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Via libera alla sorveglianza totale dell’Europol

Il coordinamento fra le 27 polizie europee potrà acquisire e conservare i dati delle persone. Non solo quelli relativi a chi è sospettato di aver commesso un reato ma di tutti. Ignorate le preoccupazioni delle associazioni per i diritti civili. Critiche dal Garante europeo dei dati personali: “Un ampliamento di poteri a dismisura senza alcuna garanzia”

di Stefano Bocconetti

Polizie che possono archiviare tutto, qualsiasi dato. Di chiunque. Anche di chi non ha fatto nulla. Polizie che si auto-assolvono per gli abusi, per gli “eccessi” che pure ammettono di aver commesso. Polizie che possono fare a meno delle decisioni dei giudici.

Avviene oggi, in Europa, nel vecchio continente, quello che fino a pochi anni fa varava le norme più avanzate in difesa della privacy, del diritto alla riservatezza. Ma non è tutto: perché in qualche modo Bruxelles ha stabilito un nuovo record. Un record negativo. Ha scritto una norma – un regolamento ad essere precisi – che nel giorno stesso della sua pubblicazione è stata “bocciata” da chi dovrebbe controllarla. Contestata, criticata da chi istituzionalmente dovrebbe accertarsi che sia in sintonia con le leggi precedenti.

Ma esattamente come è avvenuto in tutta questa vicenda, il consiglio d’Europa ha semplicemente ignorato tutte le osservazioni, le critiche, i più piccoli accorgimenti. E’ andato avanti per la sua strada e così il 28 giugno sulla Gazzetta ufficiale europea è stato pubblicato il nuovo regolamento per l’Europol, il coordinamento fra le polizie dei ventisette paesi.

E come c’è scritto alla fine di quelle 45 pagine firmate da Roberta Metsola, presidente del Parlamento, “il testo è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile negli Stati membri conformemente ai trattati”.

Nei fatti significa che da subito il coordinamento fra le polizie potrà acquisire e conservare i dati delle persone. Non solo quelli relativi a chi è sospettato di aver commesso un reato ma di tutti.

Perché l’Europa ha esattamente autorizzato l’agenzia delle ventisette polizie ad archiviare e registrare le informazioni che riguardano qualsiasi persona. Di chiunque, di chi magari è semplicemente nell’elenco telefonico di un sospettato, o che per caso abita nella stessa strada di un fermato. O magari ha comprato qualcosa in un negozio che è tenuto sotto controllo. O anche solo può aver ricevuto un email da un utente “sbagliato”. Oppure ha la “colpa” di aver provato ad entrare in Europa, scappando da una guerra.

L’Europol potrà conservare tutto, tutti questi dati.

E farci quel che vuole. Sì, perché il nuovo regolamento autorizza anche l’Europol ad utilizzare questi immensi data-base per testare nuove tecniche, nuovi standard investigativi.

C’è bisogno di tradurre queste affermazioni? Significa che l’Europol potrà far esercitare l’intelligenza artificiale su questi data-base per creare quella che si chiama “la polizia predittiva”. Quella che decide che se si abita in un quartiere periferico di Bruxelles, composto per lo più da migranti, si è già subito sospettati di far parte di cellule islamiche.

“Polizia predittiva” che così potrà essere testata quando ancora sono in discussione al parlamento europeo le norme che dovrebbero “governare” le applicazioni dell’intelligenza artificiale. Discussione che è iniziata con un bel testo, pieno di accorgimenti e di suggerimenti, pieno di belle parole per evitare che i software possano discriminare le persone, selezionare le storie personali. Ma intanto l’Europol potrà andare per la sua strada.

Così come potrà andare avanti tranquillamente a chiedere dati, nomi, informazioni ai grandi gruppi che gestiscono i social, nel caso di “urgenza”, anche senza passare per la normale trafila, cioè per un’autorizzazione dei giudici.

Cose che del resto il coordinamento delle polizie europee ha sempre fatto. E questa non è una denuncia “politica”: appena sei mesi fa Wojciech Wiewiórowski, il supervisore di European Data Protection, il garante dei dati insomma, dopo un’indagine ha condannato l’agenzia e le ha ordinato di cancellare tutti i dati raccolti negli anni scorsi.

Aveva imposto di farlo entro un breve arco di tempo, aveva ordinato che fossero cancellati quattro petabyte di nomi, volti, indirizzi (per capire: dati che riempirebbero tre milioni di vecchi cd-rom), riferiti a persone che nulla hanno mai avuto a che fare con indagini.

L’Europol ha preso tempo, ha risposto all’ordine del garante inventandosi mille ostacoli tecnici, improbabili blocchi investigativi, spiegando le difficoltà burocratiche, eccetera, eccetera. In realtà aspettando quel che è avvenuto: che l’Europa gli concedesse una sorta di immunità retroattiva.

Nel nuovo regolamento, infatti, all’Europol è permesso di conservare anche i dati raccolti negli anni scorsi, in violazione alla leggi europee esistenti (GDPR). Autoassoluzione, si diceva. Perché nella stesura del testo, il Consiglio europeo ha incontrato sempre e soltanto le autorità di polizia dei vari Stati, rifiutando poi di discuterne con le associazioni per i diritti digitali.

Ce n’è abbastanza, insomma, perché Wiewiórowski a poche ore di distanza dalla pubblicazione sulla Gazzetta abbia reso pubblico, con una nota ufficiale, il suo dissenso. Totale dissenso.

Innanzitutto contestando la “legittimità di un’autorizzazione retroattiva” ma entrando soprattutto nel merito. Spiegando che il regolamento amplia “a dismisura” i poteri dell’agenzia di polizia. “Senza più alcuna garanzia” per “lo scambio di informazioni personali con soggetti privati, per l’uso dell’intelligenza artificiale e il trattamento di grandi set di dati”.

Regolamento bocciato, dunque. Senza appello. Con un’ulteriore aggravante, però: che quella di Wiewiórowski fino ad ora è stata l’unica voce che ha provato ad opporsi. Tace la politica, tace la sinistra.

da il manifesto