Riformare le forze dell’ordine serve a poco, bisogna ridurne l’attività e sostituirla con soluzioni democratiche, pubbliche e non repressive. A New York alcune campagne propongono alternative concrete
Lunedì 25 maggio, un agente di polizia di Minneapolis ha ucciso George Floyd inginocchiandosi sul suo collo per quasi nove minuti. Le proteste che sono iniziate a Minneapolis si sono diffuse in città dopo città, e nel fine settimana si sono scatenate in scontri di massa a livello nazionale, che sono continuate in questa settimana.
Meagan Day di Jacobin ha discusso con Alex Vitale, professore di sociologia e coordinatore del Policing and Social Justice Project al Brooklyn College e autore di The End of Policing, sulle manifestazioni e sulle culture politiche che le animano.
È strano e inaspettato vedere la rinascita delle proteste contro gli abusi di polizia proprio in questo momento, con la pandemia di Covid-19 in corso e gran parte della nazione ancora teoricamente bloccata dal Coronavirus. Non mi aspettavo di vedere proteste di massa per l’inadeguata risposta al Coronavirus, figuriamoci vedere gente manifestare contro la violenza razzista della polizia. Come interpretiamo tutto ciò?
È abbastanza sconvolgente. Avevo ipotizzato che le regole sul distanziamento sociale avrebbero drasticamente ridotto le proteste in strada. Tuttavia, penso che siamo in un momento di profonda crisi che va ben oltre la questione della polizia, e che tutto ciò sia causato dalla crisi del Coronavirus e l’imminente depressione economica. C’è una convergenza di diversi fattori. Il fatto che la polizia sia brutale e impermeabile a ogni riforma è solo l’elemento catalizzatore che ha scatenato una specie di attivismo generazionale che sta rispondendo a una crisi più profonda, in cui la polizia gioca una parte emblematica.
In piazza ci sono persone di diverso tipo. Ci sono neri poveri e della working class, ma anche giovani bianchi, molti presumibilmente di origini borghesi. Ciò conferma quello che dicevi: le proteste sono guidate dalla rabbia per la violenza della polizia in particolare contro i neri, ma rispondono anche a una varietà più larga di fenomeni sociali.
Penso che stiamo assistendo all’esito di Occupy Wall Street, Black Lives Matter e della campagna per Sanders, movimenti diversi ma uniti dal fatto che il nostro sistema economico non funziona. Anche le persone che non subiscono personalmente la violenza della polizia si trovano davanti a un futuro di collasso economico e ambientale e sono terrorizzate e arrabbiate. Se avessimo un’economia in forte espansione, tutto questo non avrebbe voce. Così come se avessimo una leadership credibile a Washington. Ma non c’è solo il fatto che Trump sta alla Casa bianca, non credo che nessuno pensi davvero che Biden sistemerà tutto. Quando pensiamo alle rivolte urbane degli anni Sessanta, non le consideriamo legate esclusivamente alla repressione. Sappiamo che gli scontri sono stati un fattore scatenante, ma che sono stati una reazione a una questione profonda di disuguaglianza razziale ed economica negli Stati uniti. Dobbiamo leggere quello che sta accadendo oggi allo stesso modo. La polizia è il volto pubblico del fallimento dello stato nel provvedere ai bisogni fondamentali delle persone e nel rispondere a questo fallimento con soluzioni che danneggiano ulteriormente le persone.
È sorprendente dirlo, ma queste proteste sembrano avere un’intensità maggiore rispetto alle precedenti proteste di Black Lives Matter. È come Ferguson e Baltimora, ma in decine e decine di città. Perché?
Uno dei motivi per cui le proteste oggi sono più intense di quanto non lo fossero cinque anni fa è che cinque anni fa alle persone è stato detto: «Non preoccuparti, ci penseremo noi. Forniremo la polizia di un regolamento interno. Avremo alcune riunioni con le comunità. Daremo loro delle fotocamere per il corpo e tutto andrà meglio». E cinque anni dopo, non è andata affatto meglio. Non è cambiato nulla. La gente non crede alle chiacchiere sulle riunioni della comunità. Minneapolis è una città liberale in tutti i sensi, migliori e peggiori della parola. Cinque anni fa, hanno abbracciato pienamente l’idea di poter risolvere i problemi della polizia facendo sedere le persone a discutere e parlare del razzismo. Hanno provato tutte queste tattiche per ripristinare la fiducia della comunità nei confronti della polizia mentre allo stesso tempo è stato concesso alla polizia di portare avanti la guerra alla droga, la guerra alle bande, la guerra alla criminalità e di criminalizzare la povertà, le malattie mentali e i senzatetto. Non è accaduto solo a Minneapolis. Avrai sentito che dovevamo imprigionare i poliziotti assassini. Questa è una strategia senza uscita. Prima di tutto, il sistema legale è progettato per proteggere la polizia. Non è un incidente. Non si tratta di un bug. È una caratteristica fondamentale. In secondo luogo, quando la polizia viene perseguita, il sistema dice: «Oh, era una mela marcia. Ci siamo liberati di loro. Vedi, il sistema funziona». Quindi le persone stanno realizzando che questo tipo di riforma procedurale non fa nulla per cambiare la polizia. Dov’è la prova? L’anno scorso è stato incarcerato un poliziotto assassino a Chicago. Ma Nessuno a Chicago festeggia per le strade per celebrare la polizia in questo momento.
