Dopo il sequestro dell’archivio storico di Paolo Persichetti dove tra l’altro ci sono le carte per un nuovo libro sul caso Moro sembra esserci un gioco delle parti tra il Tribunale del Riesame e la procura.
A fronte dell’istanza di dissequestro presentata dall’avvocato Francesco Romeo i giudici non hanno fissato la data dell’udienza perché la procura di Roma non ha depositato atti a supporto del sequestro e delle accuse di associazione sovversiva finalizzata al terrorismo e favoreggiamento di latitanti, reati per i quali Persichetti appare come l’unico indagato.
Insomma chi indaga e chi dovrebbe controllare il lavoro degli inquirenti prendono tempo senza che Persichetti possa avere la possibilità non solo di ribattere alle accuse ma di cercare di riavere a disposizione il principale strumento del suo lavoro di storico. Il procuratore Michele Prestipino, la cui nomina è stata considerata irregolare dal Tribunale amministrativo regionale e dal Consiglio di Stato, e il sostituto Eugenio Albamonte ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati hanno scelto la linea del silenzio, di mantenere le carte coperte puntando sul disinteresse quasi generale per la vicenda appena scalfito a quanto pare dall’appello con 500 firme a tutela della ricerca storica indipendente.
Insomma nulla è possibile sapere di questa fantomatica associazione sovversiva che opererebbe secondo le motivazioni scritte nel decreto di perquisizione da almeno sei anni, divulgando molto presunti atti segreti prodotti e/o elaborati dalla commissione parlamentare di inchiesta sul caso Moro. Una commissione che non è stata ricostituita in questa legislatura ma che continua a pendere con una spada di Damocle sulla vita politica e giudiziaria del paese, nonostante le sue teorie dietrologiche e complottarde non abbiano trovato alcun riscontro, a cominciare dalle tonnellate di atti processuali dove persino “pentiti” e “dissociati” affermino che dietro le Brigate Rosse c’erano solo le Brigate Rosse e non pezzi di servizi segreti di mezzo mondo.
Persichetti con la sua attività e i suoi libri ha contribuito enormemente a confutare i dietrologi che però continuano a riscuotere le simpatie delle alte cariche dello Stato perché il più attivo a dire che bisogna ancora cercare “la verità” è il presidente della Repubblica il quale come capo supremo del Csm avrebbe ben diverse e altre trame di cui occuparsi.
A iniziare dalla famosa loggia Ungheria di cui i giornali hanno smesso praticamente di scrivere. La sensazione è che la magistratura e la politica in questo unite nella lotta abbiano un interesse spasmodico a convincere della caratteristica ancora “calda” dell’argomento anni ’70, con l’attenzione rivolta soprattutto a Parigi chiamata a decidere sull’estradizione di nove rifugiati, “la banda dei nonni” per fatti di 40 anni fa. Anzi 50 considerando che ieri nella capitale francese c’è stata l’udienza per Giorgio Pietrostefani, condannato per il delitto Calabresi, 17 maggio 1972.
Frank Cimini
da Il Riformista