«Se un cittadino forza un posto di blocco viene arrestato. Conto accada anche per chi ha disobbedito agli ordini «di non entrare nelle acque italiane». Nel giorno in cui il Senato decide sull’autorizzazione a procedere, Matteo Salvini non intende cambiare linea: le 49 persone a bordo della Mar Jonio, dice, non possono sbarcare e chiede l’arresto di chi li ha salvati.
In galera! A metà giornata il ministro degli Interni sbotta con un post su Fb da cui trapela tutta la sua furia: «Se un cittadino forza un posto di blocco stradale viene arrestato. Conto che questo accada». Non è più tempo di celie e «bacioni», di ostentata calma e spavalda sicurezza. Stavolta Salvini è fuori di sé, schiuma rabbia. Perché la vicenda della Mar Jonio, la nave della piattaforma Mediterranea, si intreccia con il voto su di lui per il sequestro della «Diciotti» e il ministro fiuta la trappola. Perché i 5 Stelle, già in sofferenza, rischiano di sbandare di fronte a un nuovo dramma, e prima che in serata la situazione si risolvesse con la decisione della procura di Agrigento di far entrare la nave con i migranti nel porto di Lampedusa, avevano chiesto senza mezzi termini, in pubblico e in privato, che la vicenda si risolvesse subito nell’unico modo possibile: facendo sbarcare i migranti. Perché la Mar Jonio ha sfidato l’autorità del ministro mettendo a nudo l’inconsistenza della tesi secondo cui i porti sarebbero stati «chiusi» per volere del ministro degli Interni.
COSÌ IL MINISTRO perde davvero la calma e mostra quel volto brutale che di solito cerca di nascondere dietro le battute e l’amabilità posticcia. E’ un tam tam che inizia nelle prime ore del giorno e prosegue senza soste, a colpi di dichiarazioni, di post e di interviste a getto continuo. Il catalogo è completo. C’è «la nave dei centri sociali». C’è Luca Casarini, descritto come una specie di malvivente: «Andatevi a vedere su Google chi è. Io non tratto con i pluripregiudicati». C’è la denuncia del complotto: «Una coincidenza che il caso della Mar Jonio arrivi quando c’è il voto sulla Diciotti. Io a babbo Natale ci credevo prima di avere 8 anni». C’è l’accusa infamante: «Questa imbarcazione non ha soccorso naufraghi che rischiavano di affogare ma è inserita in un traffico di esseri umani: organizzato, concordato e programmato».
COME D’ABITUDINE il ministro travalica di molto i limiti del suo mandato. Ordina arresti. Dispone il sequestro della nave prima che decida chi di dovere, cioè la procura di Agrigento. Ma stavolta lo fa senza autocontrollo, apparendo più volte vicino a perdere il controllo dei nervi. Forse per la prima volta Salvini si sente isolato e intravede la possibilità di uno smacco clamoroso anche sul piano che più gli sta a cuore, quello della propaganda. Perché il coro è unanime: da LeU che con Fratoianni e la capogruppo al Senato De Petris reclama l’immediato sbarco dei migranti ed elogia la missione, al Pd, che in privato non gradisce affatto l’irruzione dell’ex disobbediente proprio alla vigilia del voto sulla Diciotti ma fa di necessità virtù e insiste a sua volta per lo sbarco, sino a Fi che con la presidente dei senatori Bernini accusa Casarini di aver «cercato l’incidente» ma chiede anche, per bocca della vicepresidente della Camera Carfagna, di «decidere presto».
MA SOPRATTUTTO la stessa necessità esprimono sia Conte che Di Maio. Il vicepremier pentastellato si schiera sì con Salvini chiedendo il sequestro della nave, ma con decibel infinitamente più bassi e insistendo sia con i giornalisti che nei continui contatti con il premier e con lo stesso Salvini per chiudere la vicenda in giornata, «nelle prossime ore». La realtà è che un nuovo dramma prolungato, come quelli della «Diciotti» e della «Sea Watch», non lo reggerebbe nessuno e meno che mai in concomitanza con il voto sull’autorizzazione a procedere contro Salvini. Saviano apre il fuoco ad alzo zero: «Ennesimo atto da buffone sulla pelle dei migranti». Magistratura democratica ripete che impedire lo sbarco significa violare la legge. Il sindaco di Lampedusa garantisce che il paese è pronto all’accoglienza.
LA SOLA VIA d’uscita è affidarsi alla procura, che ordina lo sbarco, apre un fascicolo per favoreggiamento, ma senza nessun tintinnar di manette, e dispone il sequestro della nave, anche se l’armatore, Beppe Caccia, ex disobbediente come Casarini, smentisce che sia mai stata notificato alcuna disposizione di sequestro. Salvini si finge soddisfatto: «La nave è stata sequestrata. Il governo difende i confini e chi sbaglia paga». Ma la sfida non è finita come avrebbe voluto. Il segno che connota l’esito del braccio di ferro, stavolta, non sono i suoi strepiti ma il grido dei migranti sbarcati nonostante i divieti: «Liberté, Liberté».