Percepisco una crescente consapevolezza diffusa sul fatto che la polizia è ciò che la società mette al posto di un funzionante stato sociale. Sei d’accordo sul fatto che le persone colleghino sempre più i loro sentimenti negativi riguardo alla polizia con un desiderio positivo di un programma di riforme economiche?
Assolutamente. Voglio dire, abbiamo visto cartelli la scorsa settimana in piazza che dicono: «Ridurre i finanziamenti alla polizia». Questo slogan incarna l’idea che non possiamo riformare la polizia, dobbiamo invece ridurne l’attività in ogni modo possibile e sostituirla con soluzioni democratiche, pubbliche e non repressive. Questa idea è stata sviluppata negli ultimi cinque anni, dal momento in cui le persone hanno a che fare con la polizia e la criminalizzazione apprendono in prima persona quanto siano inutili queste riforme. Sempre più persone stanno capendo che la strada da percorrere è ridurre l’apparato di polizia e sostituirlo con alternative finanziate con fondi pubblici. Allo stesso modo, ogni sforzo per produrre un movimento multirazziale della classe operaia ha bisogno di ridurre il sistema carcerario dello stato come parte della sua piattaforma. L’incarcerazione di massa e la criminalizzazione di massa sono una minaccia concreta per tutti i nostri progetti politici. Fomentano la divisione razziale, colpiscono la solidarietà, instillano la paura, riducono le risorse a nostra disposizione, mettono gli attivisti in posizioni precarie e sconvolgono i movimenti. I riformisti sono tutti presi dalla comprensione della società statunitense. Credono che l’applicazione neutrale e professionale della legge si traduca automaticamente in vantaggi per tutti, pensano che lo stato di diritto ci renda tutti liberi. Ma si tratta di un grave fraintendimento della natura dei contesti giuridici in cui viviamo. Questi non avvantaggiano tutti allo stesso modo. C’è un famoso detto del diciannovesimo secolo che afferma che la legge proibisce sia ai ricchi che ai poveri di dormire sotto i ponti, di chiedere l’elemosina per le strade e di rubare il pane. Ma ovviamente i ricchi non fanno queste cose. Le fanno i poveri. In definitiva, le attività di polizia riguardano il mantenimento di un sistema di proprietà privata che consente di perpetrare lo sfruttamento. È stato uno strumento per facilitare i regimi di sfruttamento dalla fine del diciottesimo e all’inizio del diciannovesimo secolo. Quando si formarono la maggior parte delle forze di polizia moderne, quei regimi erano colonialismo, schiavitù e industrializzazione. La polizia è emersa per gestire le loro conseguenze: reprimere le rivolte degli schiavi, reprimere le rivolte coloniali, costringere la classe operaia a comportarsi come una forza lavoro stabile che non si mobilita. Questa è la natura fondamentale della polizia. È un soggetto che non si è mai curato di produrre l’uguaglianza, al contrario. È esistito per sopprimere i nostri movimenti e consentire allo sfruttamento di procedere.
Come si potrebbe definanziare la polizia, in pratica?
