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Carceri, rischio apocalisse

Drammatico appello al governo dai maggiori giuristi italiani: «Decongestionare subito gli istituti di pena. Incostituzionale vincolare i domiciliari ai braccialetti»

Sul rischio di un’apocalisse da Covid- 19 nelle carceri italiane si leva da giorni un grido d’allarme, in cui si uniscono più voci. A guidare la mobilitazione è l’avvocatura, e in particolare l’Unione Camere penali italiane, che quotidianamente rinnova al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede l’appello affinché sia scongiurata l’epidemia negli istituti. Due giorni fa è stato il Consiglio nazionale forense a formalizzare, d’intesa con i penalisti, proposte di emendamenti al decreto “Cura Italia” per ampliare le misure deflattive e ridurre il sovraffollamento nel sistema penitenziario.

Anche da Csm e Anm sono venute sollecitazioni per una politica dell’esecuzione penale adeguata alla possibile catastrofe. Va però segnalato come una del le voci più autorevoli tra quelle che si sono schierate ci sia l’Associazione italiana dei professori di diritto penale ( Aipdp), che nei giorni scorsi ha definito un dettagliato e rigoroso documento di “Osservazioni e proposte sull’emergenza carceraria da coronavirus”.

Eccone il testo integrale.

Le condizioni di detenzione nelle carceri italiane sono da tempo connotate, al di là di pur rilevanti differenze territoriali, da una situazione di grave sovraffollamento e da preoccupanti carenze igienicosanitarie.

Si tratta di una crisi strutturale che dipende da vari fattori; tra essi spicca una obsoleta ed insostenibile visione carcerocentrica, preclusiva della previsione di sanzioni principali diverse dalla pena detentiva, che esistono, invece, in molti Paesi europei e che il Cpt del Consiglio d’Europa raccomanda di introdurre.

Nonostante le condanne della Corte europea dei diritti dell’uomo ed i provvedimenti di deflazione carceraria fin qui adottati, il sovraffollamento permane. Secondo i dati del Ministero della giustizia, al 29 febbraio scorso i detenuti erano 61.230, e un comunicato del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute indica che al 20 marzo i detenuti sono scesi a 59.132, a fronte di una capienza regolamentare pari a 50.931 posti, con un’eccedenza, dunque, ancora prossima al 20%. Tuttavia, in alcuni istituti si arriva ad un’eccedenza vicina al 90%. Al sovraffollamento contribuisce la presenza di detenuti in custodia cautelare – misura che dovrebbe costituire l’extrema ratio, trattandosi di persone che, in base all’art. 27 co. 2 della nostra Costituzione, devono presumersi non colpevoli fino alla condanna definitiva -: essi, al 29 febbraio scorso, rappresentavano poco più del 30% della popolazione penitenziaria.

A ciò si aggiungono le carenze dei servizi igienico- sanitari, che fanno del carcere un ambiente patogeno. L’assistenza medica ed infermieristica all’interno delle prigioni è insufficiente ed è distribuita in modo disomogeneo sul territorio nazionale; naturalmente, mancano gli strumenti tipici della medicina d’urgenza, della cura di malattie infettive e della terapia intensiva ( ventilatori, ossigeno). Inoltre, all’incirca il 25% dei detenuti è costituito da tossicodipendenti che necessitano di cure ed un’ulteriore, elevata percentuale di detenuti presenta patologie pregresse anche gravi, ad esempio cardiache o respiratorie: queste persone molto malate, oltre a essere destinate, se contagiate, a sicuro decesso, proprio a causa della loro maggiore vulnerabilità al contagio rischiano di diventarne, in carcere, moltiplicatori di diffusione.

UNA “BOMBA EPIDEMIOLOGICA” DEVASTANTE ` PER TUTTI

A fronte di tale situazione, già incompatibile con i principi relativi alla pena – che, secondo l’art. 27 co. 3 della Costituzione non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e deve tendere alla rieducazione del condannato –, l’emergenza coronavirus rischia di innescare quella che il Ministro degli interni ha definito una “bomba epidemiologica”, come tale destinata a mettere gravemente a repentaglio la salute non solo dei detenuti, ma dello stesso personale penitenziario – già messo a dura prova anche a causa delle carenze di organico – e della collettività.

