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Cosa ricordiamo nel giorno della memoria

C’è una disperazione in tutto il mondo dalla quale dobbiamo ripartire nel Giorno della memoria. È quella di chi grida contro il tracollo geopolitico che moltiplica le guerre, il collasso climatico che non si vuole arrestare, la disintegrazione provocata dal capitalismo

di Franco Berardi Bifo da Comune-Info

Quando insegnavo all’istituto serale per adulti ogni anno dedicavo molto spazio al giorno della memoria. Leggevo qualche pagina di Primo Levi, ricostruivo gli eventi che portarono all’emergere del Nazismo tedesco, e spiegavo il significato dell’Olocausto degli ebrei nella storia moderna d’Europa.

Una volta proposi di fare un tema sull’argomento, e lo studente Claude scrisse una cosa sorprendente. Claude, un ragazzo senegalese, molto preparato ma piuttosto taciturno, scrisse che lui non capiva perché ogni anno si ricordano le sofferenze degli ebrei, mentre non c’è una giornata dedicata a ricordare le sofferenze immense e prolungate degli africani, la tratta dei neri e lo schiavismo.

Dedicai al suo tema l’intera lezione successiva. Dissi che in effetti la memoria europea si concentra su un evento che pur essendo di enorme importanza non è il solo Olocausto della storia. Parlai delle grandi ondate di sterminio razzista: dello sterminio dei quattro quinti della popolazione indigena del Sud America da parte dei colonizzatori spagnoli. Del genocidio perfetto delle popolazioni indigene del Nord America. Parlai del fatto che i colonizzatori inglesi del continente australiano fino a settant’anni fa potevano legalmente uccidere a fucilate un aborigeno.

Conclusi dicendo che ricordando l’Olocausto degli ebrei intendiamo onorare la memoria di tutti coloro che, in ogni continente, hanno subito la violenza della razza sterminatrice, bianca, cristiana e occidentale.

Se oggi insegnassi ancora a studenti adulti e per gran parte stranieri, come facevo fino a dieci anni fa, credo che darei una risposta più dettagliata. Quest’anno, infatti, chiunque intenda celebrare – come è giusto fare – il giorno della memoria, dovrebbe ricordare che Hitler non è che uno dei tanti sterminatori di cui la storia moderna è gremita.

Nel suo Discours sur le colonialisme del 1951 scriveva Aimé Cesaire:

“Quel che gli europei non perdonano a Hitler non è il crimine in sé, il crimine contro l’umanità, l’umiliazione dell’umano in sé, ma il crimine contro l’uomo bianco, l’umiliazione dell’uomo bianco. Quel che non si perdona a Hitler è il fatto di avere applicato in Europa le tecniche coloniali accettate con gli arabi in Algeria, i coolies dell’India e i neri dell’Africa”.

A questo punto confesso che non sono un grande fan della memoria. Credo infatti che saremmo tutti più felici se fossimo capaci di oblio. Ma tremila anni di odio di guerra e di Bibbia hanno provato che non ne siamo capaci. Non siamo capaci di dimenticare il male ricevuto, perciò la memoria ci ossessiona e ci spinge a replicare il male, a usare contro chi è più debole la violenza che abbiamo subito da chi era più forte di noi.

Dunque, poiché l’oblio non ci è concesso, ben venga la memoria. Ma è bene che la memoria sia rispettosa della verità.

La prima verità che ricordiamo è che gli ebrei sono state vittime di una violenza immensa da parte del regime nazista di Hitler e da parte di tutti i popoli europei – i francesi, i polacchi, gli italiani, i romeni, gli ucraini che in buona parte sostennero la persecuzione degli ebrei.

La seconda verità è che quello sterminio è solo uno dei tanti con cui il suprematismo bianco ha sottomesso i popoli del mondo per secoli, obbligandoli a subire lo sfruttamento coloniale. La violenza di cui furono oggetto gli ebrei nel decennio Quaranta del secolo ventesimo è la stessa violenza di cui in tempi diversi sono stati oggetto i popoli colonizzati d’Asia d’Africa e d’America. Quest’anno, in particolare, occorre avere una memoria malata per non capire che la campagna genocida che si sta compiendo a Gaza ridefinisce brutalmente il senso stesso della nostra memoria del passato.

La violenza razzista e colonialista di Israele non è una novità degli ultimi tre mesi; essa inizia nel 1948 con la deportazione forzata di settecentomila palestinesi, ed è continuata con la creazione di un regime di apartheid, con l’umiliazione continua dei palestinesi da parte delle truppe israeliane, con la distruzione sistematica delle abitazioni palestinesi in Cisgiordania, con la moltiplicazione degli insediamenti coloniali armati che hanno messo la Cisgiordania sotto controllo militare. Dal 2007 Gaza è un vero e proprio campo di concentramento dal quale non si può uscire e nel quale la vita quotidiana è resa impossibile dalle continue aggressioni.

