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41 bis, quella circolare ha solo uniformato il carcere duro

Il provvedimento non contiene alcuna apertura verso i diritti e le garanzie dei reclusi in 41 bis. non dischiude spiragli, non fa concessioni. L’obiettivo raggiunto è stato quello di creare una parità di trattamento negli istituti di pena

Il regime del 41 bis, nato come emergenziale in esito alle note stragi del 1992 per impedire ai boss di veicolare ai sodali in libertà i loro impulsi criminali, dopo 27 anni dall’emergenza ha visto mutata e mortificata la sua originaria essenza giustificatrice.

A seguito di due riforme normative e di numerosi rimbrotti da parte della Corte Europea – che ricorda all’Italia il carattere emergenziale della misura afflittiva e la necessità che la stessa non si protragga a carico di un soggetto per tempi illimitati in assenza di specifiche, motivate, ed attuali situazioni di pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblici – nonché delle inascoltate raccomandazioni del Cpt europeo, il 41 bis è entrato in modo permanente nell’ordinamento penitenziario e, diversamente dalla sua iniziale ispirazione ideativa, è esteso a ben più ampie categorie di detenuti. Basta la mera partecipazione a un sodalizio, contestata con un’ordinanza di custodia cautelare, perché un soggetto, ancora solo indagato, venga colpito dalla speciale misura.

Le restrizioni, le preclusioni del regime, appaiono spesso del tutto sconnesse da effettive esigenze di sicurezza e palesano una logica di mera afflizione, espressione plastica di una ragion di Stato pallido simulacro dello Stato di Diritto.

Nel gennaio 2017, nella relazione sull’amministrazione della giustizia dell’anno 2016, il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, si soffermava proprio, se pur molto brevemente, sul 41 bis e dava notizia di una apposita circolare, già elaborata e trasmessa al Capo di gabinetto per la condivisione, che ‘ si prefigge di raggiungere una piena funzionalità del regime nel corretto bilanciamento degli interessi connessi alla sicurezza penitenziaria ed alla dignità del detenuto, titolare di diritti soggettivi che non devono venire meno per effetto della sottoposizione al regime speciale, con l’esclusione di ogni disposizione che possa essere interpretata come inutilmente afflittiva’.

Nella relazione del ministro Orlando si legge, dunque, a chiare lettere che adesso non è così, cioè in questo momento la norma dell’ordinamento penitenziario, l’art. 41bis, è interpretata e applicata ponendo ai detenuti in tale regime limitazioni meramente afflittive.

Che si tratti di uno strumento con caratteristiche di investigazione e di tensione all’ottenimento della collaborazione con la giustizia da parte del detenuto, all’accusa o all’autoaccusa, si trova scritto tra le righe della medesima relazione che offre numeri e dati significanti: nel corso delle impugnazioni rivolte al Tribunale di Sorveglianza di Roma ( nel 2009 è stato istituito un tribunale speciale unico, quello di Roma, che si occupa dei de- creti ministeriali), i decreti annullati sono stati sei, mentre quelli revocati a seguito di intrapresa attività di collaborazione con la giustizia sono stati undici.

Il dato è assai rilevante perché rappresenta nella pratica come il 41 bis con le vessazioni che lo caratterizzano, la compressione dei diritti soggettivi, la sostanziale eliminazione di quella soglia di individualità che è vita, che è attività, che è reattività, è servito a portare queste persone ad una collaborazione con la giustizia, una collaborazione che è, dunque, estorta e molto spesso non è affatto un segnale di ravvedimento.

La circolare sul regime di cui all’art. 41 bis O. P. è stata, infine, pubblicata soltanto il 2 ottobre. E, tuttavia, non sembra affatto quella di cui aveva parlato il Ministro Orlando. Il documento di 52 pagine, infatti, descrive ed enuclea capillarmente le regole della speciale carcerazione attraverso una specificazione meticolosa di ciò che è consentito e di ciò che non lo è. L’obiettivo raggiunto è quello di creare una uniformità di trattamento tra tutti gli istituti di pena ed escludere che le singole amministrazioni possano operare discrezionalmente su ciò che va concesso o negato.

