Il diplomatico e il “caso Julian Assange”. Cronaca di una disillusione
- maggio 17, 2021
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Il diplomatico e il “caso Julian Assange”. Cronaca di una disillusione
I
“ Per decenni in Occidente i dissidenti politici venivano accolti a braccia aperte perché perseguitati dai regimi dittatoriali per le loro lotte in favore dei diritti umani.
Oggi sono i dissidenti dei paesi occidentali che devono chiedere asilo politico, come Snowden in Russia o Assange nell’ambasciata ecuadoriana a Londra.
Oggi è l’occidente che ha iniziato a perseguitare i suoi dissidenti, a punirli con sentenze draconiane in processi farsa e a rinchiuderli in carceri di massima sicurezza come pericolosi terroristi, in condizioni degradanti e de-umanizzanti.
I nostri governi si sentono minacciati da Chelsea Manning, Edward Snowden e Julian Assange in quanto questi da whistelblower, giornalisti e attivisti per i diritti umani, hanno presentato prove incontrovertibili di abusi, corruzione e crimini di guerra perpetrati da chi è al potere; per questo vengono sistematicamente diffamati e perseguiti.
Le persecuzioni dei dissidenti sono i processi alle streghe dei giorni nostri: pagano per aver messo in discussione i privilegi di un potere esecutivo degli Stati completamente fuori controllo.
I casi di Manning, Snowden e Assange sono il test più importante dei nostri tempi per capire quanto siano credibili le idee di Stato di Diritto, Democrazia, Diritti umani.
Qui non si tratta di vedere se ci piacciono o meno carattere e personalità dei personaggi coinvolti, quello che importa è la reazione dei governi di cui sono stati svelati i crimini.
Quanti soldati sono stati chiamati a rispondere per il massacro di civili del video “Collateral Murder”? Quanti agenti sono stati messi a giudizio per le torture sistematiche dei sospetti di terrorismo? Quanti politici e consiglieri di amministrazione hanno dovuto pagare per le malefatte messe in luce dai nostri dissidenti?
Di questo si tratta: dell’integrità del nostro Stato di Diritto, della credibilità della nostra Democrazia, della nostra stessa dignità come esserei umani, del futuro dei nostri figli.
Cerchiamo di non dimenticarlo!
”
Questo discorso è stato tenuto alla porta di Brandenburgo, Berlino, il 27 Novembre 2019 da Nils Melzer.[1] Chi è costui?
II
“Nils Melzer, come mai il relatore speciale delle Nazioni Unite su torture e maltrattamenti si occupa di Julian Assange?
La stessa domanda mi è stata fatta ultimamente al Ministero degli Esteri a Berlino: il caso rientra, in senso stretto, tra le competenze del suo mandato? Assange è vittima di torture?
Qual’è stata la sua risposta?
Il caso riguarda il mio mandato per tre aspetti. Primo: quell’uomo ha reso pubbliche prove incontrovertibili di torture sistematiche. Invece dei torturatori, è lui a essere perseguito. Secondo: egli stesso è sottoposto a maltrattamenti tali da causargli sintomi tipici da tortura psicologica. Terzo: lo si vuole estradare verso uno Stato che detiene persone come lui in condizioni di tortura, stando alla definizione di Amnesty International. Ricapitolando: Julian Assange ha reso pubblici casi di tortura, è lui stesso vittima di torture e potrebbe essere torturato fino alla morte negli Stati Uniti. Questo non dovrebbe rientrare nelle mie competenze? In più il caso ha una forte valenza simbolica che riguarda ciascun cittadino di uno Stato democratico.
Come mai allora lei non si è occupato prima del caso?
