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1 marzo 1968 – Roma

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“Hanno impugnato i manganelli / ed han picchiato come fanno sempre loro/ma all’improvviso è poi successo/ un fatto nuovo, un fatto nuovo, un fatto nuovo/non siam scappati più, non siam scappati più!

La maggior parte delle fonti storiche data le strofe di questa canzone, Valle Giulia, al 1968. Nel marzo di quell’anno infatti avvenne il, primo, vero scontro di piazza fra polizia e studenti contestatori, a Roma presso la facoltà di Architettura a Valle Giulia. La canzone in ricordo di quell’episodio fu incisa da Paolo Pietrangeli e Giovanna Marini, prima in un 45 giri e poi nell’LP Mio caro padrone domani ti sparo, sempre per I Dischi del Sole.

Eppure gli incidenti di Valle Giulia sono anche ricordati a causa della celeberrima poesia di Pier Paolo Pasolini dedicata ai “proletari” delle forze dell’ordine che si trovarono a scontrarsi, secondo Pasolini, con gli studenti visti come sostanziale espressione della “borghesia” giovanile.  Questo in una sorta di rovesciamento delle parti, comunque viste come separate, tra “borghesi” e “proletari” negli scontri di piazza: i primi dalla parte del simulacro del progresso, i secondi costretti al contenimento dell’esuberanza giovanile dei figli della borghesia.

Pasolini per queste parole fu persino contestato nel Pci, che pure non vedeva di buon occhio la nascente autonomia studentesca, eppure quelle frasi sono rimaste come se rappresentassero da sole il ’68 e Valle Giulia. Non c’è da stupirsi: degli anni ’60 oggi deve rimanere il gusto per il modernariato, i mangiadischi e le auto utilitarie, il mood di allegria e di vivacità. Sono usciti anche dei testi che contrappongono il ’68 agli anni ’60 come se questi ultimi fossero stati rovinati dalla contestazione e come se questa non ne rappresentasse il necessario epilogo del decennio cominciato con la crisi di Cuba. Valle Giulia, l’episodio che ha rappresentato la matrice simbolica del ’68 come rivolta contro il concetto stesso di autorità, come la cacciata di Lama ha rappresentato la rivolta contro l’autoritarismo PCI, devono essere oggi seppelliti nel ridicolo, nel migliore dei casi nella lontananza storica. Il continuo riproporre le parole di Pasolini, a consacrazione di una rivolta vista come quella degli studenti annoiati, serve a questo scopo.

Dell’epica di Valle Giulia si è ricordato quindi molto spesso, negli ultimi decenni,  la testimonianza di Pasolini e quasi per niente le parole di Pietrangeli e della Marini che catturavano un’immagine che folgorerà la mente un decennio: quella degli studenti che sfuggono alla repressione e passano al contrattacco sulla piazza. Eppure l’epica di Valle Giulia ha nutrito non solo l’immaginario di tutto il ’68 ma anche dell’autunno caldo e degli anni ’70. Ha rappresentato l’idea della contestazione generale che non si può contenere, che straripa e passa al contrattacco. Se c’è un germe dell’idea di rivoluzione in Italia passa da quell’episodio.

Visto che nei decenni successivi agli anni ’70 la parola d’ordine del pensiero neoconservatore è stata riscrivere la storia banalizzandola, mettiamo a confronto le strofe di Valle Giulia con quelle di un’altra celeberrima canzone dell’epoca che ricorda un episodio dell’anno successivo alla rivolta di Roma:

Ne abbiamo visti davvero tanti /Di manganelli scudi romani /Però s’è visto anche tante mani /Che ai sampietrini cominciano ad andar/Tutta Torino proletaria alla violenza della questura/Risponde ora senza paura: la lotta dura bisogna far

Questa canzone di Alfredo Bandelli, La ballata della Fiat riprende i temi di Valle Giulia celebrando la rivolta torinese di Corso Traiano che aprirà la grande stagione dell’autunno caldo, quella della conquista operaia dei diritti uguali per tutti sul contratto, sulla salute, sui ritmi di lavoro. Altro che rivolta romana degli studenti annoiati a malapena contenuta dai “proletari” poliziotti: l’epica di Valle Giulia ne nutrì un’altra: quella della rivolta proletaria dell’autunno caldo. Come da tradizione dell’epoca: la rivolta studentesca aveva chiamato la rivolta operaia. La quale, a modo suo, aveva risposto con tre giorni di scontri che sposteranno irrimediabilmente a sinistra i rapporti sociali e politici di un paese per lunghi anni.

S’era aperto il decennio rosso, quello in cui i padroni pagheranno caro anche senza pagare tutto. E questa è una storia che non si riscrive. Al massimo se ne aggiungono dei capitoli nuovi. (Ivano Scacciarli da SenzaSoste)

Comments ( 1 )

  • Gianni Sartori

    D’accordo, quasi su tutto. Anche se per me il ’68 più vero rimane quello della rivolta operaia di Valdagno del 19 aprile 1968 (forse perché, quindicenne, in parte potei assistervi).
    Quella fu una rivolta sicuramente proletaria, senza le “ambigue presenze”come quelle della foto che avete pubblicato.
    In prima fila sono riconoscibili una decina di fascisti di Avanguardia Nazionale (Merlino, Delle Chiaie, Gaudenzi, Tilgher, Tonino Fiore, Mulas…) ) e venne usata negli anni successivi da questi infiltrati e provocatori per sostenere la loro partecipazione alle lotte del ’68. In realtà sappiamo quale fosse il loro ruolo (vedi Merlino infiltrato tra gli anarchici, vedi le “false bandiere”, vedi piazza Fontana…).
    Certo, Pasolini aveva le idee confuse, ma a 50 anni di distanza quella foto dovrebbe essere almeno spiegata con adeguata didascalia.
    Ne esiste un’altra immediatamente successiva, scattata dopo pochi secondi (pubblicata su Skema nei primi anni settanta) dove i fasci sono scomparsi, volatilizzati subito dopo aver innescato la provocazione.
    Comunque “la lotta continua”… (forse)
    Gianni