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Appello di Legal Team Italia eAED (Avvocati Europei Democratici) contro la sorveglianza speciale ai cinque militanti italiani in Rojava.

Perché non accettiamo di controllare Ernest Hemingway e Carlo Rosselli.

Appello contro la sorveglianza speciale ai cinque militanti italiani in Rojava.

La Procura della Repubblica di Torino ha chiesto che a cinque torinesi, quattro uomini e una donna, sia applicata la misura della sorveglianza speciale; chiede che sia vietato loro di restare e di recarsi a Torino, nella città dove vivono, che siano sottoposti a continui controlli, che la loro vita sia stravolta e che la loro libertà di movimento sia gravemente limitata (revoca della patente di guida, sospensione del passaporto, obbligo di permanenza in casa in determinati orari).

La sorveglianza speciale è un vecchio strumento delle misure di prevenzione (che consentono di controllare e limitare i diritti delle persone anche in assenza di reati, sulla base di un semplice sospetto) da sempre, e sempre più, utilizzato per reprimere il conflitto sociale.

Ma questa volta è successo qualcosa di più, e di più grave, del semplice utilizzo di uno strumento di prevenzione per combattere e limitare il conflitto sociale e la libertà di manifestazione.

Perché questa volta la sorveglianza speciale è stata richiesta perché i cinque sono andati in Rojava a dare il loro sostegno alle Unità di Protezione del Popolo ed alle Unità di Protezione delle Donne, le YPG – YPJ, le forze armate kurde della Siria del Nord che hanno combattuto e combattono contro lo Stato Islamico, l’ISIS; le forze che hanno difeso Kobane, che hanno conquistato Raqqa sottraendola all’ISIS. L’ISIS, quello che oggi per molti – soprattutto qui in occidente – rappresenta il male assoluto, il regno delle tenebre.

Ebbene, questa loro attività invece di essere premiata, invece di giustificare un’accoglienza da eroi, viene utilizzata come scusa per punirli, per sorvegliarli, per limitarne la libertà. Perché, dice la Procura, in Siria hanno imparato ad usare le armi, e quindi tornati qui sono pericolosi; pericolosi perché hanno un passato di militanti in Italia, perché hanno delle condanne o contro di loro pendono dei processi per reati legati al conflitto sociale.

E, dice ancora la Procura, le YPG-YPJ sarebbero diretta emanazione del PKK, gruppo terrorista; non quindi resistenti contro l’ISIS, che in fondo forse poco importa, ma probabili terroristi. E si cita anche un precedente, il divieto di espatrio applicato dal GIP di Cagliari contro un uomo che aveva militato, sempre nel Rojava, nell’International Freedom Battalion, l’IFB, unità composta da volontari stranieri accorsi in solidarietà alla lotta del popolo kurdo e siriano contro l’ISIS. E quelle di chi dice che le YPG-YPJ non sono gruppi di terroristi ma gruppi di difesa del popolo e di resistenza contro l’ISIS sono ridotte dalla Procura a semplici “opinioni contrarie”.

Il capo della Procura di Torino ha precisato alla stampa che “la proposta prescinde dalla natura politica del gruppo che ha operato l’addestramento” (La Repubblica, Cronaca Torino, 6 gennaio 2019): crediamo che questa precisazione renda ancora più grave l’operazione repressiva, perché non tiene conto del tipo di conflitto che si sta combattendo in Rojava e di quali sono gli schieramenti. Come se tutti fossero uguali e non faccia alcuna differenza combattere per o contro l’ISIS, per o contro la libertà e la democrazia.

La richiesta della Procura di Torino desta in noi avvocati democratici una profonda preoccupazione, perché segna un inusitato innalzamento del grado di controllo e repressione, che arriva a colpire anche chi mette in gioco la sua vita per difendere la libertà e proprio per questa sua attività (che viene ritenuta un sintomo di pericolosità ed una premessa di commissione di reati in Italia).

Per questo chiediamo alle donne e agli uomini che hanno a cuore la democrazia, che pensano che abbandonare un popolo all’occupazione dell’ISIS sia un crimine, che ammirano quella esperienza di democrazia del Rojava, di fare quanto possibile per solidarizzare con i cinque e di non abbandonare l’intera esperienza del Rojava.

Non chiediamoci per chi abbia suonato, questa volta, la campana della repressione, perché ha suonato e sta suonando per la democrazia e la libertà in Italia e in Europa.

Legal Team Italia

AED (Avvocati Europei Democratici). 

Comments ( 1 )

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