Le prescrizioni di legge, infatti, tese in astratto ad impedire il collegamento dei sodali con l’esterno devono, poi, essere riempite da modalità applicative che possono risultare non uniformi. Nessuna riforma della materia, dunque. E, del resto, nessun potere di modifica normativa appartiene a uno strumento di rango subordinato quale la circolare, espressione del potere della P. A. e destinato a disciplinare aspetti regolamentari interni. Il provvedimento ministeriale non contiene alcuna apertura verso i diritti e le garanzie dei reclusi in 41 bis. Non dischiude spiragli, non fa concessioni. Reitera con un linguaggio brutale, stigma di isolamento e di repressione, uniformandole, le note prescrizioni e vessazioni che fanno della persona detenuta nel regime derogatorio un sepolto vivo. Purtroppo a parlare della circolare troviamo spesso chi non ha mai saputo come funzionassero le cose ed è pronto a gridare allo scandalo perché questi ristretti particolarmente pericolosi possono anche guardare la tv, perché non sono stati fucilati e perché c’è perfino chi li vorrebbe ancora uomini. Nessuna riflessione è espressione lucida di un’analisi che muove dalla conoscenza del preesistente e, dunque, capace di valutare un eventuale cambiamento.

Così si accendono i riflettori della paura sulla estensione a tutte le sezioni di 41 bis della possibilità di consentire ai detenuti genitori di minori di dodici anni di trascorrere con loro, oltre la barriera di vetro che separa il ristretto dai suoi familiari, non più solo 10 minuti dell’ora al mese di colloquio consentita, ma l’ora intera.

Una concessione, questa, già operante in diversi istituti in virtù di decisioni della magistratura di sorveglianza che aveva ravvisato la assurda illogicità del comprimere in dieci minuti il tempo da concedere allo scambio fisico di effusioni tra il detenuto e il figlio minore. Ma logica e regime derogatorio non vanno di pari passo. La circolare rappresenta in modo plastico l’essenza di un impeto di punizione ed annichilimento che in nessuna misura guarda a criteri di attenzione alla sicurezza.

Così è scritto che il detenuto potrà essere autorizzato a tenere in cella matite colorate; che potrà portare negli spazi di socialità un pacchetto di fazzoletti, una penna, una matita, un foglio, una bottiglietta d’acqua; che non potrà acquistare libri, giornali, riviste se non per il tramite dell’amministrazione penitenziaria; che non potrà cucinare e potrà acquistare cibo al sopravvitto corrispondente al ‘ fabbisogno personale’; che potrà appendere al muro della cella soltanto una foto di un familiare, delle dimensioni consentite; che il minore verrà ‘ posizionato’ per il colloquio nello spazio del detenuto/ internato e poi ‘ riconsegnato’ sotto stretto controllo da parte della polizia penitenziaria; che per chiedere la copia della propria cartella clinica, il detenuto dovrà attendere permessi e autorizzazioni, così per ottenere la visita di un medico di fiducia; che quando isolato godrà della socialità ‘ da solo’ e se appare ragionevole che abbia perso la testa per la prolungata esclusione, al punto da far temere per la sicurezza propria o del personale penitenziario, potrà essergli tolta parte del mobilio dalla cella; che verrà ‘ movimentato’ per accedere all’aria e alla socialità e nel corso di tale ‘ movimentazione’, il blindo delle altre celle resterà chiuso e ancora tutta una serie di minute, puntualissime prescrizioni su ogni aspetto del non vivere di persone che hanno solo due ore al giorno per attività diverse dalla cella da spendere in spazi angusti e spogli, mai davvero all’aperto, senza visione di prospettiva, senza cielo.

Maria Brucalecomponente della commissione di riforma dell’ordinamento penitenziario e del direttivo di nessuno tocchi caino

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