Negli ultimi anni avevamo creduto che la questione fosse risolta con la definitiva umiliazione dei palestinesi, ma l’atroce vendetta del 7 ottobre ha costretto tutti a capire che così non era. Dopo quella data la risposta di Israele è diventata talmente simile a un genocidio che nessuno nel mondo può più ignorare quel che molti ignoravano fino al 7 ottobre: da 75 anni i palestinesi sono sottoposti a deportazione, discriminazione etnica, internamento in campi di sterminio, omicidi casuali e omicidi mirati.

In Europa è vietato dire queste verità che nessuno storico può negare. Coloro che si resero responsabili dello sterminio del popolo ebraico, cioè i popoli europei, sono diventati sostenitori della colonizzazione israeliana in Palestina, dopo la sconfitta della Germania hitleriana. Quelli fra gli europei che furono più antisemiti nel passato, quelli che più apertamente fascisti sono nel presente, quelli sono oggi i più inflessibili sostenitori del nazional sionismo.

In Germania la verità di stato si fonda sull’indiscutibilità di ciò che fa Israele. Le forze politiche e culturali che furono più apertamente antisemite e parteciparono al genocidio degli ebrei, sono oggi le più accanite sostenitrici di Israele. Più hanno collaborato con il Nazismo e più appoggiano le politiche di Israele nei confronti dei palestinesi.

Queste cose dobbiamo dirle nel giorno della memoria, altrimenti ripeteremo parole retoriche, ipocrite e false.

Mentre esercitiamo la memoria, però, sarebbe opportuno esercitare anche l’immaginazione e la previsione del futuro.

L’effetto provocato dall’aggressione israeliana ha spalancato l’abisso tra colonialismo e mondo colonizzato, e acutizza l’odio razziale che ora tende a rivolgersi in maniera convergente contro il mondo bianco.

In un articolo pubblicato da Aljazeera del 17 gennaio 2024, Saul Takahashi, professore all’Università di Osaka, Giappone, sostiene che l’evento Gaza sarà la tomba dell’egemonia occidentale sul mondo:

“sostenendo le atrocità di Israele a Gaza l’Occidente ha dissipato quel che rimaneva della sua credibilità e ha spinto fino a un punto di non ritorno la crisi dell’ordine internazionale regolato” (Gaza will be the grave of the Western-led world order, Aljazeera, 17 dic 24).

Credo che Takahashi abbia ragione: Israele è percepita in tutto il mondo come l’avamposto del colonialismo occidentale. Una parte della comunità ebraica, soprattutto nella diaspora, è oggi perfettamente consapevole della inaccettabilità delle menzogne israeliane. Israelism, il documentario di Eric Axelman e Sam Eilertse (due filmaker ebrei), mostra la miscela di suprematismo e fanatismo etno-religioso che ha preso forma nella cultura israeliana e nell’evangelismo razzista-trumpista nordamericano. E mostra come la fusione tra colonialismo laico e fondamentalismo religioso ha prodotto effetti di aggressività e di sopraffazione sistematica.

Gaza è diventato il nucleo di una rivolta etica di proporzioni mondiali: il mondo bianco si arrocca bellicoso a difesa del sionismo genocida, ma si trova sempre più isolato, assediato dall’odio crescente del sud del mondo e anche dalla rivolta dei giovani, prima di tutto degli studenti ebrei americani.

Il processo che il Sud Africa ha aperto all’Aja contro le politiche israeliane denuncia un genocidio che è sotto gli occhi di tutti: le scelte di Netanyahu e le parole esplicite di molti dei dirigenti politici e militari del suo paese puntano all’eliminazione di una intera generazione di palestinesi.

In miliardi di persone nel pianeta il processo dell’Aja riattiva la memoria di ciò che il colonialismo ha fatto nei secoli passati e continua a fare con lo sfruttamento, l’estrattivismo, e lo sterminio.

Inoltre sembra che le parole: Free Palestine condensino il sentimento prevalente della generazione emergente. Nelle dimostrazioni pubbliche e nelle reti social queste due parole sono ripetute ogni giorno un miliardo di volte. Ma cosa significa questa identificazione dei giovani con la Palestina? Dalla Palestina viene forse una strategia per il futuro con la quale identificarsi? Mi pare di no. Chi grida in strada o scrive sui social “Free Palestine” non si identifica con Hamas, né con l’islamismo, né con il nazionalismo arabo. Si identifica con la disperazione, con l’assenza di futuro dei palestinesi, schiacciati da decenni di isolamento, aggressione, menzogna.

La rivolta etica contro lo sterminio dei civili di Gaza coagula la disperazione di una generazione che non vede più vie d’uscita rispetto al collasso geopolitico che va diffondendo la guerra, al collasso climatico che non si vuole o non si può arrestare, e alla disintegrazione della civiltà sociale provocata dal neoliberismo.

È da questa disperazione che dobbiamo ripartire, nel giorno della memoria.

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