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Il Comitato Onu contro la tortura critica duramente l’Italia

Va cambiata la legge sulla tortura, stop alla legittimazione italiana delle brutalità in Libia, critiche anche al decreto Minniti, al 41 bis, agli abusi e violenze della polizia e alla mancanza di provvedimenti disciplinari e penali nei loro confronti

La legge sulla tortura recentemente approvata dal parlamento italiano non è conforme alla Convenzione Onu e va cambiata. La definizione di tortura aggiunge elementi che rendono la tortura difficile da dimostrare (la crudeltà, il verificabile trauma psichico, le condotte plurime), il reato è stato concepito come generico e dunque commettibile da chiunque e non solo da pubblici ufficiali, inoltre non è imprescrittibile e non c’è un fondo per risarcire le vittime.

Sono tra i rilievi più importanti che il rapporteur sull’Italia del comitato delle Nazioni Unite contro la tortura (CAT) ha formulato questa mattina all’Italia, durante la sessantaduesima sessione del Comitato stesso.

Altro rilievo mosso al nostro paese riguarda la raccomandazione ad istituire un comitato nazionale per la promozione e protezione dei diritti umani. Molto apprezzata è stata invece l’istituzione del Garante Nazionale dei detenuti e delle persone private della libertà, che risponde al Meccanismo Nazionale di Prevenzione stabilito dalle Nazioni Unite, incarico attualmente ricoperto da Mauro Palma.

Critiche durissime riguardano la gestione delle politiche migratorie che non possono mai legittimare la tortura e le brutalità. Tra i rilievi e le preoccupazioni del Comitato: la persistenza del reato di immigrazione irregolare, le deportazioni collettive verso paesi che praticano la tortura e violano i diritti umani, l’uso eccessivo della forza e gli abusi di polizia contro i migranti, così come le espulsioni che non vengono precedute da verifiche attente sul rischio di tortura nei paesi di provenienza. Duro il rapporteur è anche a proposito del memorandum – non avvallato dal parlamento – con il Sudan e le conseguenti espulsioni collettive di 48 sudanesi del Darfur.

Un passaggio specifico è stato dedicato anche all’abolizione dell’appello nelle richieste di asilo politico, provvedimento contenuto nel decreto Minniti-Orlando sull’immigrazione, che indebolisce la protezione giudiziaria dei rifugiati.

Durissima critica arriva poi sugli accordi con la Libia. Il Comitato ONU definisce esplicitamente le milizie libiche come gruppi irregolari finanziati per detenere migranti, i quali subiscono violenze e torture, e afferma che gli accordi in questione hanno istituzionalizzato una politica di sequestri e riscatti.

In ambito penitenziario il Cat solleva dubbi sul fatto che un detenuto possa essere sottosposto al regime duro di cui all’articolo 41 bis anche per vent’anni, nonché sull’eccessivo isolamento in cui vengono posti.

Invita a ridurre l’uso della custodia cautelare che ha tra i più alti tassi in Europa. E’ preoccupato del sovraffollamento che supera il 120%. Valuta positivamente l’introduzione della sorveglianza dinamica ma troppo pochi sono gli educatori e gli operatori sociali. Troppi i casi di collocazione dei detenuti in regime di isolamento. Il Cat chiede i dati sui casi di violenza nei confronti dei detenuti. Mancano informazioni a riguardo. Altrimenti – afferma il Cat – il fenomeno della tortura e dei maltrattamenti non è misurabile.

Chiedono spiegazioni sui casi delle violenze nei confronti di detenuti ad Asti e Lucera (caso Rotundo). Il Comitato ha chiesto spiegazioni all’Italia sui casi di Valerio Guerrieri, diciottenne con problemi psichiatrici suicidatosi nel carcere di Regina Coeli, e Alfredo Liotta, morto nel carcere di Siracusa per non essere stato curato nonostante il suo evidente deperimento fisico.

Rispetto alle violenze di polizia il Comitato Onu è preoccupato dell’assenza di provvedimenti disciplinari e penali nei confronti del personale delle forze dell’ordine che si è reso disponibile delle violenze a Genova, Napoli e Val di Susa.

Si sottolinea la difficoltà dei detenuti stranieri a vedere riconosciuto il proprio pieno diritto di difesa.