Affari esteri ha a lungo sostenuto la tesi del malore nonostante avesse tutto il materiale necessario per capire che si era trattato di un omicidio».

Per il deputato di LeU Erasmo Palazzotto il caso Ventre «richiama una grande responsabilità del governo poiché la magistratura da sola in un contesto internazionale non può andare molto lontano». Riccardo Magi (+Europa) ha sottolineato invece la necessità che la sicurezza delle ambasciate non sia affidata alla polizia locale: «L’Italia ha sedi diplomatiche in giro per il mondo – ha detto il deputato – e non solo è opportuno, ma doveroso e necessario che all’interno di queste sedi ci siano forze armate e forze dell’ordine italiane, i carabinieri ad esempio».

Carlo Lania

da il manifesto