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USA: Ennessimo omicidio di polizia. Uccisa afroamericana di 16 anni

E’ accaduto a Columbus in Ohio, un agente di polizia ha sparato, uccidendola, una ragazza afroamericana 16enne, Ma’Khia Bryant. 

La condanna di Derek Chauvin è stata una rara iniezione di speranza e ora milioni di americani aspettano di vedere se questo momento spronerà i politici a continuare sulla strada di una vera giustizia per tutti i cittadini, riformando la polizia ed eliminando il razzismo sistemico.

«NON POSSIAMO FERMARCI qui», ha detto Joe Biden in un discorso alla nazione trasmesso dalla Casa Bianca dopo la lettura della sentenza, sottolineando che per avere un minimo di giustizia sono stati necessari sforzi di piazza epocali che hanno coinvolto tutto il mondo, per settimane. Accanto a Biden anche la vicepresidente Kamala Harris; per lei il verdetto di Chauvin è una porta verso un futuro più giusto ma «non guarirà il dolore che esiste da generazioni, tra persone che hanno sperimentato e testimoniato in prima persona ciò che ora un pubblico più ampio sta vedendo».

La scorsa estate Harris ha introdotto il «George Floyd Justice in Policing Act», un disegno di legge per rendere responsabili le forze dell’ordine e contribuirebbe a creare fiducia tra polizia e comuntà. Per il passaggio del disegno gli occhi sono ora puntati sul Senato, dove aspetta di essere votato. I democratici sostengono che metterebbe fine alla profilazione razziale e religiosa, vieterebbe le tecniche di strangolamento, renderebbe più facile perseguire gli agenti di polizia e revisionerebbe le tecniche di formazione degli agenti. Il Gop, invece, si oppone.

ASPETTANDO LA DECISIONE del Senato il procuratore generale Merrick Garland ha annunciato che il Dipartimento di Giustizia aprirà un’indagine approfondita per stabilire se il Dipartimento di Polizia di Minneapolis abbia un modello di pratiche discriminatorie. Questo annuncio è importante in quanto sarà un’indagine federale a esaminare anche la gestione delle accuse di cattiva condotta da parte della polizia di Minneapolis, e potrebbe portare a cambiamenti significativi in un corpo di polizia locale. Come ha voluto sottolineare Garland, il verdetto nel processo penale per l’omicidio di George Floyd «non affronta potenziali questioni di razzismo sistemico a Minneapolis».

IL PASSO DI GARLAND è importante anche in un’ottica di programma più a lungo termine e si accompagna al disegno di legge di cui ha parlato Harris, che segna un approccio completamente diverso per cui le polizie locali dovrebbero sottostare a un modello federale per uscire dalla dinamica delle situazioni virtuose implementate in alcuni comuni, mentre in altri la polizia può agire senza avere nessun tipo di limite e quindi di remora. Questo approccio centralizzato che toglie poteri ai corpi locali è visto dal Gop come fumo negli occhi, ma che non ci si possa fermare ad una singola sentenza è chiaro alla maggioranza degli americani.

IN MOLTI HANNO AFFERMATO che il verdetto offre giustizia per Floyd è una buona notizia ma non basta: «Anno dopo anno, gli agenti di polizia hanno ucciso impunemente i neri in questo Paese e molti di questi casi erano stati anche ripresi in video», ha scritto la storica Keisha N. Blain. Proprio mentre veniva letto il verdetto di Chauvin, a Columbus in Ohio, un agente di polizia ha sparato, uccidendola, una ragazza afroamericana 16enne, Ma’Khia Bryant. Per la polizia la ragazza era armata di coltello e minacciava una coetanea.

Il sindaco di Columbus Andrew Ginther ha descritto la sparatoria come una «situazione orribile e straziante: una famiglia è in lutto stasera». Prima che Chauvin venga condannato ci vorranno altre 8 settimane e visto che il giudice ha revocato la libertà su cauzione dopo il verdetto, l’ex agente attenderà la sentenza in carcere. Gli altri tre poliziotti che erano con Chauvin sono in attesa di processo che si terrà ad agosto.

Marina Catucci

da il manifesto

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Razzismo Usa. Ci sono i 1000 morti per polizia registrati ogni anno – un terzo sono afro americani in un paese dove rappresentano il 13% della popolazione. In un paese con questi numeri non sono più di una ventina i poliziotti mai condannati per omicidio e molti di questi sono casi estremi, uccisioni durante la commissione di reati comuni da parte di agenti corrotti

La gioia è esplosa con un boato, davanti al tribunale di Minneapolis – e ancor più il sollievo. Sono scorse lacrime fra quella folla e negli altri presidi che in tutto il paese hanno atteso il verdetto col fiato sospeso. Non basta l’esito positivo di una procedura penale a spiegare l’emozione della giornata di martedì. Dietro le lacrime e l’urlo liberatorio c’è un opprimente peso sul collo durato 400 anni.

