Ieri erano in tanti di fronte al Palazzo di Giustizia di Bruxelles con cartelli, abiti da bambino e peluche a ricordare Mawda, la piccola rifugiata curda di due anni uccisa dalla polizia belga una settimana fa. Colpita al volto da una pallottola sparata da una delle quattro pattuglie che inseguivano un furgone con trenta migranti.
«Quando abbiamo lasciato il Kurdistan ho portato i miei figli in Europa perché trovassero la felicità. Come potevo immaginare che il Belgio sarebbe stato il posto dove la mia piccola Mawda avrebbe chiuso per sempre gli occhi?», ha detto il padre Shamdeen Ali Ahm ad al Jazeera.
Intanto arriva l’ammissione della procura di Mons, dove è avvenuta la sparatoria: Mawda è stata uccisa dalla polizia, il responsabile è stato identificato. Nell’immediato la Procura aveva optato per un generico «non so».
Ora i genitori chiedono che si formi una commissione d’inchiesta parlamentare che chiarisca anche gli ordini dati dal ministero dell’Interno alla polizia. Perché sotto processo, spiega il legale Oliver Stein, dovrebbe andare l’intero sistema: «La polizia sapeva che c’era almeno un bambino nel furgone: per alcuni secondi è stata mostrata dal finestrino. Dietro c’è la pressione del governo sulla polizia per catturare, intercettare più migranti possibile».
Mawda era stata fatta vedere per evitare proprio gli spari. Come raccontato dai genitori, l’ambulanza è arrivata solo mezz’ora dopo e a loro non è stato permesso di seguirla. Hanno saputo della sua morte solo il giorno successivo.
da il manifesto