Andrea Colombo
da il manifesto
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Casarini: «Non abbiamo violato la legge. I libici? Ci hanno offerto il loro aiuto»
Luca Casarini, capomissione Mare Jonio. «Quando la motovedetta libica si è avvicina a noi da bordo non ci hanno chiesto di consegnare i naufraghi. Con loro non c’è stata alcuna tensione»
Quando Luca Casarini risponde al telefono è ancora a bordo della Mare Jonio, la nave della piattaforma italiana Mediterranea saving humans, che lunedì ha salvato 49 migranti al largo della Libia.
Casarini, la Guardia di finanza vi ha sottoposto a ispezione, cosa hanno controllato?
Sono saliti intono alle 8 di mattina (ieri ndr), hanno verificato lo stato di salute dei naufraghi, un ragazzo è stato evacuato per sospetta polmonite, gli altri stanno meglio ma comunque sono in difficili condizioni psicofisiche. Poi hanno controllati i documenti dell’equipaggio e quelli della nave. Sono stati molto scrupolosi. Intorno alle 13 l’ispezione è terminata, hanno redatto un verbale in cui è scritto che «non c’è nulla da segnalare» se non che le persone a bordo sono «provate». Del resto per poter salpare da Palermo, sabato scorso, avevamo superato quattro ispezioni delle autorità italiane. Resta il fatto che anche adesso che stiamo parlando, ed è passata più di un’ora dalla firma sul verbale, la Guardia di finanza è ancora a bordo in attesa di disposizioni. Siamo circondati da tre navi della finanza e una della Capitaneria di porto, in isolamento.
Il Viminale dice che avete violato le norme sui salvataggi, come da circolare diramata lunedì sera, e per questo non potete approdare.
Il nostro legal team ha spiegato che le direttive sono subordinate a leggi e convenzioni internazionali. E noi non abbiamo violato alcuna legge.
Ma il governo afferma che il salvataggio era di competenza dei libici. La Guardia costiera di Tripoli dice che erano vicini al gommone e il vostro intervento non era necessario perché era solo un guasto al motore. Come sono andati i fatti?
Lunedì l’aereo Moonbird di Sea Watch ha avvisato i Centri di coordinamento dei soccorsi, e anche noi in copia, che c’era un natante in difficoltà. Abbiamo dato la disponibilità a intervenire ma da Roma ci hanno intimato di non farlo perché era di competenza dei libici, indicando le coordinate dell’evento Sar e imponendoci di stare a 8 miglia dal punto segnalato. Noi allora ci siamo allontanati di 20 miglia verso est riprendendo il pattugliamento. Ma da Moonbird è arrivata una seconda segnalazione su un gommone con una cinquantina di persone, proprio vicino a dove eravamo noi.
È allora che siete intervenuti?
Sì, era alla deriva, i tubolari erano mezzi sgonfi e imbarcava acqua, le persone a bordo erano in pericolo di vita. Abbiamo avvisato Tripoli spiegando che eravamo già sul posto e operativi. Quando i 49 avevano già avuto i giubbotti di salvataggio ed erano quasi tutti a bordo, è arrivata la motovedetta dei libici. Non c’è stata nessuna tensione, ci hanno chiesto se avevamo bisogno di aiuto e sono rimasti a controllare le operazioni. Prima di andare via li abbiamo contattati ancora per chiedere se dovevamo affondare noi il gommone, come vuole la legge, o l’avrebbero fatto loro. Si sono presi l’incarico così noi abbiamo fatto rotta verso nord mentre i libici bucavano i tubolari. Non ci hanno mai chiesto di consegnare i naufraghi ma solo se ci serviva aiuto.
Perché avete fatto rotta verso nord?
La Libia non è un porto sicuro, come ribadito anche dall’Onu, e stava arrivando una tempesta da sud-est, l’unica possibilità era andare verso la Sicilia. Durante la notte il mare è diventato forza sette con onde alte tre metri e raffiche di vento forte. Intorno alle 6 di mattina, arrivati a 13 miglia da Lampedusa, a un miglio quindi dalle acque territoriali italiane, il pattugliatore Paolini della Guardia di finanza ci ha intimato di fermarci e spegnere i motori perché non avevamo l’autorizzazione a entrare. Ma con i naufraghi a bordo e il mare grosso avremmo messo in pericolo tutti così siamo entrati e la Capitaneria di porto ci ha assegnato un posto alla fonda a ridosso della costa. Alle 8 è cominciata l’ispezione.
Adriana Pollice
da il manifesto