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Caso Magherini: «Io parlavo ma il carabiniere non scriveva»

di Checchino Antonini

«Mente raccontavo dei calci che gli davano quando era a terra, il carabiniere che verbalizzava non scriveva: non sentivo il rumore dei tasti». A tre mesi dalla morte di Riccardo Magherini, durante il solito “fermo” da parte di una pattuglia di carabinieri, una testimone racconta ancora al legale della famiglia Magherini, l’avvocato Fabio Anselmo, ulteriori particolari su quella notte. La testimonianza è stata depositata in procura in una denuncia piuttosto articolata da parte della famiglia Magherini ed è stata letta durante una iniziativa in un teatro a Firenze. La testimone ha detto al carabiniere: «Non scrive?». E lui avrebbe risposto: «Devo farlo? Il verbale è suo». La testimone ha detto che era la mattina successiva all’arresto e che, non sapendo che Magherini fosse morto, dopo aver chiesto se gli avessero fatto un Tso, le fu risposto: «Mi sa che glielo hanno già fatto». Durante l’iniziativa è stata fatta ascoltare una telefonata fra sanitari del 118, che i Magherini avrebbero ottenuto dall’Asl ma non dalla procura, da cui, ha spiegato dal palco un legale, l’avvocato Francesca Casertano, «emerge che l’intervento del 118 è stato approssimativo e che si è cercato di far coincidere orari che non coincidono». Un copione, quello di testimoni intimiditi e di fascicoli pasticciati, già visto in casi che hanno inquietanti coincidenze con i fatti di Firenze. Indagini a caldo compiute dagli stessi carabinieri coinvolti nella vicenda in barba alle norme europee che chiedono l’indipendenza di chi indaga.

Un’altra delle testimonianze contenute nell’esposto è quella di una ragazza alla quale un carabiniere prima che iniziasse a rispondere alle domande rimproverò l’atteggiamento “immorale” «poichè non mi ero rivolta immediatamente di mia spontanea volontà nei loro uffici e che”avevo preferito lasciare interviste a sconosciuti”. A questo punto mi sono messa a piangere spiegando le mie ragioni e che avevo bisogno di tempo per poter rispondere alle loro domande. Ho ribattuto in lacrime e con uno sta to emotivo di forte agitazione che l’atteggiamento di quel carabiniere mi metteva in soggezione, facendo anche notare che ero stata avvisata della convocazione in tribunale in maniera frettolosa e con pochissimo preavviso, non al mio domicilio e che inoltre sarei dovuta partire per Roma il giorno stesso. A questo punto lo stesso carabiniere mi ha detto con un tono arrogante e minaccioso che ovunque mi fossi trovata sarebbe lui stesso venuto a cercarmi».

Ecco quello che racconta la prima testimone di questa storia: «La mattina del lunedì alle 05:15 sono stata svegliata da un Maresciallo dei carabinieri che mi chiedeva di andare a fare una deposizione al Comando di Borgo Ognissanti. Ero ovviamente assonnata, ho detto che se era per i danni alla macchina erano veramente di lieve entità e non mi importava sporgere denuncia. Il carabiniere mi ha risposto che era importante perchè c’erano delle vetrine infrante, un furto e c’era bisogno della mia testimonianza per il processo. Ho detto che avrei portato i figli a scuola e poi li avrei raggiunti al Comando verso le dieci di mattina, ma mi è stato risposto che il processo per direttissima era quella mattina stessa e il pm aveva bisogno di conoscere i fatti attraverso le testimonianze. Quindi sono andata, avevo dormito circa 2 ore, perchè una volta tornata a casa ero molto agitata e non riuscivo a prendere sonno.

Quando sono entrata nella stanza del Comando dei Carabinieri per rilasciare la mia dichiarazione ho chiesto subito: “Come sta questo ragazzo? É in ospedale?” “Eh sì”, risponde il Maresciallo. “Ma gli faranno un Tso?”, chiedo io, riferendomi ad un trattamento sanitario obbligatorio. “Mi sa che gli e lo hanno già fatto” è stata la risposta del Maresciallo. La mia attenzione durante la deposizione era quindi incentrata a ciò che poteva essere utile per un processo di quel genere. Il Carabiniere scriveva tutto quello che dicevo, sentivo il rumore dei tasti premuti sulla tastiera.

Poi mentre raccontavo dei calci dati quando ormai Riccardo era a terra, il Carabiniere non scriveva, l’ho capito perchè non sentivo più il rumore dei tasti, e sinceramente ho dovuto insistere. Gli ho detto incredula “Ma dei calci non lo scrive?” “Non so, la deposizione è la sua Signorina, lo vuoI scrivere?” mi ha risposto lui. “Certo che lo voglio scrivere, come ti ho detto che san stati bravi a fermarlo perchè l’operazione è stata difficile e non hanno usato violenza diretta ma l’hanno soltanto contenuto, ti dico che quando ormai era a terra gli hanno tirato dei calci, e va scritto” è stata la mia risposta. Da lì in poi non mi ha chiesto più niente, su cosa è successo quando era a terra, e io non ho raccontato, essendo la mia attenzione incentrata su altro, cioè sul processo per direttissima. Mi ha chiesto solo quante persone avevano assistito all’arresto ed io ho detto che le finestre di Borgo San Frediano erano piene di persone affacciate».

Nell’esposto si fa presente che, rispetto ai file appartenenti al fascicolo di indagine, fra quanto consegnato dall’Asl, vi è una conversazione in più, ed in particolare quella delle ore 2. 41 di 124 secondi. Nella chiamata, un’operatrice accorsa per prima sul posto ha affermato che, scesa dall’ ambulanza insieme ai colleghi, è stato loro rappresentato che loro volevano un medico, pertanto lei e i colleghi non hanno «né valutato … né nulla». E potrebbero mancare agli atti del fascicolo anche altre tre conversazioni di quella notte sulla linea 112. In due casi si ascolta la comunicazione di passaggio all’operatore 112 ma non è presente la successiva conversazione avvenuta. E non c’è la comunicazione radio con cui la prima auto dei carabinieri (equipaggio RM 180) è stata inviata sul posto a seguito delle segnalazioni dei residenti. Tutto è questo è documentato nell’esposto presentato dai Magherini in una fase delle indagini che si rivela piena di nodi da sciogliere. Risultano, ad esempio, essere state acquisite le conversazioni radio succcessive rispetto all’inizio dell’intervento, ma non quella iniziale, che dovrebbe collocarsi fra la prima richiesta di intervento individuata dal Maggiore Rosciano (ore 1.00) e la richiesta del secondo equipaggio (intervenuta alle ore 1.19). Eppure sono decisive poiché la comunicazione iniziale è quella da cui inizia la condotta dei due indagati del primo equipaggio e le altre, contenenti le comunicazioni al padre e all’ amico di Riccardo Magherini, perché significative dell’atteggiamento “postumo” all’intervento da parte dei carabinieri. Per tutto questo la famiglia del ragazzo morto chiede che il pm voglia verificare personalmente le indagini già svolte, condurre personalmente le indagini da svolgere, verificare e assicurare personalmente l’indipendenza e l’effettività delle indagini.

da popoff.globalist.it

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