Mentre D’Alema “rivela” che Clinton gli aveva chiesto di consegnare Ocalan direttamente ai turchi, un’altra prigioniera curda rischia di perdere la vita
di Gianni Sartori
Quel giorno del novembre 1998 l’allora leader di Rifondazione comunista, Fausto Bertinotti, sul palco installato in Piazza dei Signori (Vicenza) aveva al fianco (forse a sua insaputa) un compagno del Collettivo Spartakus (il gruppo di giovani comunisti vicentini destinati a una certa notorietà all’epoca dell’affaire “Turban-Italia”). Molto distintamente, Mauro lo intese parlare al telefono di Abdullah Ocalan e del suo arrivo in Italia. Per porre fine al penoso peregrinare da un aeroporto all’altro (dopo l’espulsione dalla Siria) e con l’auspicio che gli venisse concesso l’asilo politico. Terminata la telefonata, Fausto, sorridente ed evidentemente soddisfatto, si era rivolto ai presenti informandoli che “ero al telefono con Massimo, stiamo portando Ocalan in Italia” . Ovviamente parlava dell’allora Primo ministro Massimo D’Alema. Non so se in quel momento Ocalan fosse già sull’aereo per Roma insieme a Ramon Mantovani di Rifondazione e con Ahmet Yaman, portavoce dell’Eniya Rizgariya Netewa Kurdistan (Fronte di Liberazione Nazionale del Kurdistan). In ogni modo la notizia venne accolta con soddisfazione dai compagni. Sappiamo infatti che poi Ocalan era effettivamente sbarcato in Italia, ma purtroppo conosciamo anche il seguito. Ossia come venne allontanato e – dopo altre peregrinazioni – catturato dagli agenti del MIT a Nairobi nel febbraio 1999, mentre dall’ambasciata greca si recava in aeroporto per raggiungere il Sudafrica. Forse venduto da Atene che pure in passato aveva sostenuto, magari sotto banco, il PKK (o almeno così si dice). In questi giorni, durante un’intervista concessa a Medya Haber TV, D’Alema ha “rivelato” quanto era facile intuire già da allora. Ossia che il presidente statunitense Bill Clinton lo aveva contattato chiedendogli (ordinandogli ?) di estradare il leader curdo direttamente in Turchia.
Ma…Clinton chi ? Forse lo stesso che in Sudafrica si esibiva danzando con Hillary al compleanno di Mandela (unico leader di Stato disposto ad accogliere Ocalan)? Quello che in seguito avrebbe partecipato a Derry ai funerali dell’ex membro dell’IRA Martin McGuinness…?? Vien proprio da dire, citando chi so io : “Certa gente, la faccia come il culo…”.
Un inciso. Sono ormai 43 mesi che non si hanno notizie su Abdullah Öcalan, rinchiuso a Imrali (la Robben Island turca) da oltre 25 anni. Inoltre gli viene impedito di incontrare sia gli avvocati che i familiari (visti per l’ultima volta, rispettivamente, nel 2019 e nel 2020; più un brevissima telefonata con il fratello nel 2021).
Tornando a D’Alema, la tardiva “confessione” conferma quante e quali siano state le pressioni esercitate dagli USA sul governo italiano. E in fondo per Massimo – forse – c’è anche una modesta attenuante. Almeno non aveva eseguito supinamente gli ordini di Washington, “limitandosi” a far allontanare il leader curdo senza consegnarlo mani e piedi legati alla Turchia.
E questo il D’Alema ci tiene a sottolinearlo. “Quando il presidente Clinton mi ha chiamato e mi ha detto “dovete consegnare Öcalan alla Turchia” ci siamo rifiutati. Credetemi, non è facile dire “no” agli Stati Uniti, soprattutto se siete un alleato in seno alla Nato della Turchia”. Pur riconoscendo l’indiscutibile impegno del “Mandela curdo” per una soluzione politica del conflitto, ha precisato che a suo avviso la proposta di Öcalan di “una conferenza internazionale per una soluzione democratica della questione curda, all’epoca non aveva speranza di riuscita”. Principalmente per il sostegno assoluto degli Stati Uniti alla Turchia.
E comunque ha definito “disumano e inaccettabile, sia sul piano dei diritti umani che su quello politico” l’isolamento assoluto subito dal leader curdo.
Associandosi alla richiesta di una immediata liberazione in quanto potrebbe “avere un ruolo chiave nella soluzione pacifica del conflitto tra curdi e Turchia”.
Ovviamente il caso di Ocalan rimane emblematico. Un’auspicabile liberazione (così come la sua stessa sopravvivenza) rimane un punto fermo, irrinunciabile per il popolo curdo. Tuttavia – e credo che “Apo” sarebbe sostanzialmente d’accordo – questo non deve farci dimenticare le migliaia di altri prigionieri politici curdi che quotidianamente nelle carceri di Ankara soffrono e spesso muoiono in condizioni disumane.
È del giorno 8 ottobre la notizia di un aggravamento delle condizioni di salute della prigioniera politica curda Mizgin Acar. Stando alla versione ufficiale, nella notte del 1 di ottobre avrebbe tentato il suicidio nel carcere di massima sicurezza di tipo E di Mardin.
Nonostante a causa del grave peggioramento venisse trasportata all’ospedale di Mardin e sottoposta a terapia intensiva, le sue condizioni continuano a peggiorare.
Condannata all’ergastolo per una sua presunta “partecipazione a scontri”, Acar era stata per cinque mesi in una prigione del distretto di Mîdyad (Midyat) per poi raggiungere il carcere di massima sicurezza di Elazığ.
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