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Usa: I prigionieri politici dimenticati

Libertà per Mumia Abu-Jamal e Leonard Peltier, condannati ingiustamente negli Usa al carcere a vita. Entrambi affetti da gravi patologie, Mumia è anche risultato positivo al Covid-19

C’è un tragico destino che accomuna le due voci più emblematiche delle minoranze e del dissenso negli Stati uniti: quella del giornalista radiofonico afroamericano Mumia Abu-Jamal – definito «Voce dei senza voce» – e quella del nativo americano di ascendenza Lakota/Anishnabe, Leonard Peltier, entrambi gravemente malati e condannati a marcire in prigione, dopo processi farsa caratterizzati da razzismo e discriminazione.

NON È STATO UN CASO che Peltier fosse un attivista dell’American Indian Movement, mentre Abu-Jamal fosse membro delle Black Panthers, due organizzazioni politiche finite entrambe sul libro nero dall’FBI e perseguite nelle aule di tribunale di un Paese che è l’incontrastato campione mondiale in fatto di arresti e incarcerazioni. Dagli ultimi dati del Dipartimento di Giustizia risulta infatti che dentro le celle delle 4.575 carceri americane, locali, statali, federali e private, sono rinchiusi più di 2.200.000 detenuti, con un tasso di detenzione di 666 detenuti ogni 100mila abitanti o, se si preferisce, con un cittadino ogni 130 dietro le sbarre. Insomma, con meno del 5% della popolazione mondiale, gli Usa contano circa un quarto della popolazione carceraria dell’intero pianeta.

AI PRIMI POSTI tra i condannati a morte o al carcere, risultano percentualmente proprio nativi americani e afroamericani. Lo stesso Mumia, in una sua lettera, scrisse che «La composizione etnica delle galere statunitensi è il frutto di una precisa volontà di imprigionare afroamericani. Lo scopo è alleviare le ansie dei ricchi e mantenere la subordinazione nera». Ai numeri impressionanti sulle incarcerazioni, bisogna aggiungere anche la quantità di leggi inique, inumane e persino razziali che vengono inflitte a poveri, minoranze, malati mentali e minorenni, senza contare le torture più o meno istituzionalizzate che sono regolarmente utilizzate all’interno dei circuiti penitenziari.

TORNANDO AL CASO del 66enne Mumia Abu-Jamal, che ha passato oltre metà della sua vita in prigione, nei giorni scorsi uno dei suoi avvocati, Robert Boyle, in una conferenza stampa convocata d’urgenza presso il Mahanoy Correctional Facility, in Pennsylvania, ha annunciato che il suo assistito è risultato positivo al Covid-19, ricordando che le stesse condizioni carcerarie determinano un alto rischio di contagio, come dimostra pure l’alto numero dei morti e dei contagi tra i detenuti, con quasi duecentomila casi di positivi al virus e più di millecinquecento morti; ma la salute di Mumia purtroppo era stata già pesantemente minata dalla lunga detenzione e dall’Epatite C contratta in carcere, per la quale gli vennero negati, per ben due anni, i farmaci necessari alle cure, compromettendo gravemente il suo quadro clinico.

CONDANNATO a morte nel 1982, con l’accusa d’aver ucciso l’agente di polizia Daniel Faulkner, la sentenza prevista per Mumia venne successivamente commutata in ergastolo, a seguito di un’imponente mobilitazione internazionale. Quello di Mumia è infatti considerato uno dei più controversi casi giudiziari della storia contemporanea statunitense. Forse l’ostinazione nel negargli le cure necessarie potrebbe essere, in qualche modo, un tentativo di dar seguito a quella sentenza di morte che non è stato possibile applicare giuridicamente. Nei lunghi anni della sua detenzione, nonostante la censura sistematica cui è stato sottoposto, Mumia ha continuato a far sentire la sua voce dal cosiddetto «Ventre della Bestia».

IN QUESTI GIORNI, molti sostenitori del prigioniero politico afroamericano stanno manifestando davanti alla sede del governo della Pennsylvania. Tra i manifestanti anche il nipote di Mumia, che ha detto: «Vogliono seppellire il nome di mio nonno e la lotta per la liberazione nera. Vogliono sotterrare tutto questo. Non lasceremo che l’ottengano». Per salvargli la vita e garantirgli le cure necessarie, gli attivisti ora ne chiedono l’immediata scarcerazione, che rientrerebbe nelle facoltà del governatore democratico Thomas Westerman Wolf.

Leonard Peltier con Gloria La Riva (candidata del Partito Socialismo e Liberazione alle Elezioni Usa 2020)

 

RIGUARDO a Peltier, fu condannato nel 1976 a due ergastoli per l’omicidio dei due agenti dell’FBI, Ronald Williams e Jack Coler, nonostante un accurato rapporto balistico della stessa FBI rivelasse che i proiettili non potevano essere stati sparati dall’arma del leader dell’AIM. Nel 2003 i giudici del 10° Circuito dichiararono: «Gran parte del comportamento del governo su quanto è accaduto a proposito del Signor Peltier, è da condannare. Il governo ha trattenuto delle prove. Ha intimidito testimoni. Questi fatti sono incontestabili».

LE CLAMOROSE vicende giudiziarie di Abu-Jamal e Peltier sono già apparse in molte occasioni sulle pagine de il manifesto. Loro rappresentano i simboli viventi di due popoli vittime, da una parte, del più grande genocidio della storia umana, dall’altra dell’immane deportazione schiavista protrattasi tra il XVI e il XIX secolo, sono quindi diventati bersagli perfetti per l’immarcescibile razzismo che ancor oggi inquina gli Stati uniti; le cronache quotidiane che non smettono di dimostrarlo nei fatti ne sono inconfutabile testimonianza.

ADESSO però ci si augura che il presidente Biden mantenga, in primo luogo, le promesse abolizioniste fatte durante le presidenziali, poi che non dimostri la stessa sordità pilatesca dei suoi predecessori e che restituisca finalmente al mondo dei liberi i due prigionieri politici.

Marco Cinque

da il manifesto