Concretamente, a livello locale significa cercare di costruire una proposta che trovi consenso per costringere un consiglio comunale a votare per tagliare il bilancio della polizia e reinvestire quanto più denaro possibile nelle esigenze della comunità. A New York i Democratic Socialist of America lavorano da tempo sul tema della criminalizzazione. Ora stanno pianificando la prossima campagna elettorale del consiglio comunale per farne uno dei loro punti chiave e capire se i candidati sosterranno o meno un programma di riduzione del budget per le attività di polizia di un miliardo di dollari. Stanno cercando di affrontare questo tema materialmente. E proprio questa settimana, quaranta candidati al consiglio comunale del prossimo anno hanno sottoscritto un impegno a definanziare il New York Police Department. Sembra incredibile. Sono il coordinatore del Policing and Social Justice Project, che fa parte di un movimento per un bilancio di giustizia a New York. Abbiamo fissato l’obiettivo di un miliardo di dollari. Altri gruppi come Communities United for Police Reform e Close Rikers hanno chiesto riduzioni sostanziali delle attività di polizia per reinvestire quel denaro nelle esigenze della comunità. Stiamo partecipando a audizioni sul budget, diffondendo documenti, abbiamo pubblicato un video che circola sui social media che rivendica questi tagli. Stiamo facendo pressione reale per sconfiggere la polizia non in teoria ma in pratica. È importante fare pressioni per deviare o riallocare quei soldi in modi che sostituiscano direttamente le funzioni della polizia. Quando, ad esempio, a New York il comitato per la sicurezza pubblica formula raccomandazioni sul bilancio della polizia, altri comitati formulano le loro raccomandazioni ad altri dipartimenti, c’è un presidente del comitato del bilancio che può inviare segnali a quei diversi sottocomitati. Così il presidente della commissione per il bilancio sul quale stiamo puntando a New York potrebbe dire alla commissione per la sicurezza pubblica: «Ehi, vogliamo che prenda duecento milioni dal bilancio della polizia», e poi potrebbe dire alla commissione per l’istruzione, «Ho altri cento milioni, ma voglio che li impieghi in assistenti sociali e giustizia sociale»
I sondaggi mostrano che anche se molte persone, specialmente di colore e in particolare i neri, diffidano della polizia, non sono d’accordo a ridurre il numero di agenti nel loro quartiere. Ho il sospetto che questa scissione derivi dal fatto che le persone vogliono sentirsi più sicure e la polizia è l’unica soluzione offerta dalla sicurezza pubblica. Perché pensi che questo divario esista e come possiamo colmarlo?
Penso che sia analogo alla situazione che si è verificata con Bernie Sanders. Hai visto exit poll che mostravano che alla gente piacevano le idee di Sanders ma votavano per Biden. Hanno paura. Non sono pronti. Si preoccupano di essere conformisti e non si fidano di questa cosa nuova, anche se a un certo livello comprendono e ci credono. Quando si tratta di polizia, abbiamo a che fare con il lascito di quarant’anni in cui alle persone viene detto che l’unica cosa che possono avere per risolvere qualsiasi problema nel loro vicinato – cani sciolti, lamentele sul rumore, adolescenti turbolenti – è più polizia. Questa è l’unica opzione. Quindi le persone sono state condizionate a pensare: «Oh, se ho un problema, è un problema che riguarda la polizia». Quando le persone dicono di volere la polizia, stanno dicendo che vogliono meno problemi. Dobbiamo davvero uscire da questo pensiero. Dobbiamo consentire che le persone chiedano effettivamente ciò che vogliono e dobbiamo anche fornire loro modelli di cose che potrebbero chiedere che renderebbero le loro comunità più sane e più sicure. Molte persone sarebbero d’accordo che sarebbe meglio avere un nuovo centro comunitario, per esempio. Semplicemente non credono che sia possibile. Pensano: «Non ha senso chiederlo, perché non ce lo daranno mai». Dobbiamo costruire alternative concrete. Ad esempio, la parte principale di ciò che la polizia fa ogni giorno a New York City sono le chiamate che riguardano casi di salute mentale. Ce ne sono settecento al giorno. Non abbiamo bisogno della polizia per fare quel lavoro, e in effetti non vogliamo che la polizia armata faccia quel lavoro, perché è pericoloso per le persone che hanno queste crisi. Dobbiamo creare un sistema di risposta alle crisi per la salute mentale che non coinvolga la polizia. Jumaane Williams a New York City ha chiesto esattamente questo in un dossier dettagliato. La proposta è quella di prendere i soldi spesi per le chiamate alla polizia e trasferirli ai servizi di salute mentale. È un’idea concreta di alternativa alla polizia. Abbiamo bisogno di altre cose di questo genere per instillare un senso di possibilità e ottimismo e ampliare l’immaginario delle persone.
Alex S. Vitale è docente di sociologia e coordina il Policing and Social Justice Project at Brooklyn College. Ha scritto The End of Policing (Verso, 2017).
Meagan Day è staff writer a JacobinMag. Ha scritto Bigger than Bernie: How We Go from the Sanders Campaign to Democratic Socialism (Verso, 2020).
Questo testo è uscito su JacobinMag. La traduzione è di Giuliano Santoro.