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Ciao Alessandro!

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Alessandro Bernardi, compagno bolognese, sostenitore dell’Osservatorio Repressione ci ha lasciato.

A 68 anni si è addormentato per un riposo pomeridiano e non si è più svegliato. Dicono che sia la morte dei giusti, ma a noi pare la più ingiusta. La morte improvvisa ed inaspettata di una persona cara cade come un colpo feroce e paralizzante su chi gli vuole bene.

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Solo ieri (5 gennaio) Alessandro era davanti al carcere di Parma per manifestare in solidarietà con Alfredo Cospito e contro la tortura del 41 bis

Che la terra ti sia lieve

Le compagne e i compagni dell’Osservatorio Repressione

 

 

il ricordo di Valerio Monteventi su zic.it

Compagne/i e complici sulla tua “cattiva strada”

Questo 2023 sembra essere veramente maledetto e sono passati solo pochi giorni. Appena il 3 gennaio un vecchio compagno mi aveva avvisato che Caviaz, un mio amico di infanzia e adolescenza, con il quale ero stato a scuola alle elementari, con cui avevo messo in piedi un collettivo di paese e con cui, nei primi anni Settanta, “non ci eravamo fatti mancare nulla a livello di cortei, occupazioni di scuole, scontri coi fascisti, scaramucce con le divise”, aveva deciso di dargliela su con la vita, perché da un po’ di tempo soffriva di un male (molto) difficile da curare: la solitudine. Erano anni che se n’era andato via dall’Italia e, dal giorno del suo esodo, ci si era visti molto raramente. Ma la notizia della sua morte mi aveva lasciato impietrito, mi era uscito solo un “cazzo… no!!!”.

E’ la stessa frase che mi è sfuggita quando, a notte inoltrata, ho acceso il telefono che avevo spento da diverse ore e l’ho visto inondato di messaggi che annunciavano la morte improvvisa di Alessandro Bernardi, quello che ho sempre sentito come un mio “compagno di viaggi”, alcuni fatti insieme, altri effettuati con modalità diverse, ma sempre convergenti su un tratto di strada comune, secondo un principio molto semplice che qualcuno piuttosto accorto aveva enunciato un po’ di tempo fa: “Non abbiamo nulla da perdere se non le nostre catene…”.

Alessandro ha sicuramente chiesto molto alla sua vita, l’ha riempita in continuazione di esperienze diverse, ha incontrato tante persone con cui ha fatto molte cose insieme, con altre ci si è scazzato, ma i suoi comportamenti e le sue scelte hanno sempre avuto rispetto e considerazione… Una stima che, potremmo dire, si è guadagnato sul campo.

Con Alessandro ci eravamo conosciuti poco più che quattordicenni, avendo frequentato la stessa scuola, l’istituto per geometri Pacinotti. Pochi mesi dopo l’iscrizione al primo anno ci rendemmo conto, insieme ai pochi compagni che avevamo trovato, che si era finiti in una fortezza dell’estrema destra: la Giovane Italia, l’organizzazione giovanile del Msi, aveva più iscritti lì che in qualsiasi altra scuola del nord Italia. La battaglia per affermare una solida presenza antifascista non fu delle più semplici. Gli scontri non furono solo dialettici, ma, dopo circa due anni, il Pacinotti fu trasformato in una “roccaforte dei comunisti” (sempre con la “c” minuscola però), dove si praticava la lotta per la gratuità dello studio (dai libri ai trasporti alle mense), ci si batteva contro la meritocrazia (compiti in classe e interrogazioni collettive, voto politico) e si ricercava quotidianamente l’unità d’azione con le lotte per l’egualitarismo degli operai delle fabbriche.

Per farvi capire un po’ il clima che si respirava vi racconto quello che avvenne il 4 febbraio 1971.

Erano settimane che, per sfondare i picchetti durante gli scioperi, squadre di fascisti della Giovane Italia si scontravano davanti agli istituti superiori con i militanti della sinistra rivoluzionaria. Soprattutto il Pacinotti era il luogo dove i combattimenti a mazzate erano più frequenti. Per la mattina del 4 febbraio il collettivo della scuola aveva organizzato l’occupazione della succursale “per protestare contro le aggressioni fasciste”. Il preside chiamò subito la Questura per ottenere immediatamente lo sgombero. Poco dopo le otto gli agenti entrarono nella scuola compiendo numerosi fermi e non lesinando manganellate sulle schiene e sulle teste degli occupanti. In quattro e quattro otto, con un collaudato tam tam, venne proclamato uno sciopero in tutte le scuole di Bologna contro lo squadrismo fascista e la repressione della polizia. Poche ore dopo un grande corteo, partito da piazza Maggiore, si diresse verso il Pacinotti per liberarlo dagli uomini in divisa che lo stavano presidiando militarmente. Ci furono scontri durissimi, un camion carico di legna che passava da quelle parti venne “requisito” dai manifestanti e molti ciocchi furono “presi in prestito” e scagliati contro gli agenti che risposero con cariche e lanci di candelotti lacrimogeni. Ci furono nove arresti e 30 fermi.

Naturalmente in quella calda giornata Alessandro non poteva non esserci. Così come lo si poté immancabilmente trovare in tante altre occasioni di lotta organizzate dai collettivi studenteschi o nelle manifestazioni promosse dai gruppi della sinistra rivoluzionaria.

Per molti di noi l’attività fatta a scuola si riversò poi nella militanza in Potere Operaio, nel lavoro politico davanti alle fabbriche e nei quartieri di periferia. Scioltosi nel ’73 il gruppo, Ale fece la scelta dell’autonomia operaia, in un contesto, quello bolognese, in cui le “autonomie” furono diverse, da quella “organizzata” a quella “creativa”, passando per altre sfumature “politico/cromatiche”.

In quegli anni Alessandro, come tanti altri militanti si fece un ragguardevole periodo dietro le sbarre, ma per quei tempi era quasi una normalità.

Poi arrivò il ’77, l’assassinio di Francesco Lorusso, la rivolta del marzo, gli M113 in via Zamboni, la chiusura di Radio Alice: l’orizzontalità del movimento costrinse tutti al rimescolo delle carte… fino al convegno europeo contro la repressione… le tre giornate di settembre furono intensissime per tutte le compagne e per tutti i compagni di Bologna, si raggiunse il punto più alto di richiamo del movimento del ’77 a livello nazionale, ma dopo interminabili assemblee e incontri dove gli scazzi ebbero la meglio sui consensi, nemmeno un enorme corteo, con decine di migliaia di ragazze e ragazzi che sfilarono per le vie di una città blindata, riuscì ad impedire che ognuno tornasse a casa propria prendendo strade completamente diverse. Il movimento si ramificò in tanti rivoli, la repressione ebbe buon gioco a colpire con la sua mannaia: le inchieste con i mandati di cattura ciclostilati, le migliaia di detenuti politici che fecero dell’Italia il paese all’avanguardia della legislazione d’emergenza.

A metà degli anni ’80, e per un bel po’ di tempo, Alessandro riuscì a trasformare la sua passione per la musica in un lavoro, diventando un valente organizzatore di concerti. Tutti i maggiori cantautori italiani furono portati da lui in giro per palasport e arene del nostro paese.

Che Ale fosse uno sportivo praticante è difficile sostenerlo, ma come tifoso sfegatato della Fortitudo basket sprizzava passione da tutti i pori, con una fotta ineguagliabile. Chi in quegli anni frequentò il palazzo di piazza Azzarita non poté sottrarsi dall’assistere alle sue sclerate contro gli arbitri e agli improperi contro i “nemici della F”.

Ma la sua “pausa” dalla politica non poteva durare a lungo. Come nella canzone di De André “forse è meglio e come prima… forse è ora che io vada”, con le prime avvisaglie del movimento no global, ritornò alla “sua cattiva strada”. Nei primi anni del nuovo secolo attraversò, con altre migliaia di giovani e meno giovani, le strade delle capitali d’Europa, percorrendole con interminabili cortei per opporsi al neo-liberismo e alla globalizzazione capitalistica. Memorabile fu l’episodio di cui fu protagonista al Forum sociale europeo di Parigi: voleva partecipare a un incontro dove tra i relatori era previsto Toni Negri; in sala c’erano ancora diversi posti disponibili, ma il servizio d’ordine, gestito da militanti della Cgt, vietava l’ingresso sostenendo che la capienza dello spazio era al limite. Diciamo che la discussione che si accese fu piuttosto animata, Alessandro si dotò di una transenna e si fece largo come un ariete conquistandosi il diritto all’ascolto e alla parola, permettendo a chi voleva assistere all’incontro di potere partecipare.

In quegli anni le sue giornate erano piuttosto “affollate”, ma trovò la voglia di fare una capatina anche dentro Rifondazione (che in quei tempi era piuttosto movimentista). Del resto lui è sempre stato poco spontaneista e l’esigenza dell’organizzazione l’ha sempre ritenuta una priorità, anche se non si è mai abituato alle lunghe permanenze nelle forme e nelle strutture dell’agire organizzato.

Quelli che seguirono furono settimane, mesi, anni, di presenza e di partecipazione, spazi temporali riempiti da un impegno instancabile. E così ci fu l’occupazione di Vag61 in via Azzo Gardino, ci furono le prime MayDay e i blocchi davanti ai McDonald’s, e arrivò da parte dei più giovani il soprannome di “zio”. Uno zio un po’ brontolone, ma che superava per energia tante ragazze e tanti ragazzi, in quel tourbillon giornaliero fatto di riunioni, di assemblee, di presidi, di picchetti, di cortei…

Certo, di casacche Ale ne ha indossate parecchie, ma sempre al “servizio della causa collettiva”, mai per soddisfare una smania individuale di protagonismo. Il suo passaggio per i Cobas lo portò ad essere attivo prima nel Comitato Articolo 33, in occasione del referendum comunale contro i finanziamenti alle scuole private, poi nel Comitato per la difesa dell’acqua pubblica e nella campagna No Expo, con la partecipazione alla manifestazione di Milano. Da quel momento iniziò ad accompagnare il suo coinvolgimento nella difesa dei più deboli e dei lavoratori precari alle battaglie per la tutela dell’ambiente: partecipò al Comitato contro il People Mover, alle assemblee contro il Passante, alla mobilitazione contro gli ecomostri delle Due Madonne.

Sono consapevole che parlare di Alessandro è prima di tutto un esercizio per coniugare il suo impegno sociale costante a parole come dedizione, ardore, passione, assiduità, ma lui aveva bisogno anche di altro: dell’organizzazione politica. Per questo e per altre ragioni ha deciso di partecipare attivamente, fin dall’inizio, all’esperienza di Potere al Popolo. E, come continuazione di questo percorso, più recentemente a Unione Popolare.

Con Ale ci siamo rivisti con una certa assiduità nelle settimane di preparazione della manifestazione “Convergere per insorgere”, proposta dal collettivo degli operai della Gkn e che in città ha visto l’adesione e la partecipazione di collettivi, centri sociali, comitati territoriali, sindacati di base, associazioni e movimenti ambientalisti. Prima le riunioni, poi le assemblee, gli interventi, poi le trentamila persone, in massima parte giovani, che il giorno del corteo hanno invaso le strade di Bologna fino alla Tangenziale. Quel sabato pomeriggio ci siamo dati un “cinque” soddisfatti, era tanto tempo che non si scendeva in strada con questi numeri e ci siamo fatti una promessa: “ll bello arriverà domani”.

Quel “bello”, purtroppo, Alessandro non lo potrà vedere. Lui l’ha ricercato fino all’ultimo, mettendoci dentro anche il sostegno allo sciopero della fame ad oltranza di Alfredo Cospito, contro l’ergastolo ostativo e il 41 bis. Sono le ultime parole di lotta che Ale ha detto. L’ha fatto il giorno prima di andarsene per sempre, in una manifestazione di Potere al Popolo davanti al carcere di Parma contro le condizioni del sistema carcerario italiano.

Alessandro Bernardi non c’è più, gli anni della sua vita li ha vissuti con passione e intensità, per lui, per la sua compagna Daniela, per tutti e tutte noi, se n’è andato troppo presto, aveva ancora tante cose da dire e tante battaglie da fare.

L’ultimo saluto gli verrà dato giovedì 12 gennaio dalle 14 alle 15,10 alla Camera ardente del cimitero della Certosa, in via della Certosa 16. Credo che saremo in tante/i a dirgli “ciao Ale… sarà impossibile dimenticarti”. Così come sono stati tanti quelli che lo hanno conosciuto, che lo hanno frequentato e gli hanno voluto bene.

 

 

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