Nella notte tra il 19 ed il 20 dicembre 1972 moriva Roberto Zamarin, creatore di Gasparazzo, l’operaio meridionale della FIAT che ha accompagnato per un po’ la storia del giornale Lotta Continua.
Lo ricordiamo con un articolo di Claudio Grassi uscito nel 2002 su Liberazione:
“Nella notte tra il 19 e il 20 dicembre di trent’anni fa c’era la nebbia sull’Autostrada del Sole. Una nebbia fitta e fastidiosa che cancellava la vista e attutiva i rumori. In quella notte fredda e ovattata, su quella autostrada maledetta moriva Roberto Zamarin, l’inventore di Gasparazzo, l’operaio meridionale emigrato al nord che lavorava e lottava alla Fiat.
Moriva di schianto mentre correva troppo veloce per portare a Milano le copie fresche di stampa di “Lotta Continua”, il giornale su cui, a partire dal 10 giugno dello stesso anno, aveva cominciato a disegnare le strisce del suo Gasparazzo. Con gli occhi di oggi in molti, anche in quella sinistra più attenta al look che alla sostanza, riterrebbero Zamarin un tipo un po’ bislacco, qualcuno vedrebbe in lui un romantico sognatore, i più un povero illuso travolto da una passione plebea per la politica. In questa epoca in cui tutto viene misurato con il metro del profitto e del tornaconto personale Roberto verrebbe evitato come un monatto, prima ancora che per il soggetto delle sue tavole (un banale operaio meridionale, un immigrato) per le sue scelte personali.
Il giovane Zamarin, infatti, considerato uno dei più brillanti grafici della generazione emergente, non aveva esitato un solo secondo a lasciare lo studio pubblicitario dove stava facendo carriera, quando gli era stato chiesto di dare una mano a “Lotta Continua”, il suo giornale. Le sue entrate erano passate dalla prospettiva di una dorata rendita creativa legata al fatturato dello studio, delle campagne pubblicitarie e dei clienti, alla certezza di settantacinquemila lire al mese (quando c’erano), equivalenti al salario medio di un operaio di seconda categoria di quell’epoca.
Pochi giorni prima di morire aveva “battezzato” il suo primo libro, Gasparazzo – ovvero la nobile arte di fare l’operaio, una raccolta di strisce e vignette edite e inedite. Per l’occasione, a dispetto della sottile vena auto-ironica che ne contraddistingueva il lavoro, si era un po’ lasciato andare disegnando una striscia con Gasparazzo che salta di gioia e urla: «E’ nato», alludendo appunto al libro di vignette appena uscito. Quella sarà la sua ultima striscia prima del tragico schianto. Con la morte di Zamarin finisce prematuramente anche la storia di Gasparazzo o, meglio, Calogero Ciraldo Gasparazzo.
Il personaggio, infatti, prende il nome da un carbonaio siciliano, divenuto uno dei capi dell’insurrezione di Bronte repressa dai garibaldini. Un secolo dopo il carbonaio non è più in Sicilia, ma è emigrato a Torino, e Zamarin lo ritrova alle linee di montaggio della Fiat insieme a tanti altri uguali a lui. Come dice la prefazione al libro citato «E’ diventato l’operaio massa senza mestiere e senza patria. Ha imparato le nuove armi della lotta di classe, ma il ricordo della giustizia proletaria di Bronte è sempre rimasto vivo nella sua testa. La politica la scopre giorno per giorno buttando la sua ribellione istintiva dentro al meccanismo disciplinato della grande fabbrica moderna. Per il resto vive come tanti altri uguali a lui, segue lo sport, guarda la televisione…». In realtà la figura di Gasparazzo diventa, fin dalla sua prima comparsa sul quotidiano la metafora di un’area di pensiero destinata ad aprire forti contraddizioni in tutta la sinistra extraparlamentare dell’epoca. Più efficace di un documento politico, l’operaio immigrato inventato da Zamarin ha vivida (e non solo nel nome) la memoria di un’oppressione antica che si salda con le sue tensioni quotidiane, quasi a simboleggiare l’inevitabilità, più ancora che la necessità, di mantenere un legame saldo e coerente tra passato e presente. In più la sua condizione in fabbrica è la chiave di lettura attraverso la quale egli legge tutto ciò che lo circonda, dalle lotte per la casa all’antifascismo militante. In questo egli è l’alfiere di un “operaismo” non parolaio destinato a diventare uno degli elementi discriminanti nel dibattito che, alla fine degli anni Settanta, scuoterà l’intero arcipelago della sinistra extraparlamentare italiana. Quella notte Gasparazzo è morto nella nebbia in cui si è schiantata l’auto del suo autore Roberto Zamarin.
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