Scarcerazioni frenate dalle polemiche, ora il virus divora le celle sovraffollate
Negli ultimi mesi la popolazione detenuta è cresciuta come se questa seconda ondata non fosse attesa. Il 7 novembre il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale riferiva che i contagi nelle carceri italiane avevano superato le 400 unità tra i detenuti mentre il numero di contagi tra il personale era ancora più alto. Tre giorni dopo notizie di fonte sindacale parlano di 537 positivi tra detenuti e 728 tra gli operatori. La seconda ondata di contagi da coronavirus che sta mettendo in crisi il Paese è dunque entrata fragorosamente in carcere con numeri da subito superiori a quelli registrati qualche mese fa.
Ma come è possibile? Dopo tutti i mesi passati a parlare quasi solo di questo, dopo le rivolte e i morti, il sistema penitenziario nazionale è dunque del tutto impreparato a difendersi dai contagi? In effetti le cose non stanno affatto così. L’Osservatorio di Antigone da settembre ha ripreso le proprie visite in carcere, interrotte a dicembre 2019, entrando in oltre 30 istituti in varie regioni della nazione e trovando un paesaggio molto diverso da quello che aveva lasciato.
Le attività trattamentali sono ferme quasi ovunque ma in compenso i protocolli per la prevenzione del contagio vengono applicati in maniera piuttosto rigorosa. Gli arrestati e le persone che rientrano dai permessi ad esempio, prima di andare in sezione, vanno tutti in isolamento cautelare mentre i colloqui, che sono ripresi quasi ovunque, vengono effettuati in stanze divise in due da una parete di plastica trasparente: i detenuti da una parte, i familiari dall’altra, senza alcun rischio di contagio. L’impressione che abbiamo ricavato dalle nostre visite è che queste e molte altre misure siano la prova di una grande attenzione e di una grande preoccupazione per la diffusione del virus. Ma se le cose stanno davvero così, come si è arrivati a questi numeri? Il sospetto è che questa volta non siano state le carceri a essere impreparate, ma il resto della società, a partire dalla politica.
Il 30 ottobre 2020, prima dunque che le misure previste dal Governo nel decreto “Ristori” potessero dispiegare alcun effetto, in carcere c’erano 54.868 persone, 600 in più di fine settembre, 1.200 in più di fine luglio. La popolazione detenuta è dunque cresciuta in questi mesi come se questa seconda ondata non fosse attesa, riducendo al lumicino gli spazi a disposizione per l’isolamento dei nuovi arrivati e dei positivi. Non sono dunque i singoli istituti a trovarsi impreparati, ma lo è forse il sistema nel suo complesso, e la politica che lo dovrebbe governare, che ha lasciato che si creassero queste condizioni. E la responsabilità non è solo della politica.
Durante la prima ondata della pandemia le prime misure adottate dal governo per ridurre le presenze in carcere sono del 17 marzo, contenute nel decreto “Cura Italia”. Ebbene, in quel momento la popolazione detenuta nel paese era già calata di circa 1.800 unità da fine febbraio. Il “Cura Italia” consoliderà questa tendenza, ma già da prima tutti gli operatori della giustizia, per paura delle conseguenze disastrose che i contagi avrebbero potuto avere sul carcere, si erano impegnati a fare veramente del ricorso alla detenzione in carcere una extrema ratio. Questa tendenza, consolidata dal decreto, si è poi interrotta bruscamente a seguito della polemica del tutto infondata sulle “scarcerazioni dei boss” lanciata da alcuni giornali, ma lo scenario odierno è del tutto diverso.
Fino al giorno prima dell’adozione del decreto “Ristori”, che ha riproposto più o meno immutate molte misure previste dal “Cura Italia”, i numeri erano costantemente saliti e il 7 novembre, una settimana dopo l’adozione del decreto, il calo delle presenze in carcere è stato di 60 persone in tutto.
Non sembra esservi stata dunque, in questa seconda occasione, la stessa prontezza che si ebbe a marzo nel ricorrere a tutte le misure possibili, vecchie e nuove, per combattere l’affollamento penitenziario. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Gli spazi a disposizione negli istituti per gli isolamenti si stanno rapidamente esaurendo e ad esempio a Roma succede che chi viene arrestato venga mandato a Vasto, in Abruzzo, a fare la quarantena perché non ci sono posti in istituti più vicini. E, aumentando il numero dei positivi e delle persone da mettere in isolamento, la situazione si aggrava di giorno in giorno. Le misure reintrodotte dal governo sono importanti, ma è altrettanto importante che si legga e si dia voce al messaggio che quelle misure tra le righe contengono: l’emergenza è tornata e bisogna che tutti si impegnino per affrontarla agendo anzitutto sui numeri del sovraffollamento. Le tragedie di marzo scorso sono ancora nella memoria di tutti, ma sappiamo che le cose sarebbero potute andare anche peggio, in termini di contagi e di decessi. E bisogna che questo non succeda.
Alessio Scandurra – Associazione Antigone
da il Riformista