LA FUGA DALLA TURCHIA
Nel 1980, due anni dopo aver fondato il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK, indipendentista), Ocalan fugge dalla Turchia e quattro anni dopo decide di impegnarsi nella lotta armata. Gli attacchi del PKK si confrontano con la repressione delle forze di sicurezza turche. Presto, il leader curdo diventa l’incubo di Ankara che descrive i membri del PKK come “terroristi assetati di sangue”.
“Apo” – soprannome di Ocalan, parola che è sia un diminutivo di Abdullah, che il vocabolo “zio” in curdo -, secondo Ankara, si sposta tra Damasco e nella pianura libanese della Bekaa sotto il controllo siriano, dove installa il suo quartier generale.
L’ESILIO IN ITALIA
Nell’ottobre 1998, il leader curdo viene costretto a lasciare la Siria in seguito alle minacce di Ankara di intraprendere un’azione militare contro il Paese arabo se avesse continuato a proteggerlo. Dopo Mosca, Apo fugge in Italia, dove la sua presenza provoca una crisi diplomatica tra Ankara e Roma, che rifiuta di estradarlo per risparmiarlo dalla pena di morte che esiste in Turchia.
Ocalan lascia l’Italia il 16 gennaio del 1999 e, senza successo, bussa alla porta di diversi paesi dell’Unione Europea per chiedere asilo politico. Inseguito da agenti turchi, Abdullah Ocalan si nasconde ad Atene, prima di essere portato con l’aiuto dei servizi segreti greci all’ambasciata greca a Nairobi, in Kenya.
LA CATTURA IN KENYA
Il caso solleva molte polemiche in Grecia è porta al licenziamento di diversi ministri. Il 15 febbraio, lascia la residenza dell’ambasciatore greco a Nairobi, dove era rimasto per 12 giorni, apparentemente per lasciare il Kenya, ma viene intercettato da un commando turco mentre sta viaggiando in auto verso l’aeroporto della capitale keniota.
Il giorno successivo, il primo ministro turco Bülent Ecevit annuncia che Ocalan “è stato arrestato durante un’operazione segreta” delle forze di sicurezza ed è in Turchia dove sarà processato. “Abbiamo detto che l’avremmo catturato in qualsiasi parte del mondo, abbiamo adempiuto quella promessa”, dice a suo tempo Ecevit. La televisione turca trasmette un video che mostra il leader ribelle, in manette e con la faccia fasciata, sull’aereo che lo porta in Turchia.
LA FURIA DEI SIMPATIZZANTI DEL PKK
All’annuncio della sua cattura, le ambasciate e i consolati greci sono presi d’assalto dai militanti curdi in diverse città europee. Il PKK denuncia la “responsabilità” di Grecia e Kenya. Accusa gli Stati Uniti e Israele di essere coinvolti nel “rapimento” del suo leader. L’intelligence israeliana nega ogni coinvolgimento, così come Washington, che afferma di essere “molto soddisfatto” della cattura dell’uomo che considera un “leader terrorista”.
I simpatizzanti del PKK invadono il consolato israeliano a Berlino. Quattro curdi vengono uccisi dalle forze di sicurezza israeliane. Appena arrivato in Turchia, Ocalan viene incarcerato nell’isola prigione di Imrali (nord-ovest), al largo di Istanbul. Il 31 maggio 1999, nel primo giorno del suo processo, Apo invita il suo partito a deporre le armi. L’udienza, celebrata sull’Isola, sulla quale è l’unico prigioniero, si svolge sotto uno stato di assedio in un’atmosfera carica di tensione. L’imputato è protetto da una gabbia antiproiettile.
LA CONDANNA A MORTE COMMUTATA IN ERGASTOLO
Il 29 giugno di quell’anno, Ocalan è condannato a morte per tradimento e tentativo di dividere la Turchia. La maggior parte delle capitali europee chiedono ad Ankara clemenza. Nel 2002, l’abolizione della pena di morte rende possibile commutare la sua condanna all’ergastolo. La Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) conferma nel 2005 la condanna della Turchia per “processo ingiusto” e raccomanda un nuovo processo. Nel 2013, Abdullah Ocalan chiede un cessate il fuoco per consentire colloqui con Ankara al fine di raggiungere un accordo pacifico. Ma il conflitto, che nel frattempo ha ucciso decine di migliaia di persone, riprende nel 2015 quando il PKK pone fine alla tregua. (da http://www.uikionlus.com/)
Guarda “Nati sotto il segno dell’ariete”:
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