Lei immagini una stanza scura. Improvvisamente qualcuno punta un faro sull’elefante che è nella stanza, sui crimini di guerra, sulla corruzione. Assange è l’uomo dietro allo spot. Per un attimo i governi sono impietriti dallo shock. Poi, con le accuse di violenza sessuale, rigirano il fascio di luce di 360°. Un classico della manipolazione dell’opinione pubblica. L’elefante è di nuovo al buio, dietro lo spot. E’ Assange invece che è messo a fuoco e noi stiamo a parlare del fatto che gira per l’ambasciata con lo skateboard o se nutre il suo gatto in maniera adeguata. Improvvisamente sappiamo tutti che è un violentatore, un hacker, una spia e un narcisista; mentre le malefatte e i crimini di guerra che lui ci ha svelato svaniscono nel buio. Anch’io ci sono cascato, nonostante la mia esperienza che mi avrebbe dovuto rendere più vigile.[2]
”
Così inizia una lunga intervista in cui Nils Melzer, nel gennaio del 2020, per la prima volta parla in modo dettagliato dei risultati delle sue ricerche sul caso di Julian Assange. Il titolo dell’articolo è a dir poco fosco e tradotto in Italiano suona così: “Davanti ai nostri stessi occhi si sta creando un sistema omicida”. Si tratta di una citazione di Melzer che vale la pena di contestualizzare.
“[…] Tramite un processo farsa, con Julian Assange si intende statuire un esempio. Si tratta d’intimidire altri giornalisti. L’intimidazione, tra l’altro, è uno dei motivi principali per cui viene praticata la tortura, in tutto il mondo. Il messaggio per noi tutti è il seguente: questo vi aspetta qualora voleste copiare il modello Wikileaks. Un modello pericoloso perché semplice: persone in possesso d’informazioni scabrose sul proprio Stato o la propria azienda possono trasmettere queste a Wikileaks mantenendo l’anonimato. Quanto questo sia considerato pericoloso si può dedurre dalla reazione prodotta: quattro Stati democratici come USA, Ecuador, Svezia e Gran Bretagna uniscono le loro forze per trasformare un uomo in un mostro in modo di poterlo mettere al rogo senza creare troppo scalpore. Questo caso è uno scandalo enorme, la dichiarazione di bancarotta dello Stato di Diritto Occidentale. Una condanna di Julian Assange equivarrebbe alla condanna a morte per la libertà di stampa.
Cosa significa un eventuale precedente simile per il giornalismo?
Concretamente significa che lei ora, come giornalista, si deve difendere. Perché una volta che il giornalismo investigativo viene equiparato allo spionaggio e quindi perseguito ovunque nel mondo, quel che segue sono censura e tirannia. Davanti ai nostri stessi occhi si sta creando un sistema omicida. Crimini di guerra e tortura non vengono perseguiti. Circolano video su You-tube in cui soldati americani si vantano di aver portato al suicidio donne irachene violentandole regolarmente. Nessuno si occupa d’indagare questi fatti. Allo stesso tempo, chi ha svelato simili misfatti, rischia 175 anni di carcere, dopo essere stato coperto per un decennio di accuse senza fondamento, solo per rovinarlo. Nessuno viene punito per questo, nessuno se ne assume la responsabilità. E’ l’erosione del Contratto Sociale. Noi diamo allo Stato il potere, delegandolo ai governi – ma questi devono darci conto di come usano il potere; se noi non esigiamo questo rendiconto, prima o poi perderemo i nostri diritti. Gli esseri umani non sono democratici per natura. Il potere corrompe se non è soggetto a controllo. La corruzione è il risultato se non insistiamo sulla necessità di controllare il potere.
Lei dunque afferma che l’attacco ad Assange mette a rischio la libertà di stampa nella sua essenza.
Lei consideri un po’ dove ci troveremo tra 20 anni qualora Assange venisse condannato. Cosa potrebbe ancora scrivere lei, da giornalista. Sono convinto che corriamo seriamente il rischio di perdere la libertà di stampa. Sta già succedendo: di punto in bianco il quartier generale di ABC News in Australia viene perquisito in relazione all’”Afgan War Diary”. Il motivo? La stampa ha di nuovo svelato le malefatte di alcuni rappresentanti dello Stato. Affinché la divisione dei poteri funzioni veramente, è assolutamente necessario che una libera stampa, come quarto potere, svolga la sua funzione di controllo sul potere esecutivo. Wikileaks è la logica conseguenza di un processo in atto: nel momento in cui la realtà non può più essere elaborata perché tutto è coperto dal segreto di Stato, se i rapporti sulle inchieste riguardanti le pratiche di tortura del governo Statunitense vengono segretati e le poche sintesi pubblicate sono coperte di omissis, è chiaro che prima o poi si apre una falla. Wikileaks è la naturale conseguenza dell’uso crescente della segretazione e rispecchia la mancanza di trasparenza che caratterizza sempre più gli Stati moderni. Certo, esistono degli ambiti ristretti in cui la segretezza risulta sicuramente importante. Quando, però, arriviamo a non sapere cosa fanno i nostri Governi, quando non sappiamo secondo quali criteri, e in quali casi, i reati non vengono perseguiti, allora abbiamo una situazione estremamente pericolosa per l’integrità del tessuto sociale.
