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Cpr, i lager del tempo sospeso

“La gestione privata dei Centri non garantisce la tutela dei diritti fondamentali delle persone”. Nel Centro per il rimpatrio di Gradisca di Isonzo le persone, “colpevoli” di non avere documenti in regola, vivono in sei in una cella con le finestre sigillate e niente ora d’aria. La denuncia delle parlamentari Paola Nugnes e Doriana Sarli che sono riuscite a visitarlo.

di Stefano Galieni

I Cpr sono lager, luoghi disumani in cui esseri umani tengono segregati, in modo indegno, altri propri simili, senza colpa. Spesso sono giovani di vent’anni, in salute, venuti fin qui con la speranza di una vita migliore, di trovare un Paese capace di dar loro un futuro, perché la loro terra è distrutta dallo sfruttamento, dalla guerra, dalla siccità.

Qui trovano invece confusione, segregazione, violenza psicologica, se non fisica, e si ammalano, si disperano fino a cercare la morte. E a volte muoiono. Paola Nugnes, senatrice di ManifestA, è entrata per la prima volta in un Centro fermamente per i rimpatri, insieme alla collega deputata Doriana Sarli, della stessa componente parlamentare.

In lunghi come questo vengono costrette in stato di reclusione persone extracomunitarie considerate da espellere dall’Italia, in quanto trovate prive di regolari documenti di soggiorno. Paola Nugnes non nasconde l’indignazione, anche quasi dopo un mese dall’esperienza vissuta nel Cpr. Il 17 giugno, senza clamore, le due parlamentari hanno raggiunto il Cpr di Gradisca d’Isonzo in provincia di Gorizia, per una lunga, attenta e doverosa ispezione, accompagnate da un legale, Martina Stefanile, e un mediatore culturale, Nagi Cheikh Ahmed, Anche Doriana Sarli è provata da quanto ha visto: “Un luogo senza tempo – racconta – dove lo Stato di diritto scompare.

Alcuni lo definiscono “luogo dal tempo sospeso”, perché privo di tempi certi, ma soprattutto perché non si sa dove conduca. I trattenuti sono lì per un reato amministrativo che nel nostro ordinamento giuridico non potrebbe essere punito con il “carcere”.

Ecco perché siamo fuori dallo Stato di diritto e la gestione privata dei centri non garantisce la tutela dei diritti fondamentali delle persone”. Il Cpr sorge in una ex caserma, la Ugo Polonio, quasi al confine con la Slovenia, in mezzo al nulla. Un edificio brutto dentro e fuori, inaugurato nel 2006 e più volte al centro di polemiche, di denunce e di manifestazioni, più volte chiuso e riaperto, teatro di tentativi di suicidio in alcuni casi purtroppo attuati.

Paola Nugnes si sofferma su quell’atmosfera, dice, di “cattiveria” che ha respirato visitando le diverse aree del centro, contrassegnate da colori diversi. Più che i colori, sono le persone ad esserle rimaste impresse. “I luoghi dove siamo costretti a vivere – dice – ci cambiano, ci condizionano. Se sono luoghi brutti, strutturalmente disumani, fatti di mura in cemento, sbarre, celle, abbrutiscono chiunque li vive.

Mi dicono che a Gradisca chi è stato assunto, dopo il colloquio, pensava di andare a lavorare in uno Sprar (oggi Sai, Sistema accoglienza integrazione, ndr) e si è ritrovato invece a fare il carceriere in un Cpr, con gente privata dei diritti elementari, che si lamenta, protesta. È facile incattivirsi.

Non c’è corrispondenza – ed è davvero grave – tra quanto previsto nella gara d’appalto vinta dal gestore e anche da un regolamento, e quanto accade realmente. Tutto è fatto a mio avviso per trarre il massimo profitto da parte dell’ente gestore che agisce con fondi pubblici. Si riducono le spese che dovrebbero garantire diritti ai trattenuti e questo sotto gli occhi dello Stato: del Prefetto, del Questore, della polizia di Stato. Un abominio”.

Doriana Sarli compara quanto ha visto nel Cpr con le condizioni degli istituti penitenziari: “Le carceri italiane, i cui limiti e carenze sia sul piano di rispetto dei diritti dei detenuti penso siano ben noti ai lettori di LO, sono luoghi ambiti da alcuni “trattenuti-detenuti” nei Cpr.