Ci sono i 1000 morti per polizia registrati ogni anno – un terzo sono afro americani in un paese dove rappresentano il 13% della popolazione. In un paese con questi numeri non sono più di una ventina i poliziotti mai condannati per omicidio e molti di questi sono casi estremi, uccisioni durante la commissione di reati comuni da parte di agenti corrotti. Sono una manciata appena poi i casi di poliziotti bianchi mai finiti in galera per aver ucciso un nero durante il servizio: ordinaria amministrazione.

Fra poliziotti l’omertà è ferrea: il blue wall of silence che rende difficile anche istruire processi. Gli stessi ordinamenti accordano poi agli agenti un’immunità di fatto (qualified immunity). Anche nei rari casi in cui vengono formalizzate accuse, la complicità delle procure assicura il proscioglimento. Basta affermare di aver temuto per la propria vita o a volte solo di aver incontrato resistenza agli ordini, per venire assolti.

La polizia è il braccio armato e tangibile della supremazia e della lunga scia di sangue che attraversa la storia dagli “strani frutti” dei linciaggi sudisti a Emmett Till con la faccia ridotta in poltiglia in una pozzanghera del Mississippi per aver guardato una donna bianca, allo stillicidio infinito della cronaca: Michael Brown, Stephon Clarke, Freddie Gray, Breonna Taylor, Laquan McDonald, , Adam Toledo, Philando Castile, Walter Scott, Eric Garner Alton Sterling, George Floyd…. Molti, come gli ultimi cinque di questa parzialissima macabra lista, omicidi registrati su video a cui fanno, di solito, seguito puntuali assoluzioni.

Unico ricorso, la rabbia roca e disperata espressa nelle piazza e contro le vetrine, a Ferguson e Baltimora, a Cleveland, Chicago, Sacramento, Atlanta…l’esplosione puntuale delle rivolte che sono eco di quelle “storiche” che scandiscono la storia dell’ingiustizia americana: Newark, Watts, Harlem, Los Angeles….

Quelle di L.A. sono state fra le prime storie che ho raccontato da giornalista, assieme alla vicenda del pestaggio di Rodney King, che avrebbe inaugurato le stagione delle violenze videoregistrate. Sarebbero seguite presto altre morti assurde, come quella di Devin Brown, tredicenne quando è stato crivellato dai proiettili del LAPD.

Il dolore di sua madre all’angolo dove era stato assassinato, mi era sembrato allora un orrore inconcepibile ma sarebbero seguiti Tamir Rice di 12 anni quando è stato falciato a Cleveland, Adam Toledo tredicenne quando è morto in una strada scura col terrore negli occhi e le mani in alto la scorsa settimana e, solo l’altroieri, Ma’khia Bryant, uccisa a Columbus, Ohio. A 16 anni. Una nazione che divora i propri figli dalla pelle scura.
La lezione interiorizzata da ogni nuova generazione di Afro Americani è che il corpo di un nero è sempre in pericolo e che, come scrive Ta Nehishi Coats, “la polizia esprime l’America in tutta la sua volontà e paura. Una minaccia costante che incombe sui corpi neri del paese come un dato immutabile e inevitabile, come un terremoto o un uragano.”

Questa settimana un articolo del Daily Beast segnalava l’orrore che accomuna i neri in una ineluttabile parentela. Daunte Wright, ucciso dalla polizia di Brooklyn Center l’11 aprile, era stato studente della compagna di George Floyd. Caron Nazario, il tenente minacciato e torturato da due agenti a dicembre è parente di Eric Ganer strangolato a Staten Island da altri poliziotti nel 2014. La madre di Fred Hampton, padre ventenne come Wright e leader delle Pantere Nere di Chicago, assassinato dal FBI nel 1968, era stata babysitter di Emmeti Till, la cui cugina questa settimana era con la famiglia di Floyd al tribunale di Minneapolis….

Nella terribile fratellanza la verità espressa da Kamala Harris: “gli Americani neri, e in particolare gli uomini neri, lungo la storia del nostro paese, sono stati trattati come meno che umani. Le loro vite devono ora avere valore.”.

In quel tribunale di Minneapolis c’è stato un raro squarcio nell’incubo nero, forse un inizio. Comunque una vittoria epocale conquistata da un vasto movimento. In quell’aula è avvenuto un fatto storico: uno dei boia è stato ammanettato per un linciaggio registrato e trasmesso al mondo in diretta Facebook. Un esito che avrebbe dovuto essere scontato per una verità incontrovertibile, e invece è parso miracoloso.

Il che spiega il giubilo incontenibile sgorgato assieme al dolore, perché come ha detto Pilonise, fratello di George Floyd: Justice for George is freedom for all! – Giustizia per George significa libertà per tutti. Almeno oggi.

