Di “alimenti di cittadinanza”, mercati sociali… e NOI, poracci e precari de mmerda!
- maggio 08, 2020
- in riflessioni
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Insomma, succede che un amico mi chiama da Ostia e me fà: «A poraccio, precario de mmerda, scenni giù a Ostia che ‘mo c’avemo il “Mercato Sociale de Roma Capitale” ‘ndo anna a magnà du fave e tutte cose!»
Incredulo, a tratti estasiato (per le fave, eh..), decido di informarmi meglio. Ma te pare che, in tempi di emergenza pandemica, recessione, e mentre Confindustria, ConfCommercio, ConfAgricoltura &Co. piangono miseria, il Comune di Roma ha deciso di caccià i soldi per i poracci come me? E a gratis, senza chiedere nulla in cambio? Ma te pare?
E invece no, tutto regolare sotto il sole daaa Capitale!
Insomma, succede che la Sindaca si presenta al Mercato dell’Appagliatore ad Ostia, accompagnata dalla minisindaca Di Pillo del municipio, dal Consigliere Comunale Ferrara e dalla claque gaudente (ossia, telecamere e vari ed eventuali tutori dell’ordine a cornice), ad inaugurare «il primo Mercato Sociale di Roma Capitale dedicato alle famiglie in difficoltà. Un mercato dove per fare la spesa non servono soldi ma una card che verrà ricaricata attraverso il tempo che le persone dedicheranno a lavori socialmente utili per la città.»
Papale papale. Sei un poraccio? E ancora (vivo) te fai vedè in giro? E (nun t miett scuorn?!) anche tu ti identifichi tra le «famiglie e persone in difficoltà»? Per caso, anche tu non riesci «ad arrivare alla fine del mese»?
Ebbene sì, la Sindaca assicura che «Con l’emergenza coronavirus molte più famiglie sono in difficoltà. Dopo il reddito di cittadinanza a livello nazionale abbiamo voluto pensare ad una risposta concreta e immediata a livello locale: arrivano così gli ‘alimenti di cittadinanza’.» Sta senza pensier!
Perché «Nel mercato in via dell’Appagliatore ad Ostia abbiamo allestito in tre box un ufficio, un magazzino e un supermercato. Il progetto coinvolgerà in un primo momento 20 famiglie individuate dai servizi sociali. Inoltre, abbiamo dato delle card anche ad una parrocchia che si occuperà di darle a persone in difficoltà, i cosiddetti invisibili», spiega il consigliere comunale Paolo Ferrara.
Fremo: allora è vero che il “lavoro rende liberi”!
Un’idea promozionale per spigne il Mercato Sociale de Roma a Capitale |
Caciotte, olio e farina per chi sta ‘nguajat col reddito… pure i pannolini!
Mi informo meglio, dopotutto cercando sull’internet i numeri dei millemila avventori che sicuro, sicuro, sapranno apprezzare come me ‘sti “alimenti di cittadinanza”, non resto deluso semmai sorpreso:
«In questi giorni 70 persone hanno iniziato a usufruire dei suoi servizi e della spesa fatta lì. Abbiamo già rilasciato 12 tessere su 17 nuclei familiari pilota, assegnando 2.386 punti. Ne sono già stati “spesi” 426» scrive la Sindaca su Facebook.
Ma come funziona sta svolta?
‘Ndo se compra sta fantasmagorica card? Si trova pure pezzotta, se po’ taroccà, o vale solo quella made by Comune de Roma Capitale™?
«Voglio fare chiarezza su come funziona il meccanismo del social market: si fa la spesa con una card che viene ricaricata anche attraverso il tempo che viene dedicato ad attività socialmente utili.»
‘Azz, l’ennesima social card, l’ennesima sputazz in faccia alla povertà (o vulnerbilità o marginalità sociale da tutelare, eh Sindaca?) passata per misura di welfare, o meglio, workfare… se dice così no?
E quanti punti te danno su sta card? Quanto costano ste caciotte e fave? E io, poraccio, precario de mmerda, posso accedervi o prima me devo fa ‘na famija?