A Gradisca non è mai previsto lasciare la “gabbia” per un’ora d’aria, le persone rimangono lì per mangiare e dormire, per tutte le sacrosante 24 ore della giornata. Privare le persone della libertà dovrebbe essere riservato a chi ha compiuto crimini gravi. E comunque sempre nel rispetto dei diritti fondamentali. Quali sono gli effetti su qualsiasi essere umano di una detenzione così totale e violenta? Paura, rabbia, depressione, ansia, fobie… voglia di farla finita”.

Quella zona d’ombra nello Stato di diritto

I Centri di permanenza per i rimpatri di cittadini extracomunitari sono luoghi impenetrabili dove le persone trattenute, senza aver commesso un reato, vivono in condizioni lesive della dignità umana. Ecco come funzionano i regolamenti del Viminale che li disciplinano.

Leggere i regolamenti interni dei Centri di permanenza per i rimpatri ci fa comprendere ancora meglio la natura di questi luoghi dove si trovano trattenuti cittadini extracomunitari che, trovati senza permesso di soggiorno, sono soggetti a provvedimenti di espulsione.

Risale al 20 ottobre 2014 il Regolamento “Criteri per l’organizzazione e la gestione dei centri di identificazione ed espulsione (Cie)”. Nel 2017 i Cie diventano Centri permanenti per rimpatri (Cpr). Le modalità di gestione sono simili a quelle stabilite nel 1998 per i Cpt (Centri di permanenza temporanea).

Nel 2018, con i decreti Salvini, si assiste ad un peggioramento delle condizioni di vita delle persone trattenute in questi spazi, costituiti per lo più da gabbie, circondate da alte mura, in una decina di città italiane. La “riforma Lamorgese” dei decreti Salvini non ha attenuato la loro funzione, se non diminuendo i tempi di trattenimento.

La pandemia, poi, li ha resi ancora più impenetrabili. Il Garante nazionale dei diritti dei detenuti e delle persone private di libertà personale più volte si è espresso sulla necessità di veder rispettati nei Cpr i diritti essenziali alla cura, alla difesa, ad un trattenimento dignitoso”. Nel novembre scorso, tentando di attuare un’ispezione in un Cpr, chi scrive ebbe modo di vedere copia di un nuovo regolamento, rispetto a quello in vigore dal 2014, che vietava l’accesso, senza l’autorizzazione della prefettura, a figure che non possedessero determinati requisiti.

Gli accompagnatori di parlamentari dovevano risultare contrattualizzati dagli stessi, non erano ammessi altri consulenti e/o esperti in materia. Ma questo nuovo testo non esisteva sul sito del ministero dell’Interno. Nell’ispezione effettuata dalle parlamentari Nugnes e Sarli (v. pag 14) al Cpr di Gradisca d’Isonzo, questo ultimo regolamento, senza data di protocollo, è riaffiorato e veniva dichiarato in vigore dal 19 maggio 2022 col titolo “Criteri per l’organizzazione e la gestione dei centri di permanenza per i rimpatri”. Da una verifica nel sito del Viminale risultano due documenti: una direttiva che specifica il nuovo regolamento dei Cpr e una circolare, inviata ai prefetti interessati.

Vediamo quindi le novità. All’articolo 1, scompare la frase “fermo restando il divieto dello straniero di allontanarsi dal centro”. All’articolo 2 (informazioni allo straniero) aumenta il numero delle lingue (in più russa e cinese). in cui deve essere tradotto il materiale informativo. L’articolo 3 contiene l’ammissione di una realtà: in passato nei centri si incontravano sovente richiedenti asilo, che, in teoria, non dovevano essere trattenuti. Ebbene, in questa direttiva, citando un decreto legislativo (il n.142 del 18 agosto 2015), si afferma che “per i richiedenti asilo trattenuti occorre considerare la presenza di condizioni di vulnerabilità”.

Si conferma insomma quanto, per anni, è stato denunciato dalle associazioni per i diritti umani. All’art 4 (Servizi all’interno del centro) si nota particolare attenzione nella richiesta di annotare “eventi critici” e si raccomanda di assicurare “il costante controllo dei locali alloggiativi durante le ore notturne”, segno che comincia a pesare il numero degli episodi di autolesionismo e di casi estremi come i suicidi. L’articolo 5 disciplina la corrispondenza telefonica.

