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Vittime della tratta e sfruttatori insieme nei centri di accoglienza

La denuncia del responsabile immigrazione della Caritas, Oliviero Forti

Prostituzione, sfruttamento lavorativo e accattonaggio nei centri di accoglienza per gli immigrati. Una denuncia che è arrivata direttamente da un convegno organizzato dal Dipartimento Pari opportunità che si è tenuto a Roma. Nel corso del convegno, il responsabile immigrazione della Caritas, Oliviero Forti, ha dichiarato: «Nei centri di accoglienza straordinaria, le vittime di tratta vivono accanto ai propri sfruttatori. È una realtà nota, alla quale finora non si è riusciti a dare alternativa».

Più volte, varie associazioni che vigilano sui diritti umani come LasciateCIEntrare, hanno denunciato le criticità dei centri di acco- glienza. Gli staff risultano spesso impreparati a gestire il fenomeno complesso dell’accoglienza: operatori che non conoscono neppure l’inglese, sprovvisti di formazione in materia di protezione internazionale; molte delle strutture presenti in Campania, in particolare lungo il litorale Domizio, sono dotate di un unico operatore per la mediazione, accompagnamento in questura, presso la Asl e in ospedale, distribuzione dei pasti e gestione di eventuali situazioni di malcontento degli ospiti. Diversi i casi di operatori impegnati di fatto a tempo pieno, a fronte di contratti di lavoro parttime, sia casi di lavoratori non retribuiti che, pertanto, abbandonano il centro dopo poche settimane.

Una situazione che determina un turn- over continuo, a discapito delle attività di accoglienza ed assistenza, che vengono ridotte al minino indispensabile. Ed è proprio questa assistenza inadeguata e l’assenza di percorsi di inclusione è fonte di frequenti casi di depressione o di ingresso dei migranti nei circuiti del caporalato, del lavoro nero, dello spaccio e della prostituzione.

La tratta delle prostitute, in so- stanza, passa anche attraverso i centri di accoglienza. Le vittime principali sono soprattutto le nigeriane. Gli sfruttatori non devono più inventarsi, come un tempo, nomi e passaporti falsi, per imbarcare le loro prede su un aereo.

Ora usano i canali ufficiali dell’accoglienza organizzata. Le schiave vengono mandate a compiere lo stesso esodo dei migranti in fuga: nel deserto, su un gommone in mezzo al Mediterraneo, finché non arrivano a destinazione in un centro di accoglienza italiano, come un pacco postale spedito dalla Nigeria. Poi c’è il capolarato, una piaga che coinvolge anche gli immigrati ospiti nei centri di accoglienza.

L’ultimo episodio di cronaca risale a un mese fa, in Calabria. Due fratelli erano stati arrestati e posti ai domiciliari dai carabinieri della Compagnia di Paola nell’ambito di un’operazione contro il caporalato: sono stati accusati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, aggravati dalla discriminazione razziale. Da quanto accertato i 2 avrebbero fatto lavorare in nero nella loro azienda agricola migranti africani, oltre a romeni e indiani, e la paga variava in base al colore della pelle. I ‘ bianchi’, infatti, prendevano 10 euro in più degli altri, 35 euro contro 25 al giorno. Quelli “neri”, principalmente provenienti dalla Nigeria, Gambia, Senegal e Guinea Bissau, venivano solitamente prelevati in una parallela del centro di accoglienza ‘ Ninfa Marina’ e portati a lavorare nell’azienda agricola dei due fratelli.

Damiamo Aliprandi da il dubbio