«Ogni prodotto è “prezzato” con i punti corrispondenti. Più l’alimento è indispensabile e meno punti gli sono stati attribuiti È stato inoltre istituito un “patto sociale” così da condividerne in modo esplicito il valore e le peculiarità» apprendo da qui, ossia:
PUNTI TESSERA MENSILI
1 persona da 35 a 50
2 persone da 50 a 70 3 persone da 70 a 90
4 persone da 90 a105
5 e oltre da 105 a 130
Integrazione per ogni bambino da 0 a 3 anni – 5 punti
Integrazione per ogni neonato da 0 a 1 anno – 10 punti
Sto ‘nguaiat, insomma, prima me devo fa na famija me sa…
Ma me sa che non basta solo avecce ‘na famija, serve pure che me faccio sfruttà…
«Sottolineo che non c’è nessun obbligo e che tutto viene svolto su base volontaria.
Voglio anche evidenziare che chi fa la spesa in questo Mercato Sociale non viene escluso dalle altre azioni che abbiamo già messo in campo. A supporto dei cittadini, infatti, ricordo che abbiamo erogato oltre 22mila Buoni Spesa e distribuito 45mila pacchi di generi alimentari.
Inoltre, chi vuole, oltre alle ore di volontariato settimanali, può anche seguire un percorso formativo per acquisire nuove competenze.»
No, aspè, a parte tutt sti strunzat da «non c’è nessun obbligo e che tutto viene svolto su base volontaria», (io teng fame, si nun fatic, o nun voglio faticà a gratis e VOLONTARIAMENTE per il Comune di Roma, ma rai o’stess a pagnott e ‘sti ddoi fav?!) che significa st’ultima cosa? «Percorso formativo per acquisire nuove competenze» de chè?
«È prevista anche un’attività di formazione per chi dovrà lavorare nel Mercato sociale: si pensa al conseguimento dell’attestato HACCP con cui si certifica che il lavoratore che opera nel settore dell’industria alimentare possiede conoscenze e competenze in materia di sicurezza ed igiene alimentare. Questo permetterà, ad esempio, di implementare i prodotti presenti nel Mercato sociale e “vendere” non solo prodotti in scatola ma anche frutta, verdura ed altri generi alimentari freschi.» mi spiega la Sindaca.
M’è passata la fame: insomma, non solo me devo fa sfruttà per du caciotte e du fave, ma al massimo me danno l’attestato HACCP? Ma o’ver fai? Che vai ricenn?
Insomma, per du caciotte e ‘n calippo (“na bira”, no, non sia mai, che se stimola l’alcolismo latente dii ‘sti poracci parassiti), vendi a gratis la tua forza lavoro e soprattutto la tua dignità personale, oltre alla dignità da lavoratore.
Nella Repubblica democratica fondata sul lavoro, quella stessa Repubblica che (tra l’altro) ha già fatto strame delle garanzie legislative poste a tutela delle lavoratrici e dei lavoratori (ti ricordi della Legge Fornero? E del Jobs Act?), vanificando ogni loro legittima pretesa di difesa (anche) in sede giurisdizionale, mentre i sindacati (ha ancora senso chiamarli così?) patteggiano sempre al ribasso per le miserrime briciole che Stato e Padronato ancora (e chissà per quanto..) elargiscono, sempre più sfastariat, insofferenti e arraggiat.
Dopotutto, che la prestazione lavorativa non debba più essere adeguatamente retribuita, né tantomeno svolta in sicurezza o garantita da forme contrattuali dignitose, non ce lo insegna più soltanto quel (lontano) Expo di Milano, ma la quotidianità dei ricatti (lavoro – permessi di soggiorno/ lavoro – rieducazione dei e delle detenute/ lavoro – ammissione all’esame di maturità) vissuti dalle e dai migranti, detenuti, studenti.
A quanto pare, non c’è fine a sto baratro. Soprattutto se continuiamo a farci pisciare in testa e a credergli quando ci dicono che è solo un po’ di pioggia, e che ce fa pure bene, così magari se lavamo pure, visto che semo povery.
Tocca che dal basso iniziamo a guardare verso l’alto, ma non per pretendere che qualcosa ci venga dato: tocca organizzarsi, insieme, ognuno secondo le proprie capacità e ad ognuno secondo i propri bisogni, perché c’amma ripija tutt chell che è o nuost!
da nu napulitan che s’aggirava per Ostia