Ormai da marzo dell’anno scorso, dopo lo scoppio della pandemia, un’ondata di proteste è esplosa nelle carceri di tutta Italia. Le condizioni assurde e disumane che si vivono al loro interno si sono palesate, anche a chi fa finta di non vedere, proprio con il diffondersi del covid. L’inizio della pandemia è coincisa, per le detenute e i detenuti, con un ulteriori violazioni dei propri diritti. In un attimo sono stati bloccati i colloqui con i parenti, sono stati sospesi i permessi premio e il regime di semilibertà. A tutto ciò si è unita la paura del contagio, in strutture sovraffollate in cui già di norma la salute non viene tutelata.
Così da venerdì 7 marzo 2020 in tutta Italia sono scoppiate decine e decine di rivolte che si sono susseguite per giorni in circa 100 carceri italiane su 189. In un solo weekend decine di istituti penitenziari subiscono incendi, ci sono stati scontri con la polizia e reparti distrutti, evasioni, battiture. In alcuni casi, come a Napoli e Bologna, i detenuti hanno preso possesso di alcuni reparti. Purtroppo come sappiamo ci sono stati anche dei morti tra la popolazione carceraria.
Nonostante la repressione che ne è conseguita ancora oggi le proteste non si sono fermate ed hanno portato a delle conquiste.
Proprio sabato scorso, a Torino, Roma, Vicenza, Pisa, Padova, Bologna, Treviso, Venezia, Pavia e Milano, sono stati organizzati presidi e manifestazioni in solidarietà a Dana, Fabiola, Stefania e Manuela che avevano interrotto da pochi giorni lo sciopero della fame.
Uno sciopero durato sei giornate, e interrotto quando l’amministrazione carceraria ha accolto importanti rivendicazioni delle detenute per quanto riguarda il diritto alla salute e quello all’affettività. Infatti sono state ripristinate le ore settimanali per le videochiamate coi parenti. Inoltre è stata garantita, entro l’inizio di marzo, l’attuazione delle misure di prevenzione del covid, compresa la possibilità di vaccinarsi, che non erano ancora state applicate. Questi infatti sono stati i motivi che hanno portato alla decisione dello sciopero della fame. Una lotta sostenuta anche dalle altre detenute, dal movimento notav e dai tantissimi e tantissime solidali dall’esterno. L’importanza di questa vittoria mette in evidenza che da un lato la lotta paga, e dall’altro quanto sia importante sostenerla e darle voce. Ovviamente questo non è un arrivo, bisogna continuare a rivendicare le istanze che in questo ultimo anno sono state portate avanti con forza e determinazione. Sostenerle e portarle al di fuori di quelle mura è una questione imprescindibile.
Bisogna continuare a lottare per spingere l’apparato repressivo a mollare la corda: non possono continuare a negare l’applicazione delle misure alternative al carcere. Ci sono ottomila persone con meno di un anno di residuo pena e altrettante devono scontare ancora da uno a due anni. Con le misure alternative si eviterebbe di intasare le carceri e di rendere ancora più difficile l’emergenza sanitaria. E’ disumano che i tribunali di sorveglianza neghino gli arresti domiciliari o altre misure, nonostante pandemia e sovraffollamento. Così come nel caso delle Notav Dana e Fabiola, punite perché da sempre lottano per un mondo giusto, dove il carcere non avrebbe motivo di esistere.
L’attualità impone un ripensamento radicale della società in cui viviamo e questo ripensamento non può che comprendere luoghi come il carcere, invisibili e nascosti all’opinione pubblica, dove si consuma continuamente la sopraffazione della dignità umana.
da InfoAut