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Per una campagna contro il 2% delle spese militari

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Fra le molte laceranti discussioni all’interno della sinistra sulla guerra vale forse la pena concentrarsi sull’unico punto su cui è possibile e necessario incidere: Costruire una campagna di massa  contro l’aumento strutturale della spesa militare affinchè quei fondi vengano destinati per le spese sociali, l’istruzione e i sostegno al reddito

di Augusto Illuminati

Dove passa la linea di contatto fra la realtà e i dibattiti interni alla sinistra sulla guerra? Dove occorre – per restare al linguaggio militare – contrarre il perimetro del dibattito per evitare una disfatta ancor più grave?

Partiamo dall’assunto che l’imperialismo (cioè oggi in primo piano Biden e Putin, anche se non sono i soli) ha da sempre cercato di risolvere le proprie contraddizioni interne scatenando una guerra, che distrugge un bel po’ di capitale fisso e di popolazione eccedente, ridisegna i rapporti di forza fra gli attori, paralizza o sgomina l’opposizione di sinistra, meglio ancora ne incorpora aggratis una parte ai contendenti.

Il primo effetto di una guerra sulla sinistra è di gettarla in discussioni inconcludenti, senza rapporti con la realtà profonda e perfino con le evidenze superficiali del conflitto, il secondo è di reclutarla in appoggio all’uno o all’altro degli attori facendo leva su opzioni morali o interessi materiali. Il 1914 insegna e lo schema funziona tuttora. Gli imperialisti corrono allegramente verso la catastrofe e la sinistra non impara niente.

Ma veniamo alle nostre domande iniziali. Il piano di contatto fra una sinistra divisa, disorganizzata e dispersa per assi nazionali e la realtà è esiguo. Ultraminoritaria sul teatro di guerra, cioè fra russi e ucraini, e neppure particolarmente rilevante nei paesi confinanti e più direttamente coinvolti dell’est Europa, è del pari assente nel campo eterogeneo di chi gestisce le trattative di pace.

Per altro verso, la sua rissosa presenza in Italia si è manifestata sul punto degli aiuti militari all’Ucraina aggredita, ma in questo caso l’effetto divisivo è stato preponderante rispetto al peso oggettivo. L’Ucraina riceve da molti anni sostanziosi aiuti in armamenti difensivi e addestramento da parte della Nato, rispetto a cui le forniture recenti italiane sono meramente simboliche. E ancor più rispetto alla richiesta di armamenti offensivi, che l’Italia proprio non possiede. Quindi la divisione fra favorevoli e contrari all’invio di aiuti che non siano meramente umanitari è un bel problema etico, ma politicamente marginale.

In altre parole, io personalmente ero contrario, ma non mi scandalizzo se altri sono a favore, in termini di realtà non conta e oggi non abbiamo tempo per accapigliarci.

Altrettanto lunare mi è sembrato il dibattito sulla “resistenza” ucraina, sulle differenze con quella italiana con la R maiuscola, Bella ciao, lanci di armi ai partigiani ecc. Ma di che cazzo stiamo a parlare: certo che è “resistenza”, se uno viene a bombardarti a casa tua, tu resisti, quale che sia la catena di antecedenti, le responsabilità occulte pregresse, il battaglione Azov, ecc. È resistenza nazionale, senza guerra civile antifascista come in Francia e Italia, ma sempre di resistenza si tratta, l’aggressore è parimenti odioso e il pretesto della denazificazione, in bocca ai seguaci di Il’in e Dugin non lo definirei proprio convincente.

Che da una parte ci siano i nostalgici di Bandera, dall’altro gli eredi (dichiaratamente anti-leninisti) dello sciovinismo zarista grande-russo fa cadere le braccia, ma sempre resistenza è e persino efficace, tanto da svelare la stupidità e l’inefficienza anche militare della sciagurata “operazione” dell’avventurista Putin.

Non è proprio il caso di spiegare agli ucraini cosa debbono sentire e fare e a rispondere negativamente alle loro pretese demagogiche di alzare il livello fino a una terza guerra mondiale ci ha già pensato Biden, che sin dall’inizio è stato chiaro sull’uso della resistenza ucraina come carne da macello senza rischiare un macello in Usa (in Europa chissà, se la vedano loro).

L’unica soluzione realistica di questa guerra e anche l’unica che possiamo auspicare (senza possibilità di contribuirvi) è il raggiungimento, via de-escalation, di una tregua e di un accordo inevitabilmente provvisorio, che al momento non coincide con una resa ucraina, perché proprio la resistenza ha ridotto i danni dell’invasione e di eventuali annessioni parziali. Tregua osteggiata e sabotata dagli Usa perché a Biden conviene tenere alta la tensione per logorare la Russia (sulla pelle dei combattenti ucraini e dell’economia europea) e per accrescere i propri consensi elettorali, ancora in caduta libera, in vista delle elezioni di mid-term, tregua desiderata e temuta da Putin, che vuole riprendere fiato ma nel contempo non vuole ammettere la propria sconfitta tattica, tregua che divide gli stessi ucraini, massacrati dai bombardamenti ma esitanti davanti a concessioni territoriali inevitabili in un compromesso ma invise a un paese che, altrettanto inevitabilmente è stato radicalizzato a destra dai calcoli erronei dell’imperialista stupido, Putin. Tregua per cui però si battono tutti gli altri attori (che ti raccomando in termini di democrazia) di una scena internazionale multipolare, in primo luogo Turchia e Cina e (speriamo) UE. Tregua cui si perverrebbe fornendo garanzie internazionali a una neutralità ucraina nell’ambito della Ue e non della Nato.

