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Web: La censura chiama censura. Anche in Europa

La “commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni” ha approvato – nonostante le mille obiezioni arrivate da più parti – il cosiddetto “regolamento antiterrorismo”. Col voto dei socialisti e del PPE e col voto contrario dei verdi e della sinistra

Il risultato sarà più censura. Più censura per difendersi – forse – dal terrorismo. Esattamente come è avvenuto negli States dopo le Torri Gemelle. Solo che qui siamo in Europa, a Bruxelles. Che pure, fino a qualche tempo fa, si vantava delle leggi più avanzate in tema dei diritti individuali. In tema di diritti digitali. La notizia è che ieri la “commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni” (definizione che oggi suona un po’ ironica; comunque Libe, come la chiamano tutti) ha approvato – nonostante le mille obiezioni arrivate da più parti – il cosiddetto “regolamento antiterrorismo”. Col voto dei socialisti e del PPE e col voto contrario dei verdi e della sinistra,

Di che si tratta? Un esempio assurdo, volutamente esagerato può aiutare a capire cosa hanno deciso nelle sedi del parlamento europeo, sedi virtuali visto che la seduta ed il voto sono avvenuti in streaming. Dunque, immaginiamo che sulle pagine FaceBook, ad esempio, de il manifesto – dove si può discutere, si possono commentare le notizie – un giorno sia pubblicato un articolo sull’Ungheria. Una notizia sull’ennesimo attacco ai diritti promosso dal governo Orban. E ipotizziamo anche che un utente, particolarmente arrabbiato, scriva un commento magari un po’ sopra le righe. Tipo: bisogna trovare qualsiasi modo per impedire al governo di Varsavia di agire. Bene, grazie al regolamento appena votato, il governo Orban – o addirittura la polizia ungherese, come vedremo – potrebbe chiedere che il commento sia rimosso. Entro un’ora dalla sua pubblicazione. Perché ritenuto “contenuto terroristico”. Se quel breve commento restasse più a lungo, i fornitori di servizi hosting potrebbero andare incontro a sanzioni pesantissime. Certo, sia l’utente, che il manifesto o la stessa FaceBook potrebbero fare ricorso. Ma in questo caso i tempi sono dilatati, senza vincoli rigidi. Ed il commento sparirebbe per sempre.

Un’iperbole, certo. Ma siamo da quelle parti. Perché ieri la commissione Libe – dopo due anni di discussione, qualche impercettibile avanzamento e tanti arretramenti – ha votato il regolamento. Che assomiglia molto a quelle norme francesi, la cosiddetta legge Avia (dal nome della sua presentatrice) che a giugno dell’anno scorso fu però dichiarata illegittima dal Consiglio costituzionale di Parigi.

Ne rispecchia tutti gli obbrobri giuridici. Il primo, il più rilevante: la scadenza di un’ora. Pena multe pesanti. La Corte francese ha definito quest’arco di tempo “un’interferenza sproporzionata”. Ma c’è di più, di più grave nel regolamento europeo. Chiunque può capire che la “rimozione” entro i sessanta minuti la possono realizzare solo le Big Tech: FaceBook – e consociate -, Alphabet, Microsoft e poche altre. I piccoli provider, gli hosting che stanno provando ad ospitare social alternativi non avranno mai strumenti e dipendenti in numero tale da poter restare nei tempi stabiliti. Per dirne una, solo le Over The Top del settore hanno impiegati al lavoro nei week end. E allora? Il regolamento non obbliga – come pure era stato indicato in una prima stesura – ad adottare i filtri automatici. Non obbliga ma è come se lo facesse. Un po’ come è avvenuto con la direttiva sul copyright (della quale, perché girarci attorno?, questo regolamento è un po’ figlio), chi vuole continuare ad esistere, chi non può farcela a cancellare un tweet o un messaggio entro un’ora, dovrà dotarsi di filtri preventivi. Di software che costano centinaia di migliaia di euro e che sono già in funzione, da anni, su YouTube. E che già drammatici danni hanno prodotto alla libertà d’espressione, bloccando testi, immagini, suoni col pretesto del diritto d’autore. E sarà così legalizzata la “sorveglianza di massa automatizzata”, per usare l’espressione de “La Quadrature du Net”, la combattivissima associazione francese per i diritti digitali. Sorveglianza di massa affidata ai colossi privati.

Ma non è tutto. Già, perché chi potrà ordinare la rimozione? La risposta è nel testo: qualsiasi Stato membro dell’Unione. Non un obbligatoriamente un giudice, come sarebbe ovvio. E non è ancora finita: perché anche autorità delegate da ogni singolo Stato potranno chiedere la cancellazione dei contenuti ritenuti terroristici. E l’”autorità” sarà indicata e decisa da ogni singolo paese. A sua discrezione. Tradotto, significa che anche una polizia potrà avere quel potere. Da qui l’assurdo esempio fatto prima con le pagine FaceBook de il manifesto.

Ce n’è quanto basta perché il Comitato Internazionale dei Giuristi, ICJ, abbia scritto alla commissione mettendo “in guardia sui rischi che tutto ciò potrebbe portare ad interferenze eccessive, arbitrarie o discriminatorie”.

Tutto inutile, il regolamento è passato. Nel nome della lotta al terrorismo. Come se non esistessero piattaforme e “spazi” in grado di violare qualsiasi norma, come se l’assassino di Christchurc, che due anni fa sterminò cinquanta persone in una moschea neozelandese, non avesse superato facilmente i filtri di FaceBoook, mandando in diretta la strage. Semplicemente cambiando il formato del video.

Come se esistesse una soluzione tecnologica per combattere l’ideologia di morte.

Stefano Bocconetti

da il manifesto