E’ stato il giorno del giudizio oggi per Giovanni Macchiarolo, il carabiniere che quasi 2 anni fa uccise il giovane Davide Bifolco al rione Traiano.
In mattinata inizia presso il Tribunale di Napoli l’ultimo atto del processo di primo grado per omicidio colposo. Processo giocato, oltre che nelle aule dei tribunali, anche e soprattutto sui media dove anche in questi giorni l’arma dei carabinieri ha cercato di condizionare l’opinione pubblica (e quindi i giudici che oramai sempre più spesso decidono a seconda degli umori popolari del momento) facendo trapelare la notizia che uno dei giovani che in quella tragica notte era sullo scooter con Davide è stato arrestato per spaccio. In realtà il ragazzo in questione è stato arrestato settimane fa e gli sono stati concessi da subito gli arresti domiciliari però la notizia è stata resa nota soltanto ieri. Un tempismo quantomeno sospetto.
La famiglia e gli amici di Davide da subito si erano opposti al capo d’imputazione in quanto considerato fuorviante. Omicidio colposo ad un professionista che si piega sulle gambe, prende la mira e spara freddamente alle spalle di un ragazzino disarmato… poco credibile. Chiedevano invece omicidio volontario, capo d’imputazione sicuramente più calzante per le dinamiche acclarate dei fatti.
L’appuntamento per gli amici di Davide e i militanti dei centri sociali cittadini (Mensa Occupata in primis) è alle 10 in Piazza Mancini e da lì circa 200 persone partono in corteo verso il Centro Direzionale dove ha sede la Procura.
Dopo qualche ora il verdetto: 4 anni e 4 mesi di condanna. Ovvero quasi il massimo della pena per un omicidio colposo. Più importante probabilmente però la pena accessoria inflitta al carabiniere (e non richiesta neanche dal pm): 5 anni di interdizione dai pubblici uffici. A livello sociale è sicuramente la notizia migliore perché eviterà a una persona come il suddetto carabiniere di fare danni in giro con la divisa.
La famiglia del ragazzo urla e si dispera. L’emotività del momento non gli fa realizzare sul momento che quella condanna è il massimo possibile in un processo del genere e che di più non sarebbe stato possibile ottenere. Ne è consapevole invece Fabio Anselmo, l’avvocato della famiglia Bifolco e già avvocato di tante vittime di malapolizia, che infatti è soddisfatto ben conoscendo i meccanismi del sistema giudiziario italiano che non prevedono praticamente mai la condanna degli appartenenti alle forze dell’ordine, anche quando le loro responsabilità sono evidenti.
Come dare torto però alla madre di Davide quando afferma di avere il figlio maggiore in galera, condannato a 5 anni per un furtarello, mentre l’assassino di suo figlio è in libertà (e fino a ieri regolarmente a lavoro) con una condanna di 4 anni e poco più che non sconterà mai con la privazione della libertà.
Ci sembra comunque un fatto importante quello accaduto oggi. Giustizia non è stata fatta, e d’altronde nessuno si illudeva che ciò sarebbe avvenuto, però da oggi gli uomini in divisa operanti in questi territori dovranno fare bene attenzione a giocare al tiro al bersaglio con i giovani proletari perché si è innescato dal basso un processo di vigilanza democratica.
Ivan Trocchia da contropiano