Qui il controllo è massimo. Laddove non si utilizzano telefoni fissi, l’uso di un cellulare è possibile sotto sorveglianza, su numeri già in rubrica, in uno spazio dedicato (che spesso nei centri manca) e l’apparecchio deve essere privo di telecamera. Nel vecchio testo l’articolo 5 definiva le possibilità di accesso al centro distinguendo chi poteva entrare in ogni momento da chi doveva preavvisare la Prefettura competente. Un parlamentare, per esempio, poteva entrare senza preavviso, accompagnato da un “assistente”. Nel nuovo regolamento, lo stesso potrà avvalersi di “accompagnatori per ragioni del proprio ufficio”.

Queste aperture lasciano però ampi margini di discrezionalità alla Prefettura. Preavvisando con tempo “congruo” e sempre previa autorizzazione prefettizia, giornalisti e cineoperatori, col vecchio regolamento, potevano avere accesso ai Cpr. Nella nuova direttiva, gli accessi a tali soggetti (articolo 7 comma 7) sono consentiti previo lo stesso iter ma (comma 9) “non sono consentite, salvo espressa autorizzazione, riprese videofotografiche o registrazioni audio che abbiano per oggetto la struttura, gli stranieri, il personale delle forze di Polizia e delle Forze armate, quello dell’ente gestore ovvero ogni soggetto che presti servizio, a qualsiasi titolo, nel centro”.

E comunque, nella circolare inviata alle prefetture non compare alcun riferimento ai giornalisti. Rispetto a quando, nel luglio 2011, il ministro dell’Interno Maroni bloccò con una circolare l’accesso a chi opera nell’informazione, oggi i meccanismi si sono, per così dire, raffinati. La struttura del Cpr diventa “secretata” su disposizione prefettizia ma con una ambiguità tra quanto si prevede nella direttiva e quanto prescrive la circolare.

A luglio 2011, ricordiamo, nacque la campagna “LasciateClEntrare” e pochi mesi dopo la circolare di Maroni venne sospesa. Analizziamo ancora le novità del regolamento dei Cpr. Nell’articolo 9 (monitoraggio e controllo) c’è una variazione. Nel vecchio regolamento, lo “straniero” che segnalava una irregolarità aveva garantito l’anonimato.

Nel nuovo si deve far richiesta di un modulo “da inserire in apposito contenitore, a cui può avere accesso unicamente la Prefettura”. In sostanza, si segnala una criticità a chi forse è responsabile di averla causata e, in tale maniera, ci si espone. Ogni istanza o reclamo potrà però essere consegnato in busta chiusa dal trattenuto al Garante dei detenuti. Gli articoli successivi variano poco e riguardano la vigilanza esterna (per impedire allontanamenti indebiti), interna (per far sì che nel centro non sorgano problemi di sicurezza), il controllo di pacchi ricevuti dai trattenuti, i compiti dell’ufficio immigrazione.

Cambia poi la “Carta dei diritti e dei doveri dello straniero”: 16 sono i “diritti” sanciti nel vecchio regolamento, 23 nel nuovo. Qui al punto “f” si afferma che lo straniero ha diritto, se richiedente asilo, a ricevere l’opuscolo informativo previsto (si confermano quindi gli asilanti da trattenere). Aumentano i servizi, la possibilità di conferire telefonicamente o de visu con familiari, a veder tutelati i propri diritti sanitari. Ma questi miglioramenti rimangono sulla carta, rispetto a quanto risulta dalle ispezioni effettuate fino ad oggi. Fra i “doveri” sparisce quello di “risarcire eventuali danni arrecati a persone o cose”, ma questo dipende dalla riforma Lamorgese che prevede di perseguire penalmente, anche non in flagranza di reato, chi è accusato di tali reati. I successivi articoli definiscono, come in passato, i protocolli di intesa che le Prefetture debbono stabilire con Asl e aziende ospedaliere, specificando la necessità dei servizi da garantire.

Da notare come, a pandemia ancora in corso, non si sia provveduto a garantire per iscritto le norme di salvaguardia per trattenuti, operatori e personale di vigilanza. Dipende tutto dalle Asl. I testi analizzati, la direttiva e la circolare, cozzano con la realtà. I Cpr sono irriformabili, nonostante miglioramenti annunciati ma che risultano inesistenti. Servirebbe una Commissione di inchiesta per prospettare il loro superamento e andrebbe intanto garantita una libertà di informazione su quanto vi accade.

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