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30 giugno 1960 Genova è antifascista.

Il 25 marzo 1960 Fernando Tambroni riceve dal presidente della Repubblica Giovanni Gronchi l’incarico di formare il nuovo governo, un governo autoritariamente centrato sulla figura del suo presidente e sulla fiducia che ad esso garantiscono i monarchici e il Movimento Sociale Italiano.

Non stupisce allora che appena tre mesi più tardi il governo Tambroni non solo non impedisca, ma persino difenda il congresso nazionale del MSI organizzato – non certo senza un sapore di provocazione – a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza, e per giunta  presieduto da Emanuele Basile, prefetto repubblichino che negli anni di Salò era stato responsabile della deportazione degli antifascisti genovesi nei lager e nelle fabbriche tedeschi.

Due giorni dopo la manifestazione del 28 Giugno indetta dalle associazioni partigiane affiancate dai partiti PCI, PSI, PSDI , PRI, PR e dal sindacato CGIL (che proclama uno sciopero generale), la città medaglia d’oro insorge.

“Il 30 giugno 1960 i lavoratori portuensi (i cosiddetti “camalli”) risalgono dal porto guidando decine di migliaia di genovesi, in massima parte di giovane età (i cosiddetti “ragazzi dalle magliette a righe”), in una grande manifestazione aperta dai comandanti partigiani. Al tentativo di sciogliere la manifestazione da parte della polizia, i manifestanti rovesciano e bruciano le jeep, erigono barricate e di fatto si impadroniscono della città, costringendo i poliziotti a trincerarsi nelle caserme. In piazza De Ferrari viene acceso un rogo per bruciare i mitra sequestrati alle forze dell’ordine. Il prefetto di Genova è costretto ad annullare il congresso fascista” (fonte: http://www.reti-invisibili.net/reggioemilia/).

Oggi, come ogni anno, come ogni giorno, siamo ancora in piazza a Genova per gridare “con i pugni chiusi al cielo, con i cuori ormai lontano” che “il fascismo si può fermare!”, come recita il brano 30 giugno 1960 composto – nel 1977 – dal gruppo musicale Barricata Rossa (https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?id=51203&lang=it).

Nella notte tra il 1 e il 2 luglio il prefetto fa schierare gli agenti in snodi importanti della città, al fine di impedire il concentramento dei manifestanti, in arrivo dai quartieri industriali, nel centro della città.

Una colonna di venti trattori agricoli provenienti da Portoria, avanza verso gli schieramenti di forze dell’ordine per abbattere gli sbarramenti di filo spinato che circondano piazza De Ferrari, vengono confezionate centinaia di bombe molotov, nella cinta industriale intorno alla città si ricostituiscono le formazioni di partigiani accorsi da tutta Italia, pronte a scendere in città, in alcuni quartieri, quali del Porto, di via Madre di Dio, di via Sant’Andrea vengono costruite barricate di pietre e legname alte due metri.

Davanti ad alcuni lussuosi alberghi in cui alloggiano i dirigenti dell’Msi i manifestanti si scontrano ancora con le forze dell’ordine, e in alcuni casi riescono anche a entrare in contatto e ricacciare indietro i fascisti.

Sono circa 500.000 i lavoratori e gli antifascisti mobilitati, pronti a scendere in piazza.

È a questo punto, che il governo capisce di aver perso la partita e, revoca l’autorizzazione all’Msi per lo svolgimento del congresso nel capoluogo ligure. Lo sciopero indetto dai sindacati viene revocato. La Genova antifascista ha vinto.

Pesante il bilancio repressivo che le giornate di Genova si porteranno dietro: saranno in tutto novantotto le persone arrestate, ventitre delle quali saranno ancora in carcere il 19 agosto, quando verrà celebrato il processo che terminerà con condanne dure, dai tre ai quattro anni di carcere.

Il 3 luglio si svolge a Genova un’altra grande manifestazione per celebrare la vittoria del movimento antifascista, durante la quale ilgenova 1960 6 magistrato Peretti Griva afferma: “I ragazzi arrestati hanno agito per legittima difesa e in stato di necessità contro i soprusi avversari. Guai se il popolo non fosse insorto, si sarebbero preparate al Paese nuove e più tragiche ore. Io mi auguro che la magistratura sappia interpretare esattamente la realtà”.

In un estremo atto per cercare di riaffermare la propria autorità, scalfita e messa prepotentemente in discussione dalla vittoria della piazza genovese, Tambroni ordina alle forze dell’ordine , nei giorni successivi, di sparare in situazioni di ” particolare emergenza” durante gli scioperi e i cortei antifascisti che vengono organizzati in tutta Italia, molti dei quali finiranno nel sangue.

Il 5 luglio a Licata, in Sicilia, la polizia ucciderà un manifestante e ne ferirà altri ventiquattro, il 6 i poliziotti a cavallo caricheranno un gruppo di deputati che depongono corone di fiori ai piedi di una lapide, il 7 luglio le forze dell’ordine uccideranno 5 operai in sciopero a Reggio Emilia, l’otto luglio altri tre scioperanti verranno uccisi in Sicilia.

Il 19 luglio, scaricato dal suo stesso partito, Tambroni sarà costretto a rassegnare le dimissioni: l’insurrezione genovese aveva dimostrato che qualsiasi tentativo di svolta autoritaria avrebbe dovuto fare i conti con una determinata reazione popolare.