Con quali conseguenze?
Come relatore speciale dell’ONU sulle torture nonché col mio precedente incarico di delegato della Croce Rossa Internazionale, ho già visto molta violenza e terrore e so quanto sia facile che stati come la Jugoslavia o il Ruanda d’improvviso diventino l’inferno. Alla base di sviluppi del genere ci sono sempre strutture non trasparenti, poteri politici o economici senza controllo in combinazione con un’opinione pubblica credulona, indifferente e manipolabile. Quello che oggi capita sempre solo agli altri – torture impunite, violenze sessuali, espulsioni di massa, omicidi – d’improvviso potrebbe capitare benissimo anche a noi o ai nostri figli.
In quel caso stia certo che non importerà a nessuno, questo glielo posso assicurare.[3]”
III
Passa poco più di un anno, siamo allo scorso Aprile. Nils Melzer pubblica in Germania un libro di 335 pagine il cui titolo, tradotto in Italiano, è “Il caso Julian Assange – Storia di una persecuzione”
Comincia così:
“ Scrivere un libro non rientra certo normalmente tra i compiti di un relatore speciale delle Nazioni Unite. Tanto meno scrivere un libro che si occupi di un singolo caso specifico. Una spiegazione è d’uopo, quindi. Per me questo libro rappresenta un appello urgente. Un monito al mondo degli Stati, perché il sistema da essi hanno eretto in difesa dei diritti umani sta fallendo in maniera sostanziale. Una sveglia per l’opinione pubblica, perché questo fallimento del sistema dovrebbe mettere in allarme ogni cittadina e ogni cittadino dei nostri Stati democratici basati sul diritto. Un richiamo, che intende essere inteso anche come un invito individuale a svegliarsi, guardare la realtà dei fatti e ad assumere ciascuno le proprie responsabilità, tanto sul piano personale quanto sul piano politico.
Come relatore speciale sono stato incaricato dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite di sorvegliare a livello globale il rispetto del divieto di tortura e maltrattamenti, di fare indagini qualora ci siano sospette violazioni, di porre interrogazioni e fornire consigli a Stati coinvolti in specifiche inchieste. Ho ricevuto questo importante incarico poiché come consigliere del mio governo, professore e autore di testi di diritto internazionale, ma anche come delegato della Croce rossa internazionale e consigliere giuridico in aree di crisi e di guerra, da oltre venti anni mi occupo di violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale di guerra. Ho visitato prigionieri, profughi e familiari su quattro continenti, molti di questi vittime di torture e violenze. Ho fatto trattative tanto nei palazzi, nei ministeri e nelle centrali di comando quanto con soldati e ribelli nella terra di nessuno tra i fronti.
Quando indago su casi di torture e maltrattamenti so di cosa sto parlando. Non perdo velocemente la calma, non tendo a esagerare e non sono affatto in cerca delle luci della ribalta. Il mio mondo è quello del dialogo diplomatico e del rispetto reciproco, includendo sempre onestà e integrità. Perché la diplomazia non deve mai diventare fine a se stessa, deve sempre essere un mezzo per raggiungere un superiore scopo. Nel mio caso lo scopo è l’osservanza del divieto di torture e maltrattamenti, nonché l’indagine, la punizione e il risarcimento in caso di violazioni di questo divieto. Qualora questo obiettivo non risultasse raggiungibile con i mezzi della diplomazia, io non sono affatto autorizzato a sacrificare il mio scopo , bensì sono tenuto a cercare altri mezzi per realizzare quel che impone il mio mandato. Uno di questi mezzi, cara lettrice e caro lettore, è proprio il libro che avete tra le mani in questo momento. Riformulando per i miei pacifici scopi un modo di dire in origine marziale, si tratta, in un certo senso, della continuazione della diplomazia con altri mezzi.