Tutto questo, per la sinistra, è solo un auspicio, cui si può contribuire con iniziative umanitarie, valorizzazione delle dissidenze russe e ucraine e coordinamento in rete con esse, accoglienza (non discriminatoria per colore delle pelle) ai profughi, propaganda pacifista e poco altro. Le guerre Nato precedenti e la dissennatezza russa hanno da tempo distrutto la “seconda potenza mondiale” pacifista del 2003, ignorandone e reprimendone le manifestazioni. Il dentifricio non rientra nel tubetto spremuto.

Sull’adeguamento delle spese militari in ogni paese Nato (non Ue, specifichiamo) al 2% del bilancio, ho solo due cose da dire.

Che è l’unico settore in cui realisticamente una sinistra, esausta di litigare, potrebbe dire la sua e costruire opposizione sociale.

Che non ho argomenti aggiuntivi rispetto a quelle esposti da papa Francesco per “vergognarmi”.

Al massimo potrei formulare qualche corollario di politica pragmatica – che sarebbe però un inizio di “grande politica” e non una coda di dibattito geopolitico da bar o da talk show televisivo.

Dovremmo concentrare tutti i nostri sforzi – quale che sia l’evoluzione della guerra – contro la militarizzazione dell’Unione europea, trasformata in succursale della Nato e il conseguente aumento delle spese militari a scapito di altre urgenze acuite dalle sanzioni alla Russia e dai ricatti energetici e valutari di Putin, che configurano la più grande crisi economica dopo il 2008.

Questo è quanto intendo per riduzione del perimetro dello scontro con il nemico e all’interno della sinistra e guadagno, però, di un terreno reale su cui poggiare i piedi.

Capisco che tale operazione ha vantaggi e svantaggi.

Il vantaggio è di intervenire su un processo di media durata, che impegnerà la politica italiana per molti anni di crisi e inflazione, aprendo grandi spazi a battaglie sulla difesa del tenore di vita, dei consumi essenziali e dell’occupazione, convergendo con le tendenze maggioritarie dell’opinione pubblica (secondo i sondaggi Izi il 72,9% è contrario all’aumento delle spese militari, cifra che scene al 61,4% secondo Ghisleri per Euromedia – in entrambi i casi restando maggioranza assoluta in tutti i partiti, compresi i guerrafondai del Pd con la bava alla bocca). Una battaglia di lunga durata sulla spesa pubblica civile e marziale e contro il keynesismo militare consente la continuità con le rivendicazioni sulla sanità pubblica della fase Covid e con le battaglie dei sindacati confederali e di base su salari e occupazione, ivi comprese le vertenze sul un vero reddito di cittadinanza e sul salario minimo, con i contratti oggi travolti da un’inflazione tendenziale dell’8%.

Inoltre si è aperto su questo uno scontro politico-parlamentare, che ha visto in pratica sostituire la vecchia maggioranza istituzionale con una nuova combinazione trainata dal Pd, con destre riluttanti e ingresso sostitutivo dei FdI, mentre i 5 stelle spingono per uscire. Draghi ha rimediato in parte con una manovra parlamentare che ha spinto formalmente sotto il tappeto la mozione meloniana acquisendone i contenuti, poi ha placato il malumore pentastellato e i pruriti di Conte facendo slittare la data di raggiungimento pieno del 2% dal 2024 al 2028 (mediazione del Pd Guerini, il ministro renziano della Difesa), infine accennando vagamente al carattere “elastico” della stessa cifra del 2%.

In realtà sono tutti espedienti per dilazionare il problema, tanto più che nessuno sa quale maggioranza uscirà dalle urne nel 2023 e come evolverà il conflitto in Ucraina. Sembra improbabile che Conte voglia rinunciare a lucrare qualche chance per elezioni dissociandosi dalla maggioranza su un programma impopolare già ad autunno.

È evidente l’interesse dei movimenti a condurre una campagna sul 2% in questa situazione in cui sta diventando la linea di tenuta terminale del governo dei “migliori” e in cui le stesse destre sono pronte a cavalcare il disagio popolare criticando impegni militari e sanzioni (basta leggere la loro stampa, oscena come sempre ma sulla guerra meno di quella governativa mainstream).

L’opposizione alle spese militari, infine, è la condizione per condurre una lotta per una vera svolta ecologica ed evitare il collasso che si delinea con l’abbandono delle pur timide ed equivoche proposte europee su un cronoprogramma green. Se scamperemo alla strage nucleare, cadremmo in una più lenta agonia climatica.

Lo “svantaggio” (ma lo è?) starebbe nel rinunciare alle grandi, irresolubili e un sacco sexy antinomie etico-epocali e nel confrontarci con Tucidide e con Kant piuttosto che con le bollette dei consumi energetici e il prezzo di pane, insalata e carta igienica, il piegarsi a basse pratiche di caseggiato e mercato rionale, concentrandoci su scontate denunce della politica antipopolare di Draghi e Letta jr. invece che sulle molto più divertenti polemiche sui cripto-putiniani dell’uscio accanto, sul buonismo azoviano dell’altro centro sociale di quartiere, sulla conversione atlantica di un ex-terrorista, ecc.

Invecchiando mi sono convinto che prendercele sempre dal nemico principale e però dirgliene tante all’amico dissenziente non sia un grande affare.

da DINAMOpress