Chiacchiere e distintivo, l’importante non è avere delle leggi che funzionino e la possibilità di applicarle, ma offrire al pubblico una soluzione semplice
di Mario Di Vito
All’inizio erano i rave. Dieci mesi fa, a governo Meloni appena insediato, il paese si svegliò convinto di avere un serissimo problema con le feste e, così, dopo averne parlato in qualche talk show e aver letto qualche post su Facebook, il ministro della Giustizia Carlo Nordio – asceso in via Arenula con la fama di grande garantista e nemico giurato di ogni populismo penale – elaborò un testo con il quale si punisce chi partecipa a un rave con una condanna che va dai tre ai sei anni. Per dare un’idea dell’enormità della cosa basti dire che in Italia per banda armata di anni se ne rischiano pochi di più: tra i tre e i nove.
PASSANO alcune settimane e, alla fine di febbraio, a Cutro, in Calabria, un caicco partito dalla Turchia fa naufragio e muoiono almeno 180 persone. Il 9 marzo, in paese, arriva il governo, fa un consiglio dei ministri e decide di inasprire le pene verso i trafficanti di esseri umani. Secondo Meloni, da quel dì è possibile perseguire i cosiddetti scafisti «su tutto il globo terracqueo».
La faccia feroce del governo, poi, in estate ha anche provato a varcare i confini del pianeta Terra quando si è discusso del ddl Varchi, passato all’onore delle cronache come «Gpa reato universale»: approvato dalla Camera a luglio, il provvedimento prevede pene fino a un anno e multe dai 600mila al milione di euro per chi ricorre alla maternità surrogata. Il problema è che questa pratica è perfettamente legale e normata in diversi paesi (Usa, Canada, Portogallo, Olanda, Belgio e Grecia), mentre in Italia viene considerata alla pari del genocidio e dei crimini di guerra, che invece nessun stato al mondo ritiene leciti.
Poco prima, con il drammatico incidente di Casal Palocco, che aveva causato la morte di un bambino e scatenato una notevole ondata di indignazione contro il trash online e le scommesse estreme fatte solo per guadagnare visibilità sui social, il sottosegretario leghista Ostellari aveva proposto di aggiungere al reato di istigazione a delinquere una specifica aggravante digitale.
NON SI CONTANO poi le sparate affidate alle interviste o ai tweet: dall’ergastolo della patente al duplice omicidio quando viene uccisa una donna incinta, l’omicidio nautico, l’istigazione ai disturbi alimentari, il tentativo (peraltro prontamente realizzato, a leggi vigenti, da alcune procure particolarmente sensibili ai suggerimenti del governo) di trasformare gli ecoattivisti in terroristi.
Infine la cronaca recente. La senatrice della Lega Giulia Bongiorno vuole rendere imputabili anche i minori di quattordici anni e la sua alzata d’ingegno è stata anche rilanciata ieri mattina dal solito Salvini, che non perde mai l’occasione per abbandonarsi all’esibizione del distintivo. Perché l’importante non è avere delle leggi che funzionino e la possibilità di applicarle, ma offrire al pubblico una soluzione semplice e, se possibile, durissima. Almeno a parole. Tanto arriva sempre una nuova emergenza a far dimenticare quelle vecchie.
da il manifesto
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