Nelle attuali condizioni delle carceri non è possibile assicurare adeguatamente l’adozione delle misure indispensabili per evitare contagi da coronavirus: distanza di sicurezza, igiene personale, sanificazione dell’ambiente. Sono tuttora carenti i dispositivi di protezione individuale. Si rendono pertanto necessarie misure volte ad affrontare questa situazione anche prescindere dal sovraffollamento, dato che anche in sua assenza il rischio di contagi rimarrebbe elevato: il che esige l’adozione di specifiche tutele, per i numerosi detenuti o condannati che presentino aspetti di accentuata vulnerabilità individuale al contagio.

IL CARCERE È STATO CHIUSO, MA NON ALL’INGRESSO DEL VIRUS

In tale contesto, i provvedimenti recentemente adottati dal Governo appaiono ancora insufficienti.

L’art. 2 co. 8 e co. 9 d. l. 8 marzo 2020, n. 11 dispone che i colloqui con i detenuti avvengano solo in via telefonica o ‘ da remoto’ e che la concessione dei permessi- premio e della semilibertà possa essere sospesa fino al 31 maggio 2020. Tale provvedimento si limita dunque a ‘ chiudere’ il carcere, senza poterlo tuttavia rendere ‘ impermeabile’, dal momento che ogni giorno vi transitano tantissime persone, dal personale civile alle forze dell’ordine.

Con il d. l. 17 marzo 2020, n. 18, invece, si dispo- ne, all’art. 123, che salvo eccezioni per alcune categorie di reati o di condannati, ai sensi della l. n. 199/ 2010 e fino al 30 giugno 2020 la pena detentiva non superiore a 18 mesi, anche se parte residua di maggior pena, sia eseguita, su istanza, presso il domicilio. L’art. 124 dello stesso d. l., “Licenze premio straordinarie per i detenuti in regime di semilibertà”, stabilisce inoltre che, in deroga all’art. 52 ord. penit., tali licenze possano durare fino al 30 giugno 2020.

Il citato art. 123 prevede disposizioni in deroga all’art. 1 l. n. 199/ 2010 – in tema di esecuzione della pena detentiva presso il domicilio – relativamente alle preclusioni, alla procedura per la concessione e agli strumenti di controllo. Tuttavia, attesa la situazione di assoluta emergenza e la connessa urgente necessità di contrastare il grave sovraffollamento carcerario, non appare condivisibile la scelta di limitare l’applicazione del d. l. alla pena detentiva non superiore a 18 mesi, anche se residua; tanto più che si tratta di una disciplina di carattere temporaneo.

Inoltre, secondo il co. 3 dello stesso art. 123, “salvo si tratti di condannati minorenni o di condannati la cui pena da eseguire non è superiore a sei mesi è applicata la procedura di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici resi disponibili per i singoli istituti penitenziari”. Ebbene, la previsione dell’obbligatorietà del controllo mediante strumenti tecnici rischia di limitare eccessivamente l’applicabilità della misura, data la ben nota scarsa disponibilità di braccialetti elettronici; e si espone a censure di illegittimità costituzionale per violazione del principio di eguaglianza- ragionevolezza ( art. 3 Cost.), considerato che il controllo meramente facoltativo, già previsto dall’art. 58 quinquies ord. penit., riguarda anche condannati a pene ben superiori a diciotto mesi.

L’ulteriore misura prevista dall’art. 124 d. l. n. 18/ 2020, seppur apprezzabile, non risulta idonea ad una significativa riduzione della popolazione carceraria, se si considera che al 15 febbraio 2020 le persone in semilibertà erano 1039.

