Cappi e manette… e c’è anche chi evoca la ghigliottina! Avanza il partito trasversale dei giustizialisti
Con l’abolizione della prescrizione che entra in vigore il primo gennaio 2020, salvo che in alcuni casi, una sentenza di condanna o di assoluzione può intervenire anche dopo decenni. Ma per la Cassazione nessuno può essere ritenuto “eternamente giudicabile”.
Vi sono temi fondanti lo Stato di diritto che andrebbero sottratti ai semplicismi propagandistici, demagogici, identitari da parte delle forze politiche. Lo è certamente l’istituto della prescrizione che ha, sullo sfondo, la difficile dialettica di sempre tra autorità e libertà, tra diritti e potere; in definitiva, tra giustizia e politica.
La durata ragionevole del processo è principio costituzionale. Il “fine processo mai” è, quindi, incostituzionale. Spesso, peraltro, in Italia (ma non solo), temi giurisdizionali diventano terreno di scontro tra poteri dello Stato e tra magistratura e politica. Sono crollati governi. Di recente, il governo Berlusconi e, per motivi parzialmente diversi, il governo Prodi.
E anche oggi forte è la fibrillazione tra i partiti della maggioranza (alla ricerca di espedienti che permettano, sul tema, un fragile equilibrio). Ma è aspro anche il dibattito nella stampa, nell’opinione pubblica. Quale è la pietra dello scandalo? Dal primo gennaio 2020, per una legge fortemente voluta dal ministro della Giustizia del governo Lega M5s (lo stesso ministro dell’attuale governo), in presenza di una sentenza di primo grado non vi è più scadenza alla durata del processo. Il decorrere abnorme del tempo non porta più alla prescrizione.
È stato eliminato l’alibi con il quale imputati eccellenti si sono “salvati” nel processo e dal processo (Berlusconi, Andreotti, ecc.) o ci troviamo di fronte ad una incostituzionale torsione giustizialista? Di Maio, con la ben nota enfasi propagandistica un po’ banale, parla di “svolta rivoluzionaria” contro i “potenti”. E, dall’altra parte, il Pd parla di M5s “forcaiolo” e Zingaretti sbotta “così non si può andare avanti”.
Non a caso la stessa “riforma Bonafede” prevede un accorciamento dei tempi dei processi con una durata massima di sei anni. Ma questi meccanismi strutturali modificativi del percorso processuale non sono per nulla definiti. Il tema va sottratto alla propaganda. Riguarda la dignità stessa dell’imputato e dell’indagato. Ed è un dilemma sofferto per noi giuristi garantisti.
Quello di dover scegliere tra l’ingiustizia di lasciare impunito un colpevole e la somma ingiustizia di lasciar marcire in galera un possibile innocente. La legge Bonafede, invece, taglia il nodo attuando un paradosso giuridico: salvo che in alcuni casi, una sentenza di condanna o di assoluzione può intervenire anche dopo decenni.
La legge Bonafede è incostituzionale ma anche inefficace ed inutile; se è vero che, come affermato dal Consiglio superiore della magistratura e dal procuratore generale presso la Cassazione, il sessanta per cento delle prescrizioni matura nelle fasi delle indagini. Le quali, venendo meno la prescrizione, fattore comunque di velocizzazione, rischiano di avere una durata ancora maggiore dei procedimenti. Nella legge Bonafede non vi sono nemmeno i correttivi proposti dalla Commissione Gratteri (insediata nel 2014 ndr).
E nemmeno gli istituti, felicemente sperimentati, del processo tedesco. Io non nego, sia ben chiaro, che la prescrizione appaia iniqua all’opinione pubblica, scossa dal fatto che, spesso, i Berlusconi e gli Andreotti di turno se la sono cavata attraverso meccanismi dilatori, sottrazione ai processi, ottimi avvocati. In quei casi la prescrizione è stata assimilata all’impunità. Ma noi dobbiamo tentare di risalire al fondamento costituzionale del processo giusto e breve. Il trascorrere del tempo incide sulla capacità punitiva del processo o no? l’Amputato, l’indagato sono sempre uguali a se stessi anche dopo anni? Uguali rispetto al momento in cui hanno commesso il crimine? La stessa Corte di Cassazione ha argomentato che nessuna persona può essere ritenuta “eternamente giudicabile”.
Il “diritto all’oblio” fa parte dell’imperfezione della giustizia. Non si può fermare il tempo. Perché dietro quel tempo vi è una persona. Il trascorrere del tempo porta anche all’affievolimento dell’interesse dello Stato alla sanzione. Lo stesso delitto, con il passare del tempo, non è uguale a se stesso. Anche nella percezione della società. Non a caso vi sono reati espressamente non prescrivibili, come la strage e il genocidio. Perché colpiscono lo spirito di comunità in maniera indelebile, feriscono la filosofia stessa dello stare insieme. Per orientarci, in definitiva, all’interno dei nostri dilemmi garantisti, partiamo sempre dalla concezione costituzionale della pena. Nel nome di Antigone, sfidiamo la demagogia populista, andiamo controcorrente.
Giovanni Russo Spena
da Left
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