Ho scritto questo libro perché nel corso della mia indagine sul caso “Julian Assange” ho scoperto indizi concreti di persecuzione politica, di giustizia applicata in modo pesantemente arbitrario, di deliberate torture e maltrattamenti. Gli Stati coinvolti si rifiutano di cooperare con me rifiutandosi di avviare i procedimenti d’indagine che il diritto internazionale richiede in casi simili. Ho fatto visita ad Assange in carcere con un team di medici, ho parlato tanto con le autorità competenti quanto con avvocati, testimoni ed esperti. Tramite i canali officiali a mia disposizione ho più volte comunicato agli Stati coinvolti nel caso – Stati Uniti, Ecuador, Svezia e Gran Bretagna le mie preoccupazioni e considerazioni. Ho richiesto chiarimenti e suggerito iniziative concrete. Nessuno dei quattro governi si è mostrato interessato ad avviare un dialogo costruttivo con me. Anzi, le uniche risposte ricevute erano banalità diplomatiche e tentativi di aggirare il tema con artifici retorici. Quando hanno visto che comunque insistevo nel richiedere chiarimenti sul caso, ogni comunicazione venne interrotta da parte dei governi. Allo stesso tempo i maltrattamenti e le persecuzioni nei confronti di Julian Assange aumentarono, le violazioni dei suoi diritti procedurali diventarono sempre più evidenti e i miei appelli pubblici alle autorità di rispettare i suoi diritti umani palesemente ignorati.
Anche nel sistema delle Nazioni Unite, escludendo pochi coraggiosi individui, il supporto che ho ricevuto è stato praticamente nullo. Ho riferito sia al Consiglio per i diritti umani a Ginevra sia all’Assemblea Generale a New York dell’atteggiamento assolutamente non cooperativo degli Stati. Nessuna reazione. Ho chiesto di essere ascoltato dall’alta commissaria per i Diritti Umani e sono stato sviato con una scusa. Ho chiesto ad altri Stati di far valere la loro influenza, ma mi sono scontrato quasi sempre con un muro di silenzio. Ho visto le istituzioni dello Stato di Diritto, in cui ho sempre creduto, fallire davanti ai miei occhi. […]
Il caso Assange è la storia di un uomo perseguitato e maltrattato per aver reso pubblici gli sporchi segreti dei potenti, svelando con questi crimini di guerra, torture, corruzione. E’ la storia di una giustizia amministrata in modo pesantemente arbitrario nelle democrazie occidentali, che altrimenti adorano presentarsi come stati modello per quanto riguarda la difesa dei diritti umani. E’ la storia di collusioni tra autorità e servizi segreti alle spalle dell’opinione pubblica e dei parlamenti nazionali. E’ la storia di un’informazione manipolata e manipolante diffusa da media affermati con il solo scopo di demonizzare, denigrare e distruggere una singola persona. E’ la storia di un uomo che noi tutti abbiamo contribuito a far diventare il capro espiatorio per il fallimento delle nostre società nell’affrontare la corruzione delle amministrazioni e i crimini di Stato. E’ dunque anche la storia di ciascuna e ciascuno di noi, con la nostra pigrizia, le illusioni che ci costruiamo per non affrontare la nostra corresponsabilità alle tragedie politiche, economiche e umane dei nostri tempi. […]
“
IV
“Il fatto che la persecuzione di Assange abbia pesantemente danneggiato la credibilità dell’occidente come portabandiera dei diritti umani è qualcosa che i dittatori in giro per il mondo hanno subito ben compreso. A inizio Novembre, per esempio, la corrispondente della BBC Orla Guerin ha fatto una serie di domande critiche al presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev sulla libertà di stampa nel suo paese. Sicuro e rilassato questo ha risposto che, visto il modo in cui viene trattato Julian Assange, il Regno Unito non si trova nella posizione di poter biasimare altre nazioni sui temi: diritti umani e libertà di stampa.”
Mattias von Hein – The case of Julian Assange: Rule of law undermined [4]
Mario Vando
Note:
[1]https://medium.com/@njmelzer/anything-to-say-this-is-what-i-have-to-say-1e5df397e221
[2]https://www.republik.ch/2020/01/31/nils-melzer-about-wikileaks-founder-julian-assange
[4]https://www.dw.com/en/the-case-of-julian-assange-rule-of-law-undermined/a-57260909