Arabia Saudita: Loujain al Hathloul rischia venti anni di carcere
Il verdetto contro l’attivista dei diritti delle donne in carcere dal 2018 sarà pronunciato lunedì e il procuratore chiederà una pena molto severa. Al Hathloul è accusata di aver agito contro re Salman e la sicurezza del regno ma contro di lei ci sono solo dei tweet
L’allarme è scattato ieri quando il giudice della corte speciale antiterrorismo ha comunicato che il verdetto per Loujain al Hathloul, la più nota delle attiviste saudite dei diritti delle donne, potrebbe essere pronunciato lunedì prossimo. E per lei, ha avvertito la sorella Lina, il procuratore potrebbe chiedere una pena fino a 20 anni di carcere. Loujain è accusata di aver comunicato con persone «ostili» a re Salman, di aver collaborato con giornalisti schierati contro l’Arabia saudita e di aver diffuso informazioni dannose per la
sicurezza del regno. Accuse che nel regno dei Saud sono considerate veri e propri atti di terrorismo. «Mia sorella non è una terrorista, non ha commesso reati contro la sicurezza. Ha soltanto chiesto un paese più giusto dove le donne saudite siano trattate con dignità e possano godere di libertà», ripete sui social Lina al Hathloul.
A metà del 2018 Loujain Al Hathloul fu arrestata con una dozzina di altre attiviste, poche settimane prima che venisse revocato il divieto per le donne di guidare da parte del potente erede al trono saudita, Mohammed bin Salman, nel quadro del suo piano di «modernizzazione» del regno. Un diritto conquistato grazie a una lunga battaglia di cui Loujain era stata protagonista. L’ordine di arresto sarebbe giunto proprio dal principe ereditario che in questi anni si è rivelato non un rinnovatore ma un brutale repressore di oppositori politici e dei rivali all’interno della sua famiglia.
Perché il caso di Loujain al Hathloul da una corte ordinaria all’improvviso, qualche settimana fa, sia stato trasferito a quella
speciale per l’antiterrorismo resta un mistero. A nulla sono servite le proteste e appelli alla sua liberazione di personalità internazionali ed ong per la tutela dei diritti umani. Così come lo sciopero della fame avviato dall’attivista in prigione. La famiglia Al Hathloul convocata ieri mattina in tribunale ha denunciato gli abusi sessuali e le torture che Loujain ha riferito di aver subito dai suoi carcerieri. Il procuratore ha risposto di non essere in grado di verificarlo perché nella prigione i filmati delle telecamere di sorveglianza vengono eliminati dopo 40 giorni. Quindi ha descritto come prove di colpevolezza i tweet di Loujain durante le campagne per il diritto alla guida per le donne e per i diritti dei detenuti. «Hanno solo un mucchio di tweet che non gli piacciono, niente di più», ha commentato Walid al Hathloul, fratello dell’attivista, esortando la comunità internazionale ad intervenire prima del verdetto di lunedì.
Negli ultimi anni la strategia delle autorità saudite è stata quella di demolire la reputazione degli attivisti per i diritti umani e di puntare il dito contro l’Iran per distogliere l’attenzione dagli abusi che avvengono nel cuore di Riyadh. Ha destato sdegno internazionale l’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi, avvenuto il 2 ottobre 2018 nel consolato saudita a Istanbul. Un crimine di cui, sospettano molti, sarebbe stato il mandante proprio il principe Mohammed bin Salman.
Michele Giorgio
da il manifesto