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Nuovo arresto per Salah Hamouri

Stavolta l’accanimento già mostrato dalle autorità israeliane ha dato i suoi frutti. Salah Hamouri è stato nuovamente imprigionato.

A trentacinque anni (di cui buona parte trascorsi in prigione) questo militante franco-palestinese (francese la madre, palestinese il padre) ha subito quello che appare come un ennesimo arbitrio da parte delle autorità israeliane.

Figura di riferimento per il movimento dei prigionieri palestinesi, il 30 giugno è stato catturato – letteralmente –  all’interno di un centro medico di Gerusalemme dove si era recato  per sottoporsi al test da coronavirus (obbligatoriamente, in quanto doveva prendere l’aereo per la Francia). Accusato genericamente di “appartenenza a una organizzazione illegale” (anche se il motivo preciso del suo arresto non gli è stato finora comunicato), è comparso davanti al giudice il 5 luglio e la sua permanenza in prigione (al momento si troverebbe nel centro per gli interrogatori di Moskobiyeh) è stata confermata fino al 7 luglio.

Già arrestato una infinità di volte, il 20 maggio subiva anche in vero e proprio tentativo di rapimento a Ramallah in Cisgiordania. In quel momento si trovava all’entrata della sede di Addameer, una Ong che tutela i diritti dei prigionieri palestinesi.

L’ultima liberazione di Salah Hamouri risaliva  al 30 settembre 2018. Dopo 400 giorni di “detenzione amministrativa” (ossia senza accuse né processo e senza conoscere l’eventuale data della sua scarcerazione) nel carcere Ktzi’ot (nel deserto del Negev). Questa particolare forma di detenzione implica la possibilità – per chiunque venga sospettato di “minacciare la sicurezza dello Stato” – di vedersi rinnovare ripetutamente il periodo di imprigionamento.

La decisione viene presa dal giudice, durante un processo a porte chiuse, in base alle informazioni del Shabak, i servizi interni israeliani. Informazioni che – sembra – l’accusato non avrebbe nemmeno il diritto di ascoltare e conoscere. In questo caso Hamouri era sospettato di aver avuto rapporti con il FPLP.

Nel corso dell’udienza il militante aveva manifestato il suo rifiuto della difesa, in sintonia con il boicottaggio esercitato nei confronti dei tribunali israeliani da parte dei prigionieri in detenzione amministrativa (circa 500, l’8% del totale dei prigionieri palestinesi).

Gianni Sartori