Luca Celada

da il manifesto

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La stretta che uccise Floyd usata anche nelle scuole

Le pratiche di soffocamento per calmare gli studenti indisciplinati prese di mira dalla presidenza Biden: «Verranno subito abolite »

«Non dobbiamo pensare di aver finito, non dobbiamo distogliere lo sguardo. Dobbiamo continuare a sentire quelle parole, “io non respiro”, “io non respiro”. Quelle sono state le ultime parole di George Floyd, non possiamo lasciare che muoiano con lui». Così il presidente statunitense Joe Biden ha commentato la sentenza che martedì ha riconosciuto colpevole, di aver ucciso George Floyd, il poliziotto bianco Derek Chauvin. Un sospiro di sollievo per la Casa Bianca preoccupata di possibili incidenti che sarebbero potuti scoppiare in caso di un verdetto di segno differente.

Biden, al di là delle inevitabili e dovute parole di prammatica, ha colto un punto centrale e cioè che la battaglia contro i comportamenti violenti da parte della polizia e delle istituzioni nei confronti degli afroamericani è solo all’inizio. L’uso di pratiche come lo strangolamento non è solo appannaggio degli uomini in divisa ma va rintracciato anche in altri settori della società, fra tutti la scuola.

Negli Usa infatti, proprio all’indomani della vicenda Floyd, si è aperto un dibattito sulle pratiche di contenzione fisica nei confronti dei bambini. Spesso gli educatori le applicano per “calmare” minori affetti da disabilità psichica ma sono in molti a ritenere che si tratti di una routine disciplinare della quale fanno le spese principalmente bimbi “black”.

In realtà si tratta di un problema già ampiamente noto al quale però, nonostante gli sforzi dei funzionari dei vari stati, non si riesce a mettere fine. Proprio nel Minnesota ( dove si trova Minneapolis, la città dell’omicidio di George Floyd) fin dal 2015 si é tentato di introdurre delle restrizioni a quelle che vengono individuate come “trattenute fisiche”, i dati però dimostrano che i risultati ottenuti sono insufficienti e in alcuni casi si sono state riscontrate conseguenze devastanti per i bambini come lesioni e in rare occasioni anche la morte.

In seguito al caso Floyd a Washington si sta varando una nuova legislazione ( il Keeping all Student Safe Act) che introdurrebbe ulteriori divieti ( le restrizioni fisiche tranne quando siano necessarie per proteggere studenti e personale) compresa una disposizione che impedirebbe alla polizia scolastica di effettuare prese al collo. Un punto dolente questo, la presenza di agenti all’interno degli istituti infatti rappresenta un motivo di scontro e in alcuni casi di aumento della violenza e un abbassamento del tasso di diplomati.

Da uno studio nazionale del 2017 è emerso che gli arresti di minori sono cresciuti notevolmente dopo che le scuole hanno ricevuto sovvenzioni federali per assumere agenti di polizia, a partire dal 1999. Ogni poliziotto in più ha portato a circa 2,5 arresti extra ogni anno di bambini di età compresa tra 7 e 14 anni. Contemporaneamente altre analisi hanno messo in luce come gli studenti neri hanno molte più probabilità di essere arrestati a scuola.

I dati di alcuni sondaggi effettuati in California recentemente dimostrano che il 61% degli studenti bianchi ha convenuto di sentirsi più al sicuro con l’agente di polizia nella loro scuola. Solo il 41% degli studenti neri ha detto la stessa cosa. Allo stesso modo, a New Orleans, il 77% dei bianchi si sentiva tutelato con le guardie di sicurezza scolastiche, il 54% degli studenti neri no. Sicuramente pesa il timore di sparatorie di massa come avvenuto in tragiche occasioni ma è certo che la disparità di opinione risente del grado di violenza sociale.

Per questo le scuole di Minneapolis hanno tagliato il contratto con il dipartimento di polizia locale così come hanno fatto Portland e Denver. Secondo Lauren Morando Rhim, co- fondatrice e direttrice esecutiva del Center for Learner Equity «la contenzione è un problema su tutta la linea e non dovremmo sorprenderci di vederlo nelle scuole se lo vediamo tra agenti di polizia addestrati che finiscono per frenare e uccidere persone». Un rapporto pubblicato recentemente dal dipartimento per l’istruzione del Minnesota ha rilevato che oltre 2.800 studenti sono stati coinvolti in 12.600 casi di contenzione fisica durante l’anno scolastico 2019- 20, un calo del 25% rispetto all’anno precedente, che i funzionari ritengono sia dovuto però in gran parte alla chiusura durante la pandemia Covid- 19. Inoltre gli insegnanti e gli istituti scolastici temono le sempre più frequenti cause legali che vengono intentate dalle famiglie.

Seguendo il trend nazionale, anche lo stato di Minneapolis vede i ragazzi “neri” di varie età essere stati soggetti a diverse pratiche di contenimento e bloccaggio in maniera sproporzionata. Tra gli studenti bianchi, che rappresentano il 63% della popolazione scolastica, il 52% è stato sottoposto a contenzione, gli afroamericani sono in totale solo l’ 11,8%, ma fra questi la percentuale sale enormemente raggiungendo il 27%.

Alessandro Fioroni

da il dubbio