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Caso Regeni, “i soliti sospetti”, la stampa e il mondo dei vinti

Ci sono morti che nessuno vuole avere sulla coscienza, ma il cui cadavere deve essere rapidamente sepolto per passare ad altro. Giulio Regeni è uno di questi, ma dopo oltre un anno non hanno ancora trovato una lapide convincente.

E forse mai ci riusciranno perché nessuna versione dei fatti sarà abbastanza plausibile: dal complotto contro il generale Abdel Fattah al-Sisi di spezzoni di servizi segreti a una trama internazionale che potrebbe coinvolgere più potenze straniere per danneggiare l’autocrate del Cairo e allo stesso tempo gli interessi italiani in Egitto, da quelli energetici alla Libia, dove il Cairo sostiene, insieme a Parigi, Mosca ed Emirati, il generale Khalifa Haftar. I soliti sospetti sono la Francia e la Gran Bretagna, gli stati promotori insieme agli Usa dei bombardamenti sulla Libia di Muammar Gheddafi nel 2011. Ma potrebbero essercene anche altri perché con il mega-giacimento di gas di Zhor l’Eni ha assunto un ruolo importante per la diplomazia non solo energetica della regione orientale.

Quell’evento, l’attacco al raìs libico, dovrebbe essere segnato a caratteri cubitali sull’agenda italiana perché si è trattato della maggiore sconfitta del Paese dalla fine della seconda guerra mondiale: incapace e impossibilitata a difendere il suo maggiore alleato nel Mediterraneo, che soltanto sei mesi prima aveva ricevuto a Roma in pompa magna, l’Italia non solo ha perso la partita, ma ha dovuto persino unirsi ai raid aerei quando la Nato ha inserito i terminali dell’Eni tra gli obiettivi da colpire.

La nostra credibilità nei confronti dei partner della Sponda Sud è scesa a un livello molto basso e tutti ne hanno approfittato, dai governi alleati a quelli della regione, alle mafie dei migranti che hanno destabilizzato i nostri stessi confini. Ma in questi anni per i nostri concorrenti e presunti alleati, europei o arabi, è stato ancora più irritante constatare che nonostante la fine di Gheddafi l’Eni rimane in Libia la compagnia più importante che estrae due terzi del gas e del petrolio fornendo la corrente elettrica a tutto il Paese. Se l’idea era espellere gli italiani l’operazione non è riuscita. Non solo. Pur essendo in grave ritardo nei negoziati con Haftar, l’Italia ha sostenuto il governo di Fayez al-Sarraj riconosciuto dall’Onu e mandando una modesta flottiglia di navi sta faticosamente rimettendo in rotta di navigazione la guardia costiera libica, un labile simulacro di Stato. Più o meno lo stesso discorso vale per l’Egitto, un Paese dove i britannici ci avrebbero volentieri cacciato a pedate 70 anni fa ai tempi di re Farouk che, dopo il colpo di stato di Gamal Abdel Nasser, venne in esilio proprio a Roma mentre a Londra e al Cairo decidevano i destini della Libia mettendo in sella il senusso Re Idris.

Il caso Regeni, tra attualità e storia, si inserisce in questo contesto. Al di là delle polemiche sul ritorno dell’ambasciatore italiano in Egitto, che forse avrebbe potuto essere rimandato anche prima o in un altro momento, appare sconcertante quanto scritto, con straordinario e quasi sospetto tempismo, dal New York Times Magazine, ovvero che gli Stati Uniti avevano passato al governo informazioni sul coinvolgimento degli apparati di sicurezza egiziani, ma senza fornire prove e riferimenti.

Il governo italiano smentisce. Ora è difficile capire chi dice più bugie, ma forse è più facile comprendere perché escono queste notizie. Anche gli Usa devono giustificare la loro posizione: sono i protettori dell’Italia, ma anche i maggiori fornitori di aiuti militari all’Egitto e Al Sisi che garantisce la lotta al terrorismo islamico e buoni rapporti con Israele. Il caso Regeni disturba anche loro perché nonostante le pressioni di Roma non sono riusciti a ottenere nulla di concreto dal Cairo e la stampa – maledetta stampa – continua a scrivere di questo orrore. A britannici e francesi il caso Regeni torna oggettivamente comodo: ha congelato i rapporti diplomatici dell’Italia con il Cairo e minato – ma forse non abbastanza – la storica partnership tra i due Paesi.

L’Italia da 70 anni appartiene al mondo dei vinti e Giulio Regeni, nonostante lavorasse per istituzioni britanniche, è stato ricacciato, da morto assassinato, in quel mondo. Per i vinti, soprattutto quando sono rimasti vulnerabili e divisi, ottenere giustizia è più difficile: possono chiedere soltanto clemenza. Ma se continueranno a domandare verità e giustizia saranno un po’ meno vinti.

Alberto Negri

da ilsole24ore