LE PROPOSTE DELL’ASSOCIAZIONE PER MODIFICARE IL DL 18/ 2020

Ciò premesso, il Consiglio direttivo dell’Aipdp ritiene necessarie ulteriori iniziative legislative

volte sia a contrastare sul piano strutturale il sovraffollamento, sia a fronteggiare i gravissimi rischi legati al contagio da coronavirus nelle carceri. Pertanto, nell’intento di fornire un contributo costruttivo della comunità dei professori universitari di diritto penale, propone di prevedere urgentemente, al più tardi in sede di conversione del d. l. n. 18/ 2020, quanto segue: 1) il differimento ( fino al 30 giugno 2020) dell’emissione dell’ordine di esecuzione delle condanne fino a quattro anni, rispetto alle quali, di norma, già ora i condannati hanno diritto di attendere in libertà l’esito della richiesta di fruire di una misura alternativa alla pena detentiva. In tal modo si limiterebbero nell’attuale fase di emergenza i nuovi ingressi in carcere e si alleggerirebbe subito il carico di lavoro della magistratura di sorveglianza; 2) l’innalzamento a due anni del limite di pena detentiva, anche residua, eseguibile presso il domicilio, ampliando la portata dell’art. 123 d. l. n. 18/ 2020 e precisando che tale disciplina si applica “salvo quanto previsto” in via ordinaria dall’art. 1 l. n. 199/ 2010, ossia in aggiunta e non in sostituzione di quanto disposto da quest’ultimo; 3) la modifica dell’art. 123 d. l. n. 18/ 2020 nel senso di rendere facoltativo il controllo mediante dispositivi elettronici, come è già previsto per la detenzione domiciliare di cui all’art. 58- quinquies ord. penit. e dall’art. 275- bis c. p. p. per gli arresti domiciliari; 4) la reintroduzione di uno degli strumenti temporanei rivelatisi più efficaci tra quelli introdotti dalle leggi di deflazione carceraria: la liberazione anticipata speciale di cui all’art. 4 d. l. 23 dicembre 2013, n. 146, che aveva portato da 45 a 75 giorni a semestre la detrazione di pena ai fini dell’ammissione, tra l’altro, alla semilibertà. In particolare, andrebbe precisata l’applicabilità di tale detrazione anche ai fini della detenzione domiciliare; 5) la previsione fino al 30 giugno 2020 – ampliando l’ambito di applicazione dell’art. 124 d. l. n. 18/ 2020 – della possibilità per tutti i semiliberi e gli ammessi al lavoro all’esterno, che abbiano già dato prova di buona condotta, di permanere presso il proprio domicilio o altro luogo di assistenza; 6) l’introduzione di una disciplina temporanea che imponga al giudice di tener conto, al momento della scelta della misura cautelare, anche dell’attuale emergenza sanitaria legata al coronavirus: ciò consentirebbe di disporre più spesso gli arresti domiciliari in luogo della custodia in carcere, eventualmente con l’uso del braccialetto elettronico, come previsto dall’art. 275 bis c. p. p.; la legge di conversione dovrebbe, inoltre, espressamente stabilire che tale disciplina si applica anche a quanti si trovano già in stato di custodia cautelare in carcere all’entrata in vigore della legge; 7) ai fini della gestione dell’emergenza all’interno delle carceri, l’istituzione, presso ogni Istituto, di unità di crisi che coinvolgano rappresentanti di tutti gli operatori, compresi i volontari; l’adozione di misure straordinarie per l’adeguamento delle strutture sanitarie e l’assunzione urgente di personale medico, socio- sanitario e penitenziario, nonché per l’agevolazione della comunicazione a distanza tra detenuti e familiari; 8) l’individuazione di strumenti o di criteri applicativi di misure di tutela specifica, sino a prevedere provvedimenti mirati di detenzione domiciliare, per i detenuti o i condannati che presentino aspetti di accentuata vulnerabilità individuale al contagio.

Il Direttivo segnala, inoltre, la necessità di monitorare la situazione relativa agli internati nelle residenze per l’esecuzione di misure di sicurezza ( Rems) e nei centri di detenzione per il rimpatrio e di accoglienza per migranti e, ove necessario, di predisporre misure di contrasto del sovraffollamento e/ o di adeguamento delle condizioni igienico- sanitarie.

IL CONSIGLIO DIRETTIVO AIPDP ( S. SEMINARA, PRESIDENTE; M. DONINI, VICEPRESIDENTE; M. CATENACCI; A. CAVALIERE; A. ROSSI; A. VALLINI; C. VISCONTI)

da il dubbio