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Usa e Israele vogliono deportare in Africa i palestinesi di Gaza

L’agenzia Ap rileva la volontà di Trump e Netanyahu di deportare i palestinesi della striscia di Gaza in Africa.   Sudan, Somalia e Somaliland i paesi sui quali Washington e Tel Aviv concentrano le loro pressioni

di Michele Giorgio da il manifesto

Mentre la comunità internazionale condanna il piano di Donald Trump per la deportazione dei palestinesi da Gaza e lo stesso presidente americano, appena tre giorni fa, ha dichiarato che «nessuno espellerà i palestinesi», in un’apparente marcia indietro emerge che gli Stati Uniti e Israele proseguono nella ricerca di paesi disposti ad accogliere i palestinesi che, nelle intenzioni di Washington e Tel Aviv, saranno spinti, in un modo o nell’altro, a lasciare la loro terra. La rivelazione è dell’Associated Press (Ap). Secondo le fonti dell’agenzia di stampa, Sudan, Somalia e Somaliland sarebbero le destinazioni possibili per i palestinesi.

DALL’AFRICA arrivano secche smentite, ma resta il sospetto di manovre dietro le quinte.

I colloqui, tenuti in gran segreto, riflettono la volontà dell’amministrazione di Donald Trump e del governo di Benyamin Netanyahu a portare avanti un progetto che è stato respinto dai palestinesi – «non abbandoneremo mai Gaza, no a una seconda Nakba», ripetono a ogni occasione – e aspramente criticato da organizzazioni per i diritti umani e da governi arabi e occidentali.

L’Egitto ha anche presentato un suo piano per la ricostruzione di Gaza in cinque anni, con l’investimento di decine di miliardi di dollari, garantendo che la popolazione resterà nella Striscia.
Al governo Netanyahu, invece, il piano di Donald Trump piace molto. Il premier israeliano ne parla come di una «visione audace», mentre il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, da sempre fautore della cosiddetta emigrazione «volontaria» dei palestinesi, ha annunciato la creazione di un «dipartimento per l’emigrazione» all’interno del ministero della Difesa con l’obiettivo di identificare paesi disposti ad accogliere palestinesi e facilitare il loro «trasferimento» (5.000 al giorno, sogna Smotrich).

LE SMENTITE che arrivano da Sudan, Somalia e Somaliland (autoproclamatosi indipendente dalla Somalia oltre trent’anni fa, ma privo di riconoscimento internazionale) contano fino a un certo punto.

I tre paesi versano in condizioni economiche difficili e, in alcuni casi, sono lacerati da gravi conflitti interni; quindi, sono deboli e potenzialmente disposti a qualche tipo di intesa in cambio di finanziamenti e aiuti. Secondo l’Ap, due alti funzionari sudanesi hanno confermato che il governo mil ha ricevuto proposte da Washington, comprendenti aiuti militari e finanziari. «Abbiamo immediatamente respinto l’idea», ha detto uno di loro».

LA SOMALIA, da sempre sostenitrice della causa palestinese, sembra un’opzione improbabile per il reinsediamento. L’anello più debole è il Somaliland. Secondo fonti americane sarebbero in corso discussioni riservate che potrebbero portare al riconoscimento da parte degli Stati uniti in cambio della disponibilità ad accogliere palestinesi. Resta da vedere se la determinazione dell’Amministrazione Usa e di Israele a cacciare i palestinesi incontrerà complicità internazionali.

Non è stato un segnale positivo, ad esempio, la risoluzione approvata ieri dal G7 dei ministri degli Esteri. Il Segretario di Stato Marco Rubio, in cambio di concessioni agli alleati sulla guerra in Ucraina, ha fatto eliminare dal testo finale riferimenti espliciti alla soluzione a Due Stati per israeliani e palestinesi. Nella risoluzione si parla solo di «un orizzonte politico per il popolo palestinese, raggiunto attraverso una soluzione negoziata al conflitto israelo-palestinese che soddisfi le legittime esigenze e aspirazioni di entrambi i popoli».

IL CESSATE IL FUOCO a Gaza intanto resta in bilico. Ieri la delegazione israeliana ha lasciato Doha, dove sono in corso i negoziati sulla prossima fase della tregua, dopo che Hamas aveva annunciato che rilascerà il soldato israelo-americano Idan Alexander e i corpi di quattro ostaggi con doppia cittadinanza. Un passo che lancia segnali concilianti all’Amministrazione Trump, che della liberazione degli ostaggi con passaporto statunitense ha fatto una priorità. Il movimento islamico insiste per il passaggio alla seconda fase dell’accordo di tregua, che prevede il ritiro dell’esercito israeliano da Gaza e, di fatto, la fine della guerra. E spera che gli Usa facciano pressioni su Israele. Una possibilità remota. Netanyahu ripete che il suo governo ha già accettato il piano dell’inviato americano Witkoff per un’estensione della tregua fino alla Pasqua ebraica, in cambio della liberazione di altri ostaggi.

IL PREMIER ISRAELIANO ha visto ieri con soddisfazione l’arrivo di decine di religiosi drusi siriani di Suwayda che, per la prima volta in più di 50 anni, hanno varcato le linee del Golan e sono entrati sul lato israeliano per pregare sulla tomba santo druso – Nabi Shuayb – vicino al lago di Tiberiade. Il corteggiamento israeliano comincia ad avere effetti su una componente dei drusi siriani.

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