Aldrovandi. Il Coisp denuncia l’Estense all’Ordine dei giornalisti
- marzo 05, 2013
- in malapolizia, violenze e soprusi
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Gli amici e i parenti di Aldro contro gli applausi
Giudicato “Paradossale” il comportamento dei sindacati e si chiede la destituzione degli agenti
Cosa possiamo aspettarci da chi ha applaudito? L’Associazione “Federico Aldrovandi” risponde alle polemiche sindacali sulla carcerazione degli agenti responsabili della morte di Federico, “giudicati colpevoli in tre gradi di giudizio e da quattro Tribunali dello Stato, incluso quello di Sorveglianza”. Il primo riferimento dell’associazione, nata dal Comitato Verità per Aldro, va alla trentina di agenti e sindacalisti che ha applaudito Enzo Pontani all’uscita del Tribunale (vai all’articolo http://www.estense.com/?p=281399).
“Cosa possiamo aspettarci da chi ha applaudito? – scrive l’associazione -. Sostegno, approvazione, consenso e assenso al loro comportamento? Forse si, visto che i depistaggi dei loro colleghi sono una realtà (sempre secondo varie sentenze di Tribunali)”.
Gli amici e i parenti di Federico ricordano come “in questi anni abbiamo sempre ribadito che la responsabilità dei reati è individuale. Non abbiamo mai ritenuto le Istituzioni e la Polizia responsabili di azioni delittuose assolutamente individuali”.
Invece “nelle dichiarazioni di Sap, Siulp, Coisp ed Ugl si nota un denominatore comune: il tentativo di trasformare gli agenti condannati da colpevoli a vittime ingiustamente condannate, proprio in quanto “agenti di polizia”. Come se per loro fosse lecita qualunque azione. L’unica verità è che Pontani Pollastri Segatto e Forlani sono colpevoli di omicidio. E la vittima incolpevole, perché nulla di male aveva mai fatto, colui che ha sofferto ed è morto per causa loro è Federico. Non ci sono altre verità, purtroppo. È paradossale che i rappresentanti di un organo istituzionale si scaglino direttamente contro lo Stato, qui rappresentato dalla Magistratura. Hanno giurato l’opposto quando sono stati assunti”.
L’Associazione ricorda alcuni passaggi della sentenza di Cassazione: “…sferrarono numerosi colpi contro Aldrovandi, non curanti delle sue invocazioni di aiuto [azione che] proseguì anche quando il ragazzo era stato fisicamente sopraffatto e quindi reso certamente inoffensivo. Segatto lo colpiva alle gambe con il manganello, Pontani e Forlani lo tenevano schiacciato a terra, mentre Pollastri lo continuava a percuotere”. Sempre la Cassazione ricorda le “manipolazioni delle risultanze investigative pure realizzate da funzionari responsabili della Questura di Ferrara”.
Ultima in ordine di tempo, la sentenza del Tribunale di Sorveglianza di Bologna: “inaffidabilità, difetto di autocontrollo, assenza della capacità di gestire adeguatamente una situazione, quale quella in oggetto, che sia pure delicata, non era certo così eccezionale e tale da richiedere un’attività di contenimento di siffatte caratteristiche, addirittura rilevatasi letale, nei confronti di un ragazzo solo e disarmato. [Di] mancanza di attenzione per il dolore e la sofferenza della vittima, percossa e contenuta, fino a morirne. [Fatto] tanto più è grave in quanto riferito a un appartenente alla Polizia di Stato, preposto alla salvaguardia e alla tutela, sul campo, dei diritti e della sicurezza dei cittadini”.
Sentenze che “confermano una storia molto diversa da quella che Sap, Siulp, Coisp ed Ugl continuano a falsare. Nelle sentenze i comportamenti dei quattro rappresentanti delle forze dell’ordine sono giudicati in maniera incontrovertibile”.
Per l’Associazione poi “è paradossale che si invochino la clemenza o la grazia” e chiede la destituzione degli agenti richiamando l’articolo 7 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 737 del 25 ottobre 1981 che istituisce il Corpo di Polizia: “La destituzione consiste nella cancellazione dai ruoli dell’appartenente ai ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza la cui condotta abbia reso incompatibile la sua ulteriore permanenza in servizio. La destituzione è inflitta: 1) per atti che rivelino la mancanza del senso dell’onore e del senso morale; 2) per atti che siano in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento; 3) per grave abuso di autorità o di fiducia; 4) per dolosa violazione dei doveri che abbia arrecato grave pregiudizio alla Stato, all’Amministrazione della pubblica sicurezza, ad enti pubblici o a privati”. L’articolo 8 è addirittura maggiormente esplicativo: “L’appartenente ai ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza incorre nella destituzione di diritto: […] c) per applicazione di una misura di sicurezza personale di cui all’art. 215 [il ricovero in una casa di custodia. Ndr.] del codice penale ovvero di una misura di prevenzione prevista dall’art. 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423”.
L’articolo esplicita dunque che la carcerazione di un dipendente di pubblica amministrazione è causa di destituzione dal lavoro. “Questo ci aspettiamo. Niente di più, ma neanche niente di meno. Per questi motivi chiediamo allo Stato Italiano, appellandoci anche a tutta la società civile, che gli agenti condannati per la morte di Federico finiscano di scontare la pena loro inflitta al terzo grado di giudizio in carcere, e siano immediatamente destituiti dai loro ruoli di Agenti di pubblica Sicurezza dello Stato”.
Ecco la cosa di cui ho paura – da quel giorno: di non poter più riabbracciare un figlio o una figlia, se incontra chi usa “la divisa” come hanno fatto loro!