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Il caso Luigi Spera e il deficit della giustizia

Il carcere San Michele di Alessandria ha una sezione speciale definita Alta sicurezza 2, dove sono reclusi i detenuti condannati per delitti commessi con finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza. In questo reparto si trovano sette militanti delle Brigate Rosse e un anarchico; e da marzo scorso Luigi Spera, un vigile del fuoco siciliano di 43 anni accusato di aver partecipato a un’azione di sanzionamento alla sede di Leonardo Sp.A e classificato come azione di natura terroristica

di Luigi Manconi e Chiara Tamburello

Vediamo i fatti. La storia risale al novembre del 2022 e ha a che fare con l’offensiva dell’esercito turco nei confronti delle comunità curde presenti nel nord della Siria e nel Kurdistan iracheno. Un’operazione militare iniziata anni fa e che ancora oggi viene condotta attraverso attacchi frequenti nelle zone lungo il confine nordorientale tra Siria e Turchia e una occupazione parziale dei territori curdi.

In quegli stessi giorni del 2022, la redazione di Antudo, un sito di informazione indipendente siciliano, di ispirazione antimilitarista, riceve e pubblica un video che riprende un presidio di fronte alle porte dello stabilimento palermitano di Leonardo, tra le massime aziende militari europee, controllata per il 33 per cento dallo Stato italiano. L’obiettivo della manifestazione è sanzionare il principale fornitore di armamenti alla Turchia.

Nei giorni successivi alla pubblicazione del video, la redazione di Antudo viene perquisita e vengono sequestrati alcuni dispositivi informatici. E un anno dopo, a marzo del 2024, tre attivisti del gruppo vengono raggiunti da misure cautelari: due obblighi di firma e una custodia in carcere.

Quest’ultimo provvedimento è quello applicato a Luigi Spera, che dopo aver trascorso qualche tempo nel carcere Pagliarelli di Palermo si trova ora sottoposto al regime di Alta sicurezza nell’istituto di Alessandria. Le accuse sono assai pesanti: attentato per finalità terroristiche o di eversione; associazione con finalità di terrorismo; istigazione a delinquere.

Per comprendere meglio l’entità della vicenda è sufficiente recuperare il video dell’azione dimostrativa. Si tratta di immagini sfocate che durano meno di un minuto. Mostrano cinque, sei persone sventolare due bandiere e lanciare un paio di oggetti nello spazio che si trova oltre il cancello d’ingresso della Leonardo. È sera, dentro e fuori l’azienda non c’è nessuno e non vengono riscontrati danni materiali significativi. Gli oggetti che determinerebbero la pericolosità e la gravità dell’azione sono due bottiglie di vetro dotate di uno stoppino infiammabile. In altre parole due bottiglie molotov.

Nonostante il Gip abbia confermato l’imputabilità per i fatti contestati ha escluso l’aggravante della valenza terroristica, equiparando il reato a quello di incendio. Tuttavia, forse a causa di alcuni precedenti per reati minori, a Spera è stata comunque applicata la misura in carcere. Dopo il trasferimento del detenuto in Alta sicurezza, il tribunale di Palermo, nel corso dell’udienza del riesame, ha affermato nuovamente la natura terroristica dell’azione.

Il prossimo passo spetta alla Cassazione, che a settembre dovrà pronunciarsi a proposito del ricorso presentato dall’avvocato difensore Giorgio Bisagna. Il 4 luglio scorso Marco Grimaldi, deputato di Alleanza Verdi Sinistra, ha presentato un’interrogazione al ministro della Giustizia per verificare la congruità della detenzione di Spera in un territorio così lontano da quello di residenza; e per chiedere se si ritenga giustificata la reclusione in una sezione di Alta sicurezza tenuto conto della tipologia dei fatti attribuiti allo stesso Spera.

Alcuni elementi confermano lo squilibrio che questa vicenda manifesta. Prima di tutto, come già detto, l’accusa abnorme rispetto all’evento in questione. Le storture del sistema penale e dell’amministrazione della giustizia, ancora una volta, sembrano riflettere un grave deficit: l’incapacità di utilizzare i dispositivi penali e i regimi detentivi in maniera equa, misurata e proporzionata. C’è da augurarsi che questa volta non si debba arrivare a una drammatizzazione di un fatto tutto sommato minore e che non si perpetui una condizione detentiva tanto inumana e afflittiva (due reclusi in una cella di meno di tre metri quadrati).

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