Ennesima manifestazione dei Mapuche repressa duramente. mentre trovano conferma le denunce di violazioni dei diritti umani mosse da Amnesty International
di Gianni Sartori
Domenica 13 ottobre (curiosamente alcune agenzie davano il 14, lunedì, forse perché data “canonica”) centinaia e centinaia di indigeni mapuche e solidali (molti studenti) hanno percorso la strade di Santiago. In ogni caso, la data non era scelta a caso. Giorno più, giorno meno rimane quella nefasta della “scoperta” delle Americhe (nel 1492). Tragica e fondamentale per la memoria della Resistenza indigena.
I Mapuche erano scesi in strada sia per la liberazione dei prigionieri politici, sia perché si ponga fine alla rapina e alla militarizzazione delle loro terre ancestrali (Wallmapu).
Altre richieste, al solito non accolte dal governo, l’aumento dei fondi destinati all’educazione e il riconoscimento del diritto all’autonomia e all’autodeterminazione.
Nella speranza (nonostante la scarsa determinazione mostrata dal presidente Boric) di una nuova Costituzione, in alternativa a quella attuale (un residuo tossico, una scoria dei tempi bui di Pinochet). Oltre a quella dei mapuche, molti manifestanti sventolavano anche la bandiera palestinese e – qualcuno – quella curda.
Il percorso prevedeva un circuito con partenza dal Cerro Huelen e ritorno.
Ma l’intervento delle forze dell’ordine, definito “sproporzionato” da molti osservatori (nonostante in un primo momento la manifestazione fosse stata autorizzata) lo ha reso impraticabile..
Per disperdere i manifestanti i Carabineros de Chile (la principale forza di polizia, di fatto una sorta di gendarmeria nazionale) hanno utilizzato gas lacrimogeni e cannoni ad acqua. In risposta, lanci di pietre e utilizzo dei bastoni tradizionali per colpire le auto della polizia. Alla fine (come del resto era previsto visto il clima attuale) si sono contati numerosi arresti.
Ancora in gennaio Amnesty International valutava positivamente l’incriminazione, da parte del tribunale della regione Centro-Nord, di tre alti responsabili dei Carabineros per il loro presunto ruolo nelle operazioni “sproporzionate e contrarie al diritto internazionale nelle manifestazioni di massa in Cile alla fine del 2019”.
Procedimenti giudiziari erano stati avviati “contro il direttore generale dei carabineros, Ricardo Yáñez (all’epoca responsabile dell’Ordine e della sicurezza nda), contro Mario Rozas, ex direttore generale dei carabineros e contro Diego Olate, generale a riposo ed ex vice-direttore, per le loro presunte responsabilità in quanto comandanti dei carabineros”.
A.I. era tornata sulla questione ai primi di ottobre, quando si era aperta ufficialmente l’istruttoria nei confronti dei tre alti ufficiali sospettati del reato di “coercizione illegittima”.
Ricordando come nelle circostanze considerate fossero “morte due persone nella mani della polizia e altre migliaia sono rimaste gravemente ferite”. In particolare per “traumi oculari irreversibili”.
Sottolineava A.I. che ”in base al diritto internazionale e al diritto cileno, i comandanti delle forze di polizia sono, in determinate circostanze, responsabili degli atti dei loro subordinati”.
Come aveva già ribadito nel rapporto del 2020 (“Ojos sobre Chile”), in quello del 2021 (“Responsabilidad penal por omisión de los mandos”) e in un altro rapporto reso pubblico il 1 ottobre (“Obligaciones de derecho internacional de investigar y sancionar a los responsables jerárquicos de violaciones de derechos humanos”).
Tornando al 14 ottobre 2024, si presume non fosse una coincidenza neppure la riunione in tal giorno del “Comitato per l’eliminazione della discriminazione nei confronti delle donne”. Un’occasione per ascoltare i portavoce delle organizzazioni della società civile cilena.
Oltre che della situazione delle donne cilene, il Comitato ha affrontato le identiche problematiche di Canada, Giappone, Bènin e Cuba (i cinque Paesi di cui questa settimana vengono esaminati i rapporti).
Per il Cile, viene denunciato l’aumento dei casi della violenza sessuale e di violenze all’interno delle famiglie, in particolare dei femminicidi. Uno sguardo supplementare per la situazione delle donne detenute. Viene inoltre discussa la questione dell’esclusione, di fatto, delle donne rispetto ai numerosi progetti di estrazione mineraria (spesso deleteri per le comunità). E infine, uno degli aspetti più gravi (anche se sottovalutato), quello della discriminazioni e delle violenze subite dalle donne Mapuche.
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