Dopo la condanna di 24 persone per i fatti del G8 del 2001, nel capoluogo ligure si prova ad inquadrare la sentenza che ha chiuso la prima grande vicenda giudiziaria. Il dispositivo si è rivelato complicato, la sentenza dura, pesante. In generale, non solo per le condanne più alte. Quel reato di devastazione e saccheggio su cui la procura di Genova ha basato il processo, ha retto eccome, sebbene per «sole» dieci posizioni. Devastazioni, saccheggi, ordine pubblico in pericolo, concorso morale. Per avere forse spaccato una vetrina, danneggiato alcune auto, ovvero «cose», si va in galera, per 11 anni. Le difese avevano tentato di scardinare l’approccio dell’accusa, difendendo tutti gli imputati, senza distinzioni. A mettere in crisi l’ordine pubblico in quei giorni – è stata la tesi dei difensori – scegliendo di non intervenire, o non riuscendovi, caricando in modo arbitrario, sono state le forze dell’ordine, comandate da militari abituati alle guerre.Dopo la lettura della sentenza alcuni avvocati si sarebbero dichiarati parzialmente soddisfatti, segno evidente che si erano preparati perfino a una sentenza peggiore, ma anche un avviso di quanta complessità, politica, produca la distinzione tra «quasi buoni» e «completamente cattivi» operata dalla corte. Con sguardo più lucido, anche il parziale accoglimento delle teorie difensive rispetto ai fatti di via Tolemaide merita un approfondimento: la richiesta di indagare sulla falsa testimonianza di funzionari di polizia e carabinieri è un segnale, ma sulle condanne minori, leggendo capo di imputazione per capo di imputazione, si osserva che non per tutti è decaduto il reato di resistenza. Una discriminante non da poco, che spiega quanto lavoro ancora attende le difese per l’appello. Il successo, in questo caso, è più morale che giuridico. La sentenza si inserisce in un ginepraio politico e giudiziario. Dopo quella per i 25 di Genova, la prossima sentenza sarà quella di Cosenza, ancora una volta contro i manifestanti. Lì 13 persone rischiano condanne per associazione sovversiva finalizzata, guarda caso, alla devastazione e saccheggio di Genova. Alcune delle posizione sono collegate ai fatti di via Tolemaide: la sentenza genovese potrebbe influire. I due procedimenti contro i no global, inoltre, impallidiscono rispetto al complesso di varianti collegate ai procedimenti contro la polizia, specie quello della Diaz. Nelle aule che hanno fatto tremare i vertici della allora e attuale polizia, le vicende processuali dei 25 e dei 13 di Cosenza hanno trovato punti di contatto di una certa rilevanza. Specie quando i difensori dei poliziotti hanno compreso la complessità delle accuse, forse sottovalutate inizialmente, e dopo aver scampato il pericolo verificatosi in occasione delle recenti intercettazioni telefoniche, finite nel silenzio sia mediatico, sia politico.I difensori dei poliziotti hanno usato atti del processo dei 25 e del processo di Cosenza, per giustificare l’irruzione e le violenze alla Diaz. I loro assistiti hanno dimostrato, come emerso dalle intercettazioni, una dedizione quotidiana al proprio processo, nonostante posizioni rilevanti nella gerarchia della polizia. Collegamenti, strategie, contromosse, utilizzo di atti di altri procedimenti: eventi la cui analisi complessiva non può essere lasciata alla sola magistratura. Alcuni passaggi, evoluzioni e acrobazie sono tutte politiche e potrebbero essere colte. Anche senza una commissione di inchiesta.
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