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Carcere: mistero sulla somala trovata impiccata in cella a Como

Si è impiccata martedì nella sua cella di isolamento. Inutili i tentativi di rianimazione: per lei non c’è stato nulla da fare. La suicida è una detenuta somala di 37 anni, detenuta a Bassone, a Como. Era in carcere da due anni, arrestata reati contro il patrimonio che le erano costati tre anni di condanna: a luglio sarebbe ritornata in libertà, anche se era rimasta senza casa né punti di riferimento. Una morte che rimane un mistero.

Secondo il personale penitenziario non era ritenuta una detenuta critica, non presentava nessun particolare disagio. Però risulta che era in isolamento. Perché? Il carcere di Como era già stato sotto i riflettori nel 2014 a causa di tre suicidi avvenuti nel giro di poco tempo.

I suicidi nelle carceri italiane sono un problema molto diffuso, causato dal degrado del sistema penitenziario: tre suicidi avvenuti nello stesso carcere in poco più di un mese sono però un evento molto raro, che portò a ben due interrogazioni parlamentari. Il primo suicidio era avvenuto domenica 12 ottobre 2014: il trentenne cileno Cuevas Galvez si era impiccato nella sua cella utilizzando un laccio legato al letto a castello, dopo aver assistito alla messa. Galvez si trovava in carcere per spaccio di sostanze stupefacenti e furto. Il terzo caso risale al 19 novembre dello stesso anno, quando Massimo Rosa – 63enne di Erba, in provincia di Como – era stato trovato impiccato nel bagno dell’infermeria del carcere, dov’era ricoverato per motivi di salute. Rosa aveva ucciso la madre malata, che aveva 83 anni: aveva sempre vissuto con lei e con il fratello e, come ha spiegato, progettava di uccidersi subito dopo il delitto ma aveva cambiato idea all’arrivo del fratello. Massimo Rosa era in attesa di giudizio e sarebbe stato giudicato con rito immediato.

Il secondo caso è quello che continua ancora oggi a far discutere di più. Il 31 ottobre del 2014, verso le 16 del pomeriggio, il 28enne Maurizio Riunno era staper to trovato impiccato con un lenzuolo alla finestra della sua cella. Riunno era stato arrestato dieci giorni prima per sequestro di persona e si trovava in carcere in custodia cautelare. Era già stato in carcere in passato ed era stato liberato poche settimane prima del nuovo arresto. Si trovava in una cella a parte, riservata ai detenuti che hanno problemi di convivenza con gli altri, una specie di isolamento: nel suo caso si trattava di esigenze giudiziarie legate alle indagini ancora in corso. La procura di Como aveva aperto un’inchiesta per istigazione al suicidio, una pratica necessaria per effettuare l’autopsia che ha confermato la morte per asfissia.

La famiglia però è rimasta convinta che Maurizio Riunno non si sia suicidato, soprattutto per via di alcune lettere che aveva scritto alla compagna in cui parlava del futuro, della voglia di ricominciare una vita con lei e i tre figli piccoli e con cui chiedeva francobolli per continuare a scriverle.

Tutti elementi che facevano intuire che, lui, alla vita ci teneva. La donna aveva anche raccontato di aver guardato il corpo di Riunno prima dell’autopsia e di aver fotografato «un occhio nero, una spalla violacea, graffi sulle mani, graffi sul collo». Ha anche scoperto che la procura aveva sequestrato quattro lettere che aveva inviato a Riunno e una scritta da lui. La famiglia aveva chiesto aiuto ai Radicali per fare chiarezza sull’accaduto, che era stato anche oggetto di un’interrogazione parlamentare rivolta al ministro della Giustizia Orlando dall’esponente del Pd Roberto Giachetti.

A marzo del 2015, il giudice delle indagini preliminari ha rigettato la richiesta di archiviazione, accogliendo anche il ricorso presentato dall’avvocato Massimo Guarisco, legale prima di Riunno e ora dei suoi familiari. «Istigazione al suicidio» è l’ipotesi di reato sulla quale il magistrato ha ordinato di investigare. Dopotutto la stessa Procura aveva ipotizzato che il suicidio di Riunno potesse essere stato provocato, salvo poi chiedere l’archiviazione del caso per mancanza di elementi a carico di possibili sospettati. Intanto il carcere continua a mietere vittime.

Nel solo 2016 sono morte 109 persone, delle quali 39 sono suicidi. Con l’impiccagione della donna somala, anche il nuovo anno comincia con la triste conta delle morti in carcere.

Damiano